Unione europea: Salvini di traverso complica il tentativo di Meloni di rimettersi in carreggiata
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Unione europea: Salvini di traverso complica il tentativo di Meloni di rimettersi in carreggiata

Veleni e sgambetti tra estremisti di destra, post e nao-fascisti, razzisti e anti-europei. Ci sono i capi dei partiti, pure di tre famiglie europee diverse,

Unione europea: Salvini di traverso complica il tentativo di Meloni di rimettersi in carreggiata
Tajani, Meloni e Salvini
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30 Giugno 2024 - 22.37


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Veleni e sgambetti tra estremisti di destra, post e nao-fascisti, razzisti e anti-europei. Ci sono i capi dei partiti, pure di tre famiglie europee diverse, che si devono distinguere, come fa anche oggi, secondo gli alleati, Matteo Salvini. E poi c’è la trattativa che Giorgia Meloni farà «per conto dell’Italia».

Come governo. Nel giorno in cui gli occhi sono tutti puntati sul voto in Francia, a fare rumore in casa della maggioranza non è solo l’uscita del leader leghista che subito plaude in chiave «anti inciuci» all’iniziativa sovranista di Viktor Orban. Ma anche i sospetti, agitati da Vittorio Feltri con un editoriale sul Giornale, attorno al ruolo di Antonio Tajani nei giorni caldi che hanno preceduto lo strappo in Consiglio della presidente del Consiglio. Con Fi che fa quadrato attorno al suo leader e al ruolo «a sostegno dell’Italia» che gioca il partito in seno al Ppe.

Secondo il giornalista, che è peraltro anche un consigliere regionale di Fdi in Lombardia, la precisazione della premier di essersi astenuta sul bis di Ursula von der Leyen «per rispetto di Forza Italia» è stato un modo per far sapere «caro Tajani, è impossibile che tu non fossi al corrente di quella riunione che ha tagliato fuori non tanto me, quanto l’Italia – sei o non sei un capo del Ppe?: perché hai accettato l’inciucio?». Veleni, sospetti. Respinti dagli azzurri come «confusione senile» ed «elucubrazioni irrazionali», dice Paolo Barelli, rivendicando, come fa Maurizio Gasparri un ruolo centrale di Fi, «prezioso per il governo e in particolare – sottolinea – per Giorgia Meloni».

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Certo rimangono le differenze con cui si approcceranno i tre partiti della coalizione al momento del voto del Parlamento europeo, chiamato a confermare la scelta dei leader per un secondo mandato a von der Leyen. Che dipenderà anche dal programma che la tedesca metterà a punto per cercare la riconferma, e pure dall’andamento della trattativa sul «ruolo» da riconoscere all’Italia. Un punto su cui gli alleati, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, ritrovano l’unità di intenti. Il governo, non è un segreto, punta a un commissario «di peso», con portafoglio economico, accompagnato da una vicepresidenza, meglio se esecutiva. Su questo si misurerà alla fine, lo ammettono tutti solo a taccuini chiusi, la vittoria o meno della scommessa fatta dalla premier. Alle intemerate di Salvini «siamo abituati», è il ragionamento che si fa tra i meloniani, «disturbano», ma non incideranno sul negoziato. «Si sa che parla da capo di partito», ripetono. Il leader leghista mette il dito sul potenziale rischio di incoerenza di Meloni – attaccano anche dalle opposizioni – ma lei, dicono i suoi fedelissimi, «sa giocare bene non solo a burraco». E porterà a casa per l’Italia il risultato sperato (con deleghe importanti da affidare a Raffaele Fitto). Sul fronte parlamentare, nonostante la mossa di Orban, «la situazione resta fluida», dice più di un dirigente di Fdi. E se anche si dovesse ricompattare il fronte di Visegrad, attirando anche i polacchi del Pis incerti se rimanere o meno nell’Ecr guidato da Meloni, questo non inciderebbe sul negoziato, anche se verrebbe meno la narrativa del «terzo gruppo» ignorato dal duo Scholz-Macron nel momento delle scelte dei nuovi vertici europei.

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«Ora siamo in un’altra fase», trattano «i governi non i partiti», il refrain. E l’attesa è tutta per le urne francesi. Dalle quali Macron, sono convinti i meloniani, potrebbe uscire più debole. E con una coabitazione in Francia «poi sì che ci divertiamo».

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