Hanan al-Daqqi, tre anni, passa le sue giornate in ospedale insieme alla sorellina Misk, ponendo domande a cui nessuno sa come rispondere.
“Dov’è la mamma?”
“Dove sono finite le mie gambe?”
Da quattro mesi le due bambine vivono in ospedale, ferite e mutilate da un bombardamento israeliano che ha distrutto la loro casa a Deir el-Balah. Entrambe hanno subito l’amputazione degli arti: Hanan ha perso entrambe le gambe, una sopra il ginocchio e una sotto, mentre Misk ha subito l’amputazione del piede sinistro.
Una vita stravolta in un attimo
Il 2 settembre, la madre delle bambine, Shaima al-Daqqi, 25 anni, si era alzata presto per portare le figlie a fare il vaccino antipolio, in piena guerra. Il giorno dopo, durante il pranzo, un bombardamento ha colpito la loro casa, uccidendo Shaima e ferendo gravemente il resto della famiglia.
Il padre, Mohammed al-Daqqi, 31 anni, è stato ricoverato in terapia intensiva con emorragie cerebrali e lesioni al torace. Le sue figlie sono rimaste gravemente mutilate: oltre alla perdita degli arti, Hanan ha subito ferite profonde al volto e all’intestino, costringendola a un intervento per la rimozione di parte del colon.
“Intrappolati in un incubo”
Shefa al-Daqqi, 28 anni, sorella di Mohammed, si prende cura delle bambine da allora, ma è sopraffatta dalla sofferenza e dalle domande incessanti delle nipoti.
“Non so come rispondere a Hanan quando mi chiede della mamma. Posso solo dirle che è in paradiso”, racconta tra le lacrime.
La fragilità emotiva delle bambine, in particolare di Hanan, è evidente: vivono nel panico e non si separano mai dalla zia.
Un futuro incerto
Shefa si preoccupa per ciò che attende le bambine. “Come cresceranno sapendo di essere diverse dagli altri bambini? Come si sentirà Hanan quando vorrà indossare abiti belli o delle scarpe e si accorgerà che non può farlo?”
Un sistema sanitario al collasso
L’ospedale dove sono ricoverate è sovraffollato e privo di risorse, rendendo impossibile fornire supporto psicologico alle bambine, che ne avrebbero disperatamente bisogno per affrontare le cicatrici fisiche ed emotive di questa tragedia.
Shefa conclude amaramente: “La vita per queste bambine è stata spezzata troppo presto, e noi siamo impotenti di fronte a un dolore così grande.”