Libia, quando il crimine si fa Stato

Libia, dove il crimine si è fatto Stato. Dove a spadroneggiare sono criminali di ogni risma: signori della guerra spacciati, e accreditati all’estero, come uomini di governo

Libia, quando il crimine si fa Stato
Miliziani in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Settembre 2024 - 12.41


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Libia, dove il crimine si è fatto Stato. Dove a spadroneggiare sono criminali di ogni risma: signori della guerra spacciati, e accreditati all’estero, come uomini di governo; mercenari; trafficanti di esseri umani etc. Libia, dove tortura e sparizioni sono la quotidianità.

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Agenzia criminale: un rapporto di Amnesty International

Amnesty International ha dichiarato che l’impunità radicata per le morti in custodia e altre gravi violazioni dei diritti umani da parte dei gruppi armati sotto il comando delle autoproclamate Forze armate arabe libiche (Faal), ha permesso all’Agenzia per la sicurezza interna (Asi) di intensificare, negli ultimi mesi, la sua repressione nei confronti di critici e oppositori politici, tra cui attivisti, scrittori e blogger.

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Dall’inizio del 2024 agenti dell’Asi pesantemente armati hanno arrestato, senza mandato, decine di persone tra cui donne e uomini con più di settant’anni, prelevandole dalle loro abitazioni, dalle strade o da altri luoghi pubblici nelle aree della Libia orientale e meridionale sotto il controllo delle Faal. Le persone arrestate sono state poi trasferite in strutture controllate dall’Asi, dove sono rimaste in detenzione arbitraria per mesi, senza la possibilità di contattare le loro famiglie o gli avvocati; alcune sono state vittime di sparizioni forzate per periodi fino a dieci mesi. Nessuna di loro è stata portata davanti alle autorità giudiziarie, né ha avuto modo di contestare la legalità della propria detenzione o è stata formalmente accusata di alcun reato. Tra aprile e lugliodue persone sono morte in custodia in circostanze sospette mentre si trovavano in centri di detenzione controllati dall’Asi a Bengasi e Ajdabiya. Non sono state avviate indagini penali indipendenti e imparziali sui loro decessi e nessuno è stato ritenuto responsabile.

“L’aumento, negli ultimi mesi, delle detenzioni arbitrarie e delle morti in custodia evidenzia come la cultura dell’impunità abbia incentivato i gruppi armati a violare il diritto alla vita dei detenuti senza temere conseguenze. Questi decessi in custodia si aggiungono al terribile catalogo di orrori commessi dall’Asi contro coloro che osano esprimere opinioni critiche verso le Faal”, ha affermato Bassam Al Kantar, ricercatore di Amnesty International per la Libia.

“In qualità di autorità di fatto nelle regioni orientali e meridionali della Libia, sia il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli che le Faal devono garantire l’immediata scarcerazione di tutti coloro che sono detenuti arbitrariamente soltanto per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione. Le Faal devono inoltre sospendere dalle posizioni di potere i comandanti e i membri dell’Asi ragionevolmente sospettati di crimini di diritto internazionale e di gravi violazioni dei diritti umani. Tale provvedimento deve rimanere in vigore in attesa di indagini penali indipendenti e imparziali, comprese quelle relative alle cause e alle circostanze delle morti in custodia. Laddove vi siano prove sufficienti, tali individui devono essere sottoposti a processi equi davanti a tribunali civili”, ha aggiunto Bassam Al Kantar.

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Amnesty International ha intervistato un ex detenuto, le famiglie di sette detenuti, tra cui i due uomini morti in custodia, così come avvocati, difensori dei diritti umani e attivisti politici.

Nostro figlio ci è stato restituito come un cadavere”

Il 13 luglio 2024 Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi, 44 anni, è morto mentre si trovava in un centro di detenzione dell’Asi ad Ajdabiya, nella Libia nord-orientale. Era stato arrestato arbitrariamente il 10 luglio mentre era in visita, presso lo stesso centro di detenzione, di suo fratello Abdrabo Abdel Moneim Al-Zawi, in carcere per aver criticato l’Asi.

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Secondo fonti informate, l’Asi ha dichiarato che Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi si era suicidato impiccandosi, ma alcuni testimoni hanno riferito di aver visto un livido sulla nuca del detenuto, che sembrava essere stato causato da un forte colpo.

Il 16 luglio Sheikh Al-Sanussi Al-Haliq Al-Zawi, vicepresidente del Consiglio supremo degli anziani e dei notabili della Libia e capo della tribù di Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi, è comparso in un video dicendo: “Nostro figlio (Ahmed) è entrato lì con le sue gambe ed è tornato da noi come un cadavere”.

Meno di 24 ore dopo è comparso un altro video, in cui Sheikh Al-Sanussi Al-Haliq Al-Zawi elogiava l’Asi, riferendo che era stata istituita una commissione per indagare sulla morte di Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi. Amnesty International ha motivo di credere che Sheikh Al-Sanussi Al-Haliq Al-Zawi sia stato costretto a scagionare pubblicamente l’Asi, in linea con un modello già documentato in cui l’agenzia stessa minaccia i sopravvissuti e le famiglie delle vittime se osano esprimersi contro di loro.

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Secondo fonti informate, un procuratore di Bengasi ha archiviato il caso senza avviare alcuna indagine e nel rapporto forense non viene menzionata alcuna lesione alla testa.

Siraj Dughman, analista politico libico, è morto il 19 aprile 2024 mentre si trovava sotto custodia dell’Asi. Le Faal non hanno mai risposto alle richieste della comunità internazionale e della società civile di avviare un’indagine sulle circostanze della sua morte. Il giorno dopo il decesso l’Asi ha dichiarato   che l’uomo era caduto durante un tentativo di fuga. Alla famiglia non è stato permesso di vedere il corpo e non è stato condiviso alcun resoconto sull’autopsia. Amnesty International ha appreso che il certificato di morte riportava come causa del decesso “una caduta da un luogo elevato”.

Arresti arbitrari con accuse pretestuose

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Il 1° ottobre 2023 l’Asi ha arrestato Siraj Dughman e Fathi al-Baaja, segretario generale del partito “Libia per tutti” ed ex membro del Consiglio nazionale di transizione del 2011, insieme a un altro attivista politico, con l’accusa di pianificazione di un colpo di stato contro le Faal. Gli arresti sono avvenuti dopo che il Centro libico per gli studi strategici e futuri, guidato dallo stesso Siraj Dughman, aveva tenuto una riunione interna per discutere del disastroso crollo della diga di Derna. 

Nello stesso mese, l’Asi ha arrestato altri due attivisti politici, accusandoli di appartenere allo stesso gruppo di Siraj Dughman e di complottare contro le Faal. I quattro sono stati poi liberati il 25 agosto, dopo oltre 10 mesi di detenzione arbitraria senza accuse formali né processo.

L’attivista e blogger arbitrariamente detenuta Maryam Mansour Al-Warfalli, conosciuta come “Naklhla Fezzan”,  è stata arrestata dall’Asi a Sabha il 13 gennaio 2024, dopo aver criticato il modo in cui le Faal avevano supervisionato la distribuzione del gas da cucina nel sud della Libia. Maryam Mansour Al-Warfalli è stata per anni una voce critica nei confronti della cattiva gestione del sud del paese.

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Secondo un parente, da quando è stata imprigionata nella sede dell’Asi a Bengasi, a Maryam Mansour Al-Warfalli è stato negato qualsiasi contatto con la famiglia. È stata visitata da uno psichiatra, che il 2 maggio ha richiesto il suo ricovero all’ospedale di Bengasi, dove è rimasta solo per pochi giorni prima di essere riportata in prigione.

Il 4 febbraio 2024 alcuni gruppi armati alleati delle Faal hanno arrestato e fatto sparire forzatamente Sufi Sheikh Muftah Al-Amin Al-Biju, 78 anni, dopo un’irruzione di circa 20 uomini nella sua casa a Bengasi. Secondo un parente, è stato preso di mira solo per aver esercitato il suo diritto alla libertà di religione e credo, nel contesto della persecuzione da parte dell’Asi nei confronti dei sufi, che non aderiscono all’ideologia salafita madkhalita, a cui l’Asi stessa si ispira. Lo stesso parente ha saputo da fonti non ufficiali che la salute di Sufi Sheikh Muftah Al-Amin Al-Biju nel carcere di Qarnada, controllato in parte dall’Asi, sta peggiorando. Soffre, infatti, di diabete e il suo sistema immunitario è indebolito dalle cure per il cancro. Nessuno dei gruppi armati vicini alle Faal ha permesso alla famiglia di fargli visita e di ottenere informazioni circa il luogo della sua detenzione.

L’Asi opera sotto l’autorità de facto delle Faal ed è guidata da Ousama Al-Dressi. I membri dell’Asi hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani per mettere a tacere critici e oppositori. Una somma di 179 miliardi di dinari libici (circa 34 miliardi di euro), approvata nel luglio 2024 dal parlamento della Libia per il Governo libico con sede a est e alleato delle Faal, prevede il finanziamento di gruppi armati, tra cui l’Asi, noti per precedenti violazioni dei diritti umani.

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Le Faal controllano e gestiscono attività di governo a Bengasi, la seconda città più grande della Libia, e in ampie zone della Libia orientale e meridionale. I luoghi in cui le autorità de facto, come le Faal, esercitano il controllo territoriale e delle attività governative, sono vincolati dal diritto internazionale sui diritti umani.

Un’entità separata, anch’essa chiamata Asi, opera nella Libia occidentale ed è guidata da Lotfi al-Harari, sotto l’autorità del Governo di unità nazionale con sede a Tripoli”.

Ora, di tutto questo sono a conoscenza i nostri servizi di intelligence, che monitorano h24 cosa accade a Tripoli, Bengasi, e in ogni altro angolo della Libia. I rapporti di Amnesty International sono di dominio pubblico e vengono ripresi da siti e giornali. Lo stato di illegalità è documentato da inchieste dei più importanti network televisivi internazionali, a cominciare dalla Bbc. Eppure, di tutto questo sembrano non accorgersene a Palazzo Chigi, al Viminale e alla Farnesina. La presidente del Consiglio è impegnata, quando non impelagata in affari di famiglia allargata, in viaggi nel Mediterraneo dove prova a piazzare una “merce” che non esiste: l’etereo “Piano Mattei”. Per far vedere che l’Italia conta ancora qualcosa in quella parte di mondo, stringe accordi e mani di ceffi su cui pendono accuse di crimini di guerra, traffico di esseri umani in combutta con organizzazioni criminali, o di autocrati che hanno riempito le carceri di oppositori, giornalisti, attivisti di diritti umani, sindacalisti…Ma a chi governa l’Italia non interessa. “Me ne frego”, avrebbe detto un signore  in camicia nera che dalle parti di Fratelli d’Italia, va ancora di moda. 

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Dal sito del Governo italiano

7 maggio 2024: “Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è recata oggi a Tripoli dove ha incontrato il Presidente del Consiglio Presidenziale Al-Menfi e il Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Dabaiba. Il Presidente Meloni era accompagnato dai Ministri dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, della Salute, Orazio Schillaci, e per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi. 


Al termine dell’incontro sono state firmate delle dichiarazioni di intenti in materia di cooperazione universitaria e ricerca, salute, sport e giovani nella cornice del Piano Mattei per l’Africa.

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Il Presidente Meloni ha ribadito l’impegno a lavorare con la Libia in tutti gli ambiti di interesse comune attraverso un partenariato su base paritaria fondato su progetti concreti, in particolare nel settore energetico e infrastrutturale. Al fine di approfondire ulteriormente le opportunità di investimenti, nel corso del colloquio, il Presidente Meloni e il Primo Ministro Dabaiba hanno deciso di organizzare un business forum italo-libico entro la fine dell’anno.

Con i suoi interlocutori, il Presidente del Consiglio ha discusso anche dell’importanza di indire le elezioni libiche presidenziali e parlamentari, nel quadro della mediazione delle Nazioni Unite che va rilanciata. L’Italia, in tal senso, continuerà a lavorare per assicurare una maggiore unità di intenti della Comunità internazionale e per promuovere la cooperazione tra Libia e Unione Europea.  

Il Presidente Meloni si è quindi recata a Bengasi dove ha incontrato il Maresciallo Khalifa Haftar con cui ha discusso, tra l’altro, delle iniziative italiane nel settore dell’agricoltura e della salute che interessano anche l’area della Cirenaica, oltre a ribadire la disponibilità dell’Italia a contribuire, anche attraverso le competenze specifiche del nostro settore privato, alla ricostruzione di Derna, colpita lo scorso anno da una drammatica alluvione, in linea con l’impegno a tutto campo che l’Italia aveva messo in campo subito dopo la tragedia. Aspetto, quello della ricostruzione, condiviso anche 
con il Presidente Al-Menfi che ha voluto ricordare il generoso impegno dell’Italia.

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Nel corso della missione, il Presidente del Consiglio ha espresso apprezzamento per i risultati raggiunti dalla cooperazione tra le due Nazioni in ambito migratorio. In questa prospettiva, per il Presidente Meloni permane fondamentale intensificare gli sforzi in materia di contrasto al traffico di esseri umani, anche in un’ottica regionale, e in linea con l’attenzione specifica che l’Italia sta dedicando a questa sfida globale nell’ambito della sua Presidenza G7”.

E hanno pure la faccia tosta di magnificarlo. 

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