Bin Salman: dal Libano alla pace con Israele, una nuova strategia per il primato nel Medio Oriente
Top

Bin Salman: dal Libano alla pace con Israele, una nuova strategia per il primato nel Medio Oriente

Forse è presto per fare bilanci, ma se c’è un leader che si sta dando molto da fare questo è certamente il saudita bin Salman.

Bin Salman: dal Libano alla pace con Israele, una nuova strategia per il primato nel Medio Oriente
Preroll

Riccardo Cristiano Modifica articolo

17 Gennaio 2025 - 22.42


ATF

Forse è presto per fare bilanci, ma se c’è un leader che si sta dando molto da fare questo è certamente il saudita bin Salman. In pochi giorni ha messo il cappello su un presidente che nessuno conosceva, il libanese Joseph Aoun, ha consentito che in poche ore questi ponesse un giurista, liberal e di formazione europea come Nawas Salam sulla scranno di primo ministro, mandando nel pallone i nemici di Hezbollah. Il Libano da santabarbara iraniana diviene un fortilizio saudita, con un presidente e un premier che lavorano in tandem, creano un entusiasmo senza precedenti nel Paese, aprono le porte a un riformismo tutto nuovo, arabo e plurale. L’impresa che il duo ha davanti fa tremare vene e polsi dovendo ricostruire il Paese ma se, come sembra, Salam si toglierà di torno gli screditati partiti libanesi formando un governo tecnico potrà far sognare Beirut di tornare agli antichi splendori, superando un medievale sistema confessionale. Gli aiuti finanziari sauditi e americani non dovrebbero mancare.  

Ma non c’è solo questo a far sperare per il futuro il piccolo principe, come alcuni chiamavano  il saudita Mohammad bin Salman. Donald Trump dopo l’annuncio della tregua per Gaza ha detto che il prossimo passo sarà allargare gli accordi di Abramo e a tutti è chiaro che a fare la pace con Israele questa volta lui voglia che sia l’Arabia Saudita. Trump sa bene che bin Salman è favorevolissimo, ma anche che chiede un impegno a creare uno Stato palestinese. 

Il saudita che ha sfilato il Libano all’Iran, che pensa a una pace con Israele e a uno stato palestinese, badando bene di non dire di più al riguardo, ha anche portato a casa sua, intorno alla stesso tavolo, il nuovo ministro degli esteri siriano e turchi, americani ed europei. Tutti pronti a sostenere in qualche modo il suo ospite. La Siria di problemi ne ha moltissimi, e l’intervento saudita è  fondamentale. Se Damasco fallisse sarebbe un disastro soprattutto per bin Salman che lo sa bene, che non ha bisogno dell’Isis o cose del genere per i suoi progetti fondati sulla stabilità regionale: non ha garanzie di riuscita, ma ha avuto l’intelligenza di capire che doveva rischiare. Il nuovo leader de facto siriano non viene da ranghi che lui apprezza, è un islamista del tipo che Riad vorrebbe veder scomparire. Forse però è quello giusto per far sparire tutti gli altri, se aiutato ad avere successo. La scommessa è questa e il condomino con i turchi, che lo hanno fatto arrivare a Damasco, non facile ma necessario. Partita difficile perché in armi ci sono un mare di gruppi, ma Riad dove provarci e lo sta facendo.  

Bin Salman poi ha tagliato le unghie all’Iran: il suo “asse della resistenza” è stato sconfitto e Riad se ne giova dopo anni di difficoltà. Ottenuto questo però  non vuole guai con l’Iran e quindi per l’Iran: niente bombardamenti, nei suoi auspici, ma un nuovo patto sul nucleare con l’amico  Donald Trump. L’idea non dispiace a Teheran, che oggi è sulla difensiva e accetta tutto ciò che sa di accordo, pur di salvarsi. Infatti Teheran appena ha saputo della tregua di Gaza ha fatto dire dalla sua ultima milizia che avrebbe potuto attaccare i nemici, la più forte in Iraq, quella che recentemente ha attaccato le basi americane, che si rallegra della tregua e blocca azioni offensive. Gli iracheni sperano che sia l’inizio della fine della stessa milizia, per tornare davvero sovrani, ma questo per ora forse è troppo. Ma intanto il fatto c’è. Riad vuole porre termine anche alla guerra nello Yemen, anche qui senza più strappi, ma intese.

Insomma, con uno strano pluralismo pragmatico per Riad sembra emergere la volontà di favorire  una nuova stabilità, che per loro vuol dire soprattutto attrarre turismo e investitori stranieri per i  noti piani di riconversione economica e industriale. Tutto sommato a Expo ’30 non manca moltissimo. 

Se l’egemonia iraniana ha portato guerre e macerie quella saudita mira ai suoi interessi commerciali, che  bin Salman tenta di far collimare con quelli di chi è stanco di guerre distruttive.  E per farlo è pronto ad assumere mille volti diversi, ma i cui interessi convergono. Se funzionerà nessuno può dirlo oggi, ma tutto sembra reggersi su una nuova idea stabilità: non più quella imposta, ma quella possibile nei vari Paesi stremati da scelte che hanno prodotto ciò che vediamo. Se poi questo comporterà qualche mutamento di quelli auspicati dagli iraniani ordinari si vedrà. 

Native

Articoli correlati