Gaza, quella bambina in rosa coi piedini nel sangue di un'altra bambina

Una bambina coi capelli chiari, e con ai piedi solo leggeri infradito, guarda una larga macchia rossa che si apre tra fogli bianchi sparsi, pagine di memoria finite, come tante vite a Gaza

Gaza, quella bambina in rosa coi piedini nel sangue di un'altra bambina
Gaza
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

12 Gennaio 2025 - 20.18


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Una bambina coi capelli chiari, e con ai piedi solo leggeri infradito, guarda una larga macchia rossa che si apre tra fogli bianchi sparsi, pagine di memoria finite, come tante vite a Gaza. Quella dei più piccoli è più facile da spezzare, erba tenera per la falce.

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La bambina che osserva la macchia di sangue indossa una felpa rosa. E rosa era il colore che indossava l’altra bambina, quella che è morta, quella del sangue.

Probabile che la bambina ancora viva sappia di chi è quella macchia rossa. Magari con la bambina che ora è sotto terra la bambina con la felpa rosa ci giocava. Da queste parti, a Gaza, i bambini riescono a giocare, ma sanno tutto, conoscono il filo sottile che divide la vita e il loro gioco dalla morte.Per loro la morte non ha mistero, loro non conoscono censure, lo scarto che operiamo noi nelle immagini quando ci arroghiamo il diritto di addolcire gli effetti della strage, quei bambini non lo conoscono. A loro tutto appare nel suo orrore. Così per i piccoli, come per le mamme e per i papà. Sono i papà che strappano i bambini morti alle lacrime delle mamme e degli anziani, li ricompongono (se è possibile), li stringono in un fagottino bianco, e li seppelliscono.

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La bambina in rosa coi piedini nel sangue di un’altra bambina, morta e seppellita oggi, era nel racconto di Lucia Goracci per il Tg3. Probabile che pochi ci abbiano fatto caso a quello sguardo, a quei piedini che sfiorano il sangue di un’altra bambina.

Di morti oggi a Gaza – ma il giorno non è ancora finito – ce ne sono stati 28, più di uno per ogni ora del giorno. Due i bambini, una ci ha lasciato quella chiazza rossa.

Noi scartiamo, schermiamo e copriamo ma la dimensione di quel che sta accadendo è così grande che al nostro “pudore” alla fine qualcosa sfugge, grazie a Dio. E da immagini come questa, se ci supporta il cuore, riusciamo a cogliere quel che accade.

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Come ha scritto Paola Caridi, la Storia non si cancella.

Non si cancella, ma anche non si forza.

Sì, perché dal racconto da Gaza del Tg3, facciamo un passo indietro, andiamo al Tg1 che lo ha preceduto, quello di metà giornata. È stato qui che ho colto il tentativo di forzare la Storia con una cronaca smisurata di quel che è accaduto ieri sera in alcune piazze, con le manifestazioni in ricordo di Ramy. Sì, c’è stata violenza, che non dovrebbe mai esserci. Lo avevano chiesto il fratello di Ramy e il papà del ragazzo morto, ma in questo caso sembra si sia operato esattamente all’opposto di come ci si muove quando c’è da raccontare la dimensione violenta della guerra, soprattutto quando la guerra è anomala come quella di Gaza. Alla lente che rende piccole le cose orribilmente grandi, qui sembra essersi sostituita la lente. Ingigantisce per inquietare. Otto, nove minuti di Tg a ipotizzare quasi l’apertura di una nuova stagione del terrore. Terrore e terrorismo improbabili, paura certa. Più servizi e ben tre interviste ad altrettanti esponenti sindacali di polizia, in coro ad invocare nuove e più dure misure di sicurezza. Forse valeva ricordare che di leggi per la legalità (non per l’ordine) ne abbiamo a sufficienza, basterebbe usarle bene, sempre nel solco della legalità, da parte di tutti.

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