No Peace No Panel : una campagna da sostenere
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No Peace No Panel : una campagna da sostenere

La guerra moderna è anche comunicazione. Per certi aspetti, è soprattutto comunicazione. Vale per le autocrazie, per le “democrature” ma anche per Paesi che si vogliono democratici

No Peace No Panel : una campagna da sostenere
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Gennaio 2025 - 19.35


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La guerra moderna è anche comunicazione. Per certi aspetti, è soprattutto comunicazione. Vale per le autocrazie, per le “democrature” ma anche per Paesi che si vogliono democratici ma che attaccano, in modi diversi, la libertà d’informazione. 

La pace passa anche per la TV, laddove si formano e si manipolano le coscienze, dove la percezione è la realtà. Per questo è da sostenere con convinzione ogni battaglia che porti la voce della Pace in TV. 

Per questo Globalist aderisce alla mobilitazione social dei sostenitori di #NoPeaceNoPanel, per chiedere l’approvazione in Commissione Vigilanza Rai di un atto di indirizzo per dare spazio alle voci di Pace.

Un impegno che trova sempre maggiori condivisioni, individuali e collettive.

“Anche Rete Italiana Pace Disarmo sostiene la campagna #NoPeaceNoPanel per un’informazione più equa e pluralista! A mesi dall’incardinamento della proposta di atto di indirizzo in Commissione di Vigilanza Rai, la proposta di No Peace No Panel è ancora in attesa di approvazione. Serve quindi una nuova pressione. No Peace No Panel è uno standard comunicativo che mette al centro del dibattito, in tempo di conflitti, una questione fondamentale: quando si parla di guerra, bisogna assicurarsi che almeno uno dei partecipanti al dibattito rappresenti la voce della Pace. 

Una proposta che nasce nell’ambito dell’appello “Diamo voce alla pace” dei giornalisti (e non solo) e invita il servizio pubblico a creare un vero contraddittorio nei dibattiti televisivi, includendo le voci pacifiste e nonviolente al fine di superare la narrazione mainstream nel migliore dei casi meramente “tecnica”, quando non apertamente schierata in favore della soluzione militare.

La mobilitazione “No Peace No Panel” è sostenuta a vario titolo dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Fnsi, Usigrai, Cgil e Articolo21, con le associazioni pacifiste e i portavoce di Pace del nostro Paese: Comunità di Sant’Egidio, Fondazione Perugia Assisi, Rete Italiana Pace e Disarmo, Archivio Disarmo e molte altre.

In un momento segnato da conflitti come quello in Ucraina e nel Medio Oriente, il ruolo dei media diventa cruciale per costruire una cultura di pace. Troppo spesso nei talk show e nei programmi di approfondimento l’analisi della guerra viene affidata unicamente a militari e analisti geopolitici, mentre esperti altrettanto competenti vengono sistematicamente esclusi perché promuovono le ragioni del dialogo e della nonviolenza.

Per dare una possibilità alla pace, per prima cosa dobbiamo darle voce. Unisciti a noi per un giornalismo imparziale che contribuisca a costruire un futuro senza conflitti!

Aiutaci a portare la pace nei dibattiti, subito! #NoPeaceNoPanel”.

Un appello, un impegno.

Articolo 21 lancia un appello alla pace e alla libertà d’espressione nel mondo dell’informazione con giornalisti e intellettuali del Paese. L’appello aperto, al quale chiunque può aderire inviando una mail a redazione@articolo21.info, vuole essere un momento di dibattito per gli addetti dell’informazione e per chi dell’informazione usufruisce; un’occasione per ripensare i nostri schemi in tempo di conflitto, uno sforzo per fare in modo che l’ecosistema informativo in questo momento di crisi possa essere all’altezza del gravoso compito che ricade su tutti noi.

Siamo di fronte alla più grande minaccia alla pace dal 1945 e come giornalisti e cittadini non possiamo ignorare di avere un ruolo cruciale sugli sviluppi di questo momento storico nel quale risuona, con ancora più forza, l’articolo 11 della nostra Costituzione: l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Da sempre l’informazione italiana è votata al pluralismo e all’equilibrio informativo, ma se in tempo di pace l’equilibrio si svolge nelle dinamiche tra maggioranza e opposizione, sindacati e imprenditori, procura e avvocati difensori e così via, in tempo di conflitto dobbiamo urgentemente rivedere i nostri schemi. In tempo di conflitto l’unico contraddittorio all’altezza della guerra: è la pace.

Eppure, la pace, a una settimana dall’inizio di questa crisi mondiale, latita. Latita sia negli studi televisivi, dove si costruiscono parterre senza la voce dei pacifisti, che sui giornali, così concentrati sulla narrazione del conflitto, da aver dedicato all’annuncio della manifestazione nazionale per la pace di sabato nella Capitale solamente un pugno di righe. Il tutto si svolge poi in un clima nel quale, in piena contraddizione con l’articolo 21 della nostra Costituzione, caposaldo della libertà d’espressione, rischiamo di cedere alla facile tentazione di censurare qualsiasi opinione diversa da quella maggioritaria, col rischio di cadere nelle stesse trappole antidemocratiche che hanno portato la Russia di Putin all’inaccettabile gesto di invasione al quale abbiamo assistito. Se il solo pronunciare la parola Dostoevskij può bastare a far alzare cori di censura, sono evidenti i rischi che stiamo correndo nei confronti di un libero dibattito all’altezza del nostro Paese.

Al pari di quella bellica, dobbiamo quindi evitare un’escalation mediatica. Dobbiamo interrompere quella narrazione puramente tensiva che, ispirata da una legittima cronaca dei fatti, sta fertilizzando un terreno d’odio in grado di generare conseguenze incalcolabili. Avvertiamo inoltre la tentazione generalizzata dei mass media di utilizzare toni apocalittici e termini dotati di un altissimo carico emotivo, che seppur in sintonia con il momento di grave crisi, rischiano di creare un ecosistema informativo tossico e un effetto a cascata che non farà che allontanare le popolazioni mondiali dal confronto razionale, obiettivo e mirato alla tregua.

C’è bisogno di dare un’attuazione pratica all’articolo 11 della Costituzione, adottando anche nel linguaggio una scelta delle parole giuste per raccontare questo momento cruciale, dando più voce alla pace, abbassando i toni d’odio per lasciare spazio al dialogo, invitando i pacifisti in televisione, aprendo rubriche che interpellino la voce più che dei kingmaker, dei peacemaker, insomma facendo ciò che da sempre i giornalisti fanno: raccontare la complessità della realtà, con rispetto e responsabilità”.

Questo è l’appello. Con un’aggiunta che può sembrare sgradevole, ma purtroppo è la realtà. Vi sono mille modi per asservire: lusinghe, minacce, libri paga, carriere agevolate o distrutte. Ma alla fine, in questo fu Belpaese conta avere o meno la schiena dritta. Coraggio civico, verrebbe da dire. O più semplicemente, rispetto per quella che un tempo è stata una fantastica professione. 

Ricordandoci che nel mondo, come documentano in continuazione Reporter senza frontiere, Amnesty International, la Federazione internazionale della stampa e via elencando, nel mondo sono centinaia  le giornaliste e i giornalisti che per raccontare una guerra o per denunciare regimi autoritari, hanno rischiato tutto, compresa la vita. La campagna in questione è dedicata a loro.

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