Gaza, la "Riviera" di Trump e i bimbi palestinesi morti assiderati

Al presidente immobiliarista che vuole fare di Gaza la “Riviera del Medio Oriente”, senza palestinesi a infestarla, la notizia e i racconti che Globalist propone non smuoveranno la coscienza. Né bacchetterà il suo amico Netanyahu

Gaza, la "Riviera" di Trump e i bimbi palestinesi morti assiderati
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Marzo 2025 - 18.14


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Al presidente immobiliarista che vuole fare di Gaza la “Riviera del Medio Oriente”, senza palestinesi a infestarla, la notizia e i racconti che Globalist propone non smuoveranno la coscienza. Né bacchetterà il suo amico Netanyahu per il genocidio messo in atto nella Striscia. Bibi è un amico, mica un rompiballe ingrato come quel Zelenky…

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Tratto da X dell’Ufficio regionale UNICEF per Medio Oriente e Nord Africa

“1° marzo 2025- Le notizie di bambini che muoiono a causa dell’ipotermia sono devastanti e non dovrebbero accadere ai giorni nostri. A Gaza, l’Unicef e i suoi partner stanno distribuendo indumenti invernali ai bambini per aiutarli a proteggersi dal freddo. Ma i bisogni sono immensi. I bambini hanno bisogno di un cessate il fuoco duraturo e di un accesso continuo e senza ostacoli agli aiuti”.

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Quando a pagare sono i bambini

Vatican News, sempre attento alla tragedia di Gaza, pubblica la riflessione del vicario della Custodia francescana di Terra Santa, padre Ibrahim Faltas, sulle vite spezzate dei due bambini israeliani, barbaramente uccisi a Gaza e sulla morte, nella Striscia, di sei neonati a causa del freddo. 

“I bambini sono uguali ovunque e ovunque hanno diritto al rispetto, sia nella vita che nella morte”. È il disperato appello di padre Ibrahim.

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Che scrive: “Il 3 febbraio scorso, concludendo il summit sui bambini, Papa Francesco ha chiesto di dare seguito agli interventi di quel giorno, creando un laboratorio che rendesse concrete le proposte appena ascoltate. Il summit, voluto fortemente dal Santo Padre, ha riunito in Vaticano personalità e rappresentanti di istituzioni di tutto il mondo. Sono emerse, da interventi profondi e precisi, tante esigenze e tante necessità indispensabili per aiutare i bambini, per proteggere le loro vite, per salvaguardare il loro futuro.

Le diseguaglianze e le vite spezzate

La povertà, la mancanza di assistenza sanitaria, l’assenza di strumenti adeguati alla crescita e allo sviluppo dei bambini riguardano la maggior parte del nostro pianeta. C’è bisogno di uno sforzo della comunità umana perché si possano colmare tante disuguaglianze. Fa molto male pensare alle vite spezzate dei due bambini israeliani, barbaramente uccisi a Gaza, che potevano essere salvati almeno per il rispetto che si deve a chi è debole e indifeso. Fa molto male sapere che in pochi giorni sei neonati di Gaza hanno perso la vita a causa del freddo. Fa male pensare a bambini che potevano essere salvati da una coperta e da un farmaco. Fanno male le morti dei bambini quando sono colpiti da malattie, da incidenti, da catastrofi ambientali.

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I diritti dei bambini

I bambini sono uguali ovunque e ovunque hanno diritto al rispetto, sia nella vita che nella morte. Dobbiamo indignarci e gridare di fronte a chi uccide i bambini senza alcuna pietà. Dobbiamo indignarci e gridare di fronte a chi non rispetta il diritto alla vita e alle cure. È tempo di avere rispetto per la vita e per la morte. È il tempo della reciproca comprensione e compassione. I bambini che muoiono e che soffrono a causa della banalità del male degli adulti sono l’immagine della sconfitta della guerra. Il Santo Padre continua, anche in giorni in cui il suo respiro è più difficoltoso, a ricordarli, a chiedere di aiutarli e di proteggerli, a offrire la sua carezza e il suo soffio vitale ai bambini”, conclude padre Ibrahim.

Quei bimbi assiderati

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Li ricorda Chiara Cruciati, vicedirettrice de Il Manifesto, che la Palestina conosce come pochi altri.

Scrive Cruciati: Pesavano meno di due chili tre dei cinque neonati morti a Gaza nelle ultime ore, uccisi dal gelo che sta di nuovo investendo la Palestina e dai ritardi nell’ingresso degli aiuti umanitari, imputabili alle autorità israeliane. Sono una violazione della tregua e hanno conseguenze. A Gerusalemme e a Betlemme ha nevicato, a Gaza la temperatura non supera lo zero e le tende non tengono fuori i refoli di vento gelido.

Tre bambini morti congelati non superavano le due settimane di vita, erano nati in tempo di tregua, niente bombe. Vivevano tutti a Gaza nord, terra straziata da mesi di assedio che ha lasciato solo macerie: non c’è letteralmente posto dove ripararsi, le tende sopravvissute sono stracci e delle 60mila casette mobili che sarebbero dovuto entrare dal 19 gennaio scorso non se n’è vista nessuna.

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Sham Yousef al-Shambari, invece, aveva 60 giorni e si è spenta in una tenda di al-Mawasi, pezzo di terra lungo la costa sud tramutata in campo sfollati. I bambini muoiono blu.

«Secondo l’accordo di tregua, devono entrare a Gaza 200mila tende – scriveva ieri da Rafah il giornalista Tareq Abu Azzoum – Finora se ne contano 19mila e solo 12 casette mobili, ma non per fare da rifugio: sono dirette alle agenzie umanitarie per facilitare le loro operazioni». Una crisi evitabile, la definisce Abu Azzoum, «nel 21esimo secolo i bambini non dovrebbero morire congelati».

A trascinare i palestinesi di Gaza in un clima di disperata attesa è una tregua ormai agli sgoccioli. Il primo marzo termina la prima fase e nessun negoziato è mai partito sulla seconda. Ieri la viceministra degli esteri israeliana Sharren Haskel ha parlato della possibilità di estendere la prima fase, un’idea che da tempo rimbalza nelle teste di un governo intenzionato a ottenere più rilasci di ostaggi senza dover siglare un accordo di lunga durata che preveda il ritiro totale della Striscia e la fine dell’offensiva.

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Sabato è previsto un vecchio-nuovo scambio con il ritorno a casa dei 620 prigionieri palestinesi il cui rilascio, lo scorso fine settimana, è stato congelato su ordine del primo ministro Netanyahu.

Che sui loro corpi si giochi una partita decisiva (per Hamas in cerca di consenso e per Israele di fronte alla propria opinione pubblica) lo dice la decisione di ieri del ministro della difesa Israel Katz che ha ordinato di confiscare i fondi dell’Autorità nazionale palestinese (non, dunque, di Israele) destinati ai prigionieri rilasciati in queste settimane di tregua. Un sacco di soldi, 130 milioni di dollari che non solo non tornano ai legittimi proprietari – il governo palestinese – ma che Katz trasferirà alle famiglie israeliane colpite dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.

È l’altra faccia della guerra, quella che si combatte nelle carceri, lontano da occhi indiscreti. Una luce l’ha accesa un’inchiesta del Guardian che cita l’Organizzazione mondiale della Sanità e l’ong palestinese Healthcare Workers Watch: sono almeno 162 gli operatori sanitari palestinesi di Gaza, tuttora detenuti da Israele, arrestati durante gli assalti agli ospedali, senza accuse.

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Medici, paramedici, infermieri di cui non si sa più nulla e la cui sparizione forzata serve a produrre «un effetto devastante sulla salute dei palestinesi, con morti evitabili e la cancellazione di intere specializzazioni mediche» dal territorio, dice il direttore di Hww, Muath Alser.

Altre decine di medici sono state rilasciati e al Guardian hanno raccontato di arresti arbitrari, torture, pestaggi, fame prima di essere liberati senza essere accusati mai di nulla. «Non importa quanto io possa parlare della mia esperienza in detenzione, è solo una frazione di quel che è successo – ha detto il dottor Mohammed Abu Selmia, direttore del più importante ospedale di Gaza ormai in rovina, lo Shifa – Bastonate, percosse con i fucili, attacchi dei cani. Non c’era cibo, non c’era sapone nelle celle, non c’era acqua…Ho visto persone che stavano morendo lì…Non passa giorno senza torture». Due medici in carcere ci sono morti, il ginecologo del Kamal Adwan, Iyad al-Rantisi, e il capo di ortopedia dello Shifa, Adnan al-Bursh”, conclude la vicedirettrice de Il Manifesto.

Così stanno le cose nell’inferno di Gaza. In attesa della “Riviera” di Trump e della soluzione finale della questione palestinese.

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