Promuovere la pace in Ucraina: necessità di dialogo e soluzioni condivise
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Promuovere la pace in Ucraina: necessità di dialogo e soluzioni condivise

La guerra tra Russia e Ucraina si sta prolungando ben oltre ogni aspettativa. In tanti all’inizio del conflitto prospettavano, o auspicavano, un conflitto breve

Promuovere la pace in Ucraina: necessità di dialogo e soluzioni condivise
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28 Giugno 2024 - 01.32


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di Antonio Salvati

Inutile nasconderselo. La guerra tra Russia e Ucraina si sta prolungando ben oltre ogni aspettativa. In tanti all’inizio del conflitto prospettavano, o auspicavano, un conflitto breve. Potremmo dire la stessa cosa anche per quanto sta accadendo a Gaza. Invece, questi due conflitti proseguono alacremente. Corriamo il rischio dell’abitudine alla guerra. Spesso dimentichiamo che ogni giorno in più di combattimenti significa morte e distruzione. Siamo in un’era di conflitti eternizzati, come quello siriano, che si prolungano per un intreccio di interessi globali. Pertanto tra le principali preoccupazioni dei Paesi Nato c’è, quasi esclusivamente, quella di fornire armamentario militare e arsenali efficienti a Kiev in modo da evitare un esito del conflitto decisamente sbilanciato a favore di Mosca.

Viene spontaneo chiedersi a che cosa è servita questa guerra. Abbiamo un Paese, l’Ucraina, in grande difficoltà, con tanti morti, le città bombardate costantemente, l’economia distrutta, con numerosi mutilati di ritorno dal fronte. E poi tanti profughi nel Paese e in tutta Europa. Una guerra che continua perversamente, in modo tradizionale, con carneficine sul campo di battaglia e bombardamenti sui civili. Non si vede luce in fondo al tunnel proprio perché non si esce dal groviglio di spinte verso il ricorso alle armi come unica soluzione. Come ha più volte ha sostenuto Papa Francesco la guerra non serve a niente, è un’avventura senza ritorno. Chiedere insistentemente la pace spesso procura l’accusa di putinismo. Conosciamo bene quanto il sistema di potere russo sia oscuro e indecifrabile, non democratico. Ma parlare di pace significa provare trepidazione per il popolo ucraino. Tutti sono favorevoli al pieno diritto alla libertà e alla sovranità del popolo ucraino, al diritto a non cedere alla volontà della Russia di farne una propria provincia. Allo stesso tempo non dobbiamo cadere nella retorica della vittoria: sappiamo bene che soltanto la politica, e non le armi, potrà risolvere questa crisi con la Russia, spegnere l’aggressività di Mosca e ricostruire l’architettura di pace e sicurezza in Europa. Il papa ha incaricato il cardinal Matteo Zuppi – un esperto in mediazioni di pace − di aprire canali di dialogo per cambiare l’atmosfera, oggi troppo carica di odio e di incapacità a dialogare. Tuttavia, bisogna anche tenere in conto le forze in campo. E, particolare non da poco, alla sofferenza degli ucraini rimasti nel proprio paese. È assai evidente a tanti che questa guerra, come tante altre, non avrà un chiaro vincitore.

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La potenza russa che si rafforza dal punto di vista bellico, mentre l’Ucraina deve resistere con forze in diminuzione e, verosimilmente, non può vincere la guerra russa di logoramento. Si è trascurata colpevolmente la ricerca di canali di pace. Del resto, prima di cominciare a parlare, non si può intravedere una via. La soluzione non è mai improvvisa e meccanica. Mario Giro ha scritto che questo nostro tempo è abitato da “trame di guerra”, ma anche da “intrecci di pace”, per cui «la guerra non è mai ineluttabile, ma è sempre una scelta politica dei leader, che può essere invertita». I colloqui o i processi di pace – ha più volte ricordato Andrea Riccardi – mettono in movimento le persone e le coscienze, fa maturare idee, sentimenti e speranze. ««Non siamo consegnati a un destino ignoto, su cui non si può esercitare nessuna influenza. Si può ascoltare, comprendere, discutere: i processi messi in moto, talvolta, travolgono le resistenze e mettono in atto movimenti che vanno ben aldilà dei singoli. C’è anche una forza della ragionevolezza della pace, risposta all’anelito di tanti: molte volte è un’energia sottovalutata». Quello che serve è la ripresa del negoziato politico tra i due con la garanzia seria della comunità internazionale. È difficile immaginarlo ora che l’odio è così forte, ma dobbiamo procedere in quella direzione, consci che si doveva fare ben prima.

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Ad un determinato momento vi sarà un cessate il fuoco che evidentemente andrà a fissare alcune posizioni raggiunte durante il conflitto. Successivamente a questo inevitabile momento, le comunità russe e le comunità ucraine dovranno per forza di cose ricominciare a convivere in una situazione senz’altro più difficile rispetto al passato. La capacità di convivenza tra russi e ucraini, tuttavia, sarà decisiva per la lunga costruzione di una pace duratura, ovvero per evitare il ritorno alla violenza. Cosa sarà necessario per far convivere stabilmente queste due comunità? Soluzioni e risposte dovranno scaturire anche dai futuri negoziati di pace. La letteratura scientifica suggerisce che una diffusa consapevolezza che alcune forze di power sharing all’interno di società divise possano aiutare a stabilizzare, istituzionalizzare la pace. L’idea del power sharing parte del presupposto che se all’indomani di un conflitto le diverse parti vengano incluse nelle diverse articolazioni di governo, gli incentivi alla recrudescenza del conflitto tendono a diminuire.

In questo momento, la situazione è estremamente complessa e ben lontana da una prospettiva di questo tipo. Occorre non sottovalutare le rivendicazioni utilizzate speciosamente da Putin come quella relativa alle discriminazioni a cui sarebbero soggetti i diversi milioni di russi che vivono fuori dalla Russia. Nelle repubbliche baltiche di Estonia e Lettonia, ad esempio, all’indomani del 1991 furono introdotte leggi sulla cittadinanza fortemente restrittive che penalizzarono la comunità russa residente. Provvedimenti che non hanno fatto altro che allontanare per anni una “normalizzazione” delle relazioni tra le comunità, fornendo nel contempo forti motivi di recriminazione al Cremlino.

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Una volta avviato il negoziato, serve avere l’audacia e il “coraggio” di non commettere errori come quelli di penalizzare i russi in territorio ucraino. Del resto, il governo di Kiev, in quanto candidato all’UE, dovrà garantire la tutela delle minoranze. Certo sarà difficile chiedere reciprocità in questo senso a Mosca che negli ultimi anni ha visto aumentare innegabili sentimenti di nazionalismo.

In tal senso, è assai arduo concepire soluzioni negoziate di power sharing nei territori contesi ovvero in parte di essi sembra impossibile, anche se tentativi in questa direzione non dovranno in assoluto essere scartati. Questa guerra – occorre ricordarlo – sta lasciando sul campo profonde distruzioni e incommensurabili tragedie umane. Ogni tentativo per evitare che essa si ripresenti in un tempo breve deve essere posto in essere. La verità – ormai eclatante – è che l’ampia enfasi mediatica sul riarmo e le tattiche militari nascondono purtroppo un’incapacità di elaborazione istituzionale da parte delle nostre classi dirigenti. In realtà, i Paesi dell’UE, tuttavia, dovendo essere in futuro i principali “sponsor” di Kiev non possono non farsi promotori di proposte istituzionali che disinneschino gli incentivi alla guerra. Una rinnovata integrazione delle minoranze russe nella società ucraina sarà uno dei passi più importanti e decisivi, per quanto questo oggi appaia oggi impopolare.

Infine, al di là del conflitto in Ucraina, è assolutamente necessario discutere e ridiscutere gli accordi militari, soprattutto la scelta stessa di produrre armi nel nostro Paese. Come chiede papa Francesco, la produzione di armi deve cessare ed essere riconvertita. Ci vuole coraggio per una politica di questo genere, ma qualcuno dovrà pure cominciare. Alcuni come il neoparlamentare europeo Marco Tarquinio hanno dichiarato di volerlo fare. L’Italia può farlo.

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