Gaza: così Netanyahu ha fatto prevalere il suo interesse personale per la guerra a scapito degli ostaggi
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Gaza: così Netanyahu ha fatto prevalere il suo interesse personale per la guerra a scapito degli ostaggi

Martedì mattina, la principale associazione che rappresenta i familiari degli ostaggi ha dichiarato che il loro “peggiore timore si è avverato: il governo israeliano ha scelto di abbandonare gli ostaggi”.

Gaza: così Netanyahu ha fatto prevalere il suo interesse personale per la guerra a scapito degli ostaggi
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18 Marzo 2025 - 15.57


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Nelle prime ore di martedì, le famiglie di Gaza sono state svegliate bruscamente dal ritorno di un feroce bombardamento via aria e terra. La fragile tregua, mediata da Stati Uniti, Qatar ed Egitto e in vigore da gennaio, è stata infranta.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato la ripresa dell’offensiva, affermando che Israele “da ora in poi agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, accusando il gruppo di aver “ripetutamente rifiutato di rilasciare i nostri ostaggi e respinto tutte le proposte”.

L’ordine arriva due settimane dopo che Netanyahu ha imposto il blocco totale di cibo, medicine, carburante, elettricità e altre forniture per i due milioni di abitanti di Gaza, nel tentativo di costringere Hamas ad accettare un nuovo accordo.

Netanyahu sembra aver ignorato le pressioni delle famiglie degli ostaggi affinché prolungasse la tregua per riportare a casa i loro cari. Martedì mattina, la principale associazione che rappresenta i familiari degli ostaggi ha dichiarato che il loro “peggiore timore si è avverato: il governo israeliano ha scelto di abbandonare gli ostaggi”. Hanno avvertito che “la ripresa dei combattimenti costerà la vita a più ostaggi” e chiesto di “fermare i combattimenti e tornare immediatamente al tavolo delle trattative”.

Hamas ha accusato Netanyahu di aver fatto fallire l’accordo di cessate il fuoco e, in una velata minaccia, ha affermato che la ripresa della guerra espone gli ostaggi “a un destino ignoto”.

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Cos’è successo?

L’accordo di cessate il fuoco prevedeva tre fasi. La prima, conclusasi due settimane fa, aveva portato al rilascio da parte di Hamas di 25 ostaggi vivi e delle spoglie di altri otto, in cambio della scarcerazione di quasi 2.000 prigionieri palestinesi.

La seconda fase, ancora in discussione, avrebbe dovuto aprire la strada a una tregua duratura, al ritiro completo di Israele da Gaza e alla liberazione di tutti gli ostaggi sequestrati da Hamas durante l’attacco del 2023. Tuttavia, l’idea di porre fine alla guerra e di ritirarsi dalla Striscia è stata fermamente respinta dall’ala estrema della destra israeliana, incluso il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, che si dimise in segno di protesta quando entrò in vigore il primo cessate il fuoco a gennaio.

I falchi del governo hanno ripetutamente minacciato di far cadere la fragile coalizione di Netanyahu se non avesse ripreso le ostilità. Un’ipotesi diffusa in Israele è che il primo ministro sia più preoccupato di assecondare gli alleati di estrema destra per approvare il bilancio della prossima settimana e salvare la sua carriera politica, piuttosto che riportare a casa gli ostaggi e costruire la pace. Martedì, i media israeliani hanno riferito che Ben-Gvir potrebbe presto rientrare nel governo.

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Il processo a Netanyahu e la crisi politica

Netanyahu era inoltre atteso martedì in tribunale per testimoniare nei suoi processi per corruzione, che da anni gettano un’ombra sulla sua leadership e sul suo futuro politico. Ha sempre negato le accuse, sostenendo di essere vittima di una persecuzione politica. Ha più volte chiesto, senza successo, di cancellare le udienze per concentrarsi sulla guerra. Questa volta, però, il suo desiderio è stato esaudito: l’ultima udienza è stata rinviata a causa della ripresa delle ostilità.

Un’altra ipotesi avanzata dai media israeliani è che Netanyahu abbia deciso di tornare alla guerra per distogliere l’attenzione dalle critiche ricevute dopo la rimozione del capo dell’intelligence interna, Ronen Bar. Secondo alcune fonti, il licenziamento di Bar sarebbe stato un tentativo di bloccare indagini sulla gestione dei finanziamenti a Hamas e sulle falle nella sicurezza che hanno permesso l’attacco del 2023.

Il fallimento delle trattative

Negli ultimi giorni, le negoziazioni per una tregua duratura sono state caotiche. Netanyahu ha proposto di prolungare la prima fase dell’accordo, chiedendo ad Hamas di rilasciare metà degli ostaggi rimasti in cambio di una proroga del cessate il fuoco e di future trattative. Tuttavia, Israele non ha offerto il rilascio di nuovi prigionieri palestinesi, un elemento chiave della prima fase.

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Hamas ha insistito sull’avvio della seconda fase, proponendo di liberare un ostaggio americano-israeliano ancora vivo e i corpi di quattro prigionieri con doppia cittadinanza morti in cattività. Netanyahu ha respinto la proposta, definendola una “manipolazione”.

Anche un “accordo ponte” proposto dall’inviato statunitense Steve Witkoff non ha avuto successo. Witkoff, amico di lunga data di Donald Trump e artefice dell’accordo di gennaio, ha passato ore a trattare con i mediatori del Qatar a Doha, e si vocifera che abbia persino autorizzato un primo contatto diretto tra funzionari statunitensi e Hamas. Tuttavia, né Israele né Hamas hanno accettato la sua proposta.

Un’escalation pericolosa

L’offensiva israeliana ha già causato centinaia di vittime civili a Gaza. I medici denunciano che il sistema sanitario della Striscia, già devastato dal blocco degli aiuti, non è in grado di far fronte al numero crescente di feriti.

In Israele, le famiglie degli ostaggi temono che i loro cari siano stati dimenticati e che rischino di morire sotto le bombe.

Il ritorno alla guerra potrebbe inoltre innescare un nuovo conflitto regionale, coinvolgendo i ribelli Houthi in Yemen e l’Iran, soprattutto dopo che Trump ha ordinato attacchi sulla capitale yemenita Sana’a e sulla regione del Mar Rosso questa settimana.

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