Ucraina, cinque possibili passi necessari di strategia nonviolenta per costruire una vera pace
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Ucraina, cinque possibili passi necessari di strategia nonviolenta per costruire una vera pace

La via che Mao Valpiana, fondatore e presidente del Movimento Nonviolento, pratica da una vita. 

Ucraina, cinque possibili passi necessari di strategia nonviolenta per costruire una vera pace
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

20 Febbraio 2025 - 21.54


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Tra l’esercizio della forza e la rassegnazione inerme, c’è una terza via da praticare. Difficile, ma per la quale vale la pena battersi. La via della non violenza, della disobbedienza civile. 

La via che Mao Valpiana, fondatore e presidente del Movimento Nonviolento, pratica da una vita. 

Una via che unisce protesta e proposta, idealità e concretezza. Una “diplomazia dal basso”, che coniuga l’azione non violenta con la capacità di indicare soluzioni praticabili a conflitti che si vorrebbero senza fine. Come quello in Ucraina.

Una proposta pacifista

Pacifista e realistica. Questa: “Ciò che sta avvenendo è la spartizione territoriale dell’Ucraina tra Russia e Stati Uniti, dopo tre anni di sanguinoso conflitto, un milione di morti, danni materiali ed economici incalcolabili, sofferenze ed impoverimento generale. La Russia otterrà l’espansione regionale in Crimea e Donbass, gli Stati Uniti metteranno le mani sulle “terre rare”, mentre l’Europa sta a guardare e l’Ucraina ne esce commissariata.

Questo è il risultato della scelta militare fatta, che ha trasformato l’intera Europa in una regione ad economia di guerra, a traino della Nato. La retorica del “prima la Vittoria, poi la Pace” si è rivelata per quello che era davvero “prima la Guerra, poi la Sconfitta”. E a perderci, prima di tutti, è il popolo ucraino, che vede svanire la propria sovranità, dopo aver sacrificato un’intera generazione di giovani sull’altare del nazionalismo.

L’Europa a 27 velocità, che ha accettato il ruolo di comparsa nell’Alleanza atlantica, è indebolita e afona. Per “salvare il salvabile” si vorrebbe ancora una volta puntare tutto sulla politica di riarmo, la stessa che ha distrutto il sistema sociale della sanità e dell’istruzione nei nostri paesi. Errore fatale.

L’Europa, per affrontare la questione Ucraina, ha bisogno di una politica comune di sicurezza, pace e cooperazione, non di una politica di potenza e difesa militare, e deve avere una propria visione democratica alternativa a quella oligarchica di Stati Uniti e autoritaria della Federazione Russa.

Cinque possibili passi necessari di strategia nonviolenta, per prevenire un’ulteriore escalation e per costruire una vera pace:

– creazione di una “linea di pace” sui confini tra Europa e Russia (Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Ucraina) con l’istituzione di una zona smilitarizzata, un corridoio (500 chilometri di larghezza) per tutto il confine (3000 chilometri di lunghezza). Questo lungo fronte di terra smilitarizzata, da una parte e dall’altra, non potrebbe essere attraversato da truppe militari della Russia o della Nato, o di altri eserciti europei: così si favorirebbe la distensione.

La definizione e poi il controllo di questa zona russo/europea smilitarizzata (dal Mar Bianco al Mar Nero) prevede il negoziato e lo sviluppo di meccanismi di verifica efficaci; anziché concentrarsi sulla militarizzazione nazionale, ci si concentra su una zona di demilitarizzazione internazionale, pan europea, affidata a tutti i paesi coinvolti;

– avviare immediatamente una “moratoria nucleare” che coinvolga i paesi detentori di armi nucleari presenti sul continente europeo (Francia, Regno Unito, Russia, e Stati Uniti con ordigni presenti anche in Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi): impegno al non utilizzo, e apertura di negoziati per l’adesione concordata e multilaterale al TPNW (Trattato per la messa al bando delle armi nucleari);

– avviare un progetto esecutivo per la costituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo, per la gestione non militare della crisi. Tra non fare nulla e mandare truppe armate, c’è lo spazio per fare

subito qualcosa di utile, nell’ambito della politica di sicurezza per intervenire a livello civile nei conflitti prima che questi sfocino in guerra vera e propria, come avvenuto il 24 febbraio 2022.

I Corpi di Pace vanno costituiti e finanziati come una brigata permanente dell’Unione Europea: la loro costituzione deve rientrare nelle competenze della Commissione Europea; – dare la parola ai movimenti civili e democratici che in Russia, Ucraina e Bielorussia si sono opposti da subito alla guerra e hanno avanzato proposte di pace, a partire dal sostegno agli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva delle parti in conflitto. Convocare con loro, veri portatori di interessi comuni, un “tavolo delle trattative” in zona neutrale e simbolica (Città del Vaticano);

– convocare una Conferenza internazionale di pace (sotto egida Onu, con tutti gli attori internazionali coinvolti e disponibili) basata sul rispetto del Diritto internazionale vigente e sul concetto di sicurezza condivisa, che metta al sicuro la pace anche per il futuro.

La Campagna di Obiezione alla guerra offre uno strumento concreto per attuare il diritto umano fondamentale alla pace, che sul piano politico significa per gli Stati: obbligo di disarmare, obbligo di riformare in senso democratico e far funzionare i legittimi organismi internazionali di sicurezza collettiva a cominciare dalle Nazioni Unite, obbligo di conferire parte delle forze armate all’Onu come previsto dall’articolo 43 della Carta delle Nazioni Unite, obbligo di riconvertire e formare tali forze per l’esercizio di funzioni di polizia internazionale sotto comando sopranazionale, obbligo di sottoporsi alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Aderendo concretamente alla Campagna ognuno ha la possibilità personale di dichiarare formalmente la propria obiezione di coscienza e nel contempo sostenere concretamente i nonviolenti russi e ucraini che sono le uniche voci delle due parti che stanno già dialogando realmente tra di loro, che creano un ponte su cui può transitare la pace, grazie al coraggio e all’impegno di chi a Kyiv e Mosca, rischiando di persona, lavora per la crescita della nonviolenza organizzata “.

Questo è il pacifismo che non si arrende. Molto più di una testimonianza. Una visione del mondo, delle relazioni tra popoli e tra Stati, alternativa a quella che sta rendendo il mondo sempre più invivibile e disumano.

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