Torniamo a parlare di Libia. Uno Stato fallito, per tutti. Meno che per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i suoi ministri che continuano a collezionare visite e figuracce nella sponda sud del Mediterraneo, in particolare sulla dorsale Tripoli-Bengasi.
Alla faccia dell’alleato affidabile
Abbiamo perso il conto delle occasioni in cui Giorgia e i suoi discepoli governativi hanno provato a spacciare un generale senza scrupoli, accusato di crimini di guerra, in combutta con trafficanti di esseri umani, per uno statista, di più, per un interlocutore affidabile nella lotta all’immigrazione illegale e, udite udite, alla stabilizzazione della Libia. Lo “statista” in questione si chiama Khalifa Haftar. Costui è stato ricevuto in pompa magna a Palazzo Chigi non tanto tempo fa, omaggiato non solo dalla premier ma da due ministri di punta del governo: il titolare della Farnesina, e vicepremier, Antonio Tajani e il suo collega al Viminale Matteo Piantedosi.
Il generale Haftar ha un protettore a cui deve tutto. Non sta a Roma. Sta a Mosca. E a lui e alle sue navi da guerra apre un porto di rilevanza strategica nel Mediterraneo: il porto di Tobruk. Praticamente, alle porte dell’Italia.
Notizie di agenzia: Due navi militari della Federazione Russa, scortate da due sottomarini, hanno effettuato nei giorni scorsi una sosta ufficiale alla base navale di Tobruk, in Cirenaica, la regione orientale della Libia. A darne notizia è l’ufficio stampa dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), guidato dal generale Khalifa Haftar. “Al fine di rafforzare le relazioni tra il Comando generale dell’Esercito nazionale libico e la Federazione Russa, un gruppo di navi da guerra russe, composto dall’incrociatore missilistico Varyag e dalla fregata Marshal Shaposhnikov, ha effettuato una visita di tre giorni alla base navale di Tobruk, dopo una visita nella Repubblica araba d’Egitto”, si legge in un comunicato dell’Enl pubblicato su Facebook insieme ad alcune immagini della fregata, classe Udaloy e parte della Flotta russa del Pacifico, e dell’incrociatore Varyag. “La visita rientra nei passi concreti atti a rafforzare la cooperazione tra Russia e Libia, ripristinare le relazioni amichevoli di lunga data e usufruire delle competenze russe per rafforzare la sovranità e l’indipendenza dello Stato libico e delle sue forze armate”, aggiunge la parte libica. Da tempo circolano voci sull’intenzione della Russia di aprire una base navale nella città della Cirenaica. Ad aprile, inoltre, si sono verificate almeno cinque consegne significative di armi, tutte effettuate dalla Marina russa attraverso il porto di Tobruk.
Cosa significhi, sul piano geopolitico, questa apertura di porto, lo spiega molto bene Gianluca Di Feo su Repubblica: “Da tempo – rimarca Di Feo – il maresciallo sta negoziando con il Cremlino la cessione di una base stabile in Libia, che permetterebbe a navi e sottomarini di insidiare il Canale di Sicilia e il Mediterraneo occidentale, come avviene già nella zona orientale grazie al porto siriano di Tartus. Di fatto, i moli di Tobruk stanno già venendo utilizzati dai russi per rafforzare la presenza militare nell’intero continente: gli accordi con la giunta golpista nigerina permettono oggi di collegare via terra la Cirenaica con il Niger, il Mali e il Burkina Faso, in pratica l’intero Sahel dove operano i contingenti di Putin.
Non è chiaro se i mezzi da combattimento scaricati in Libia negli scorsi mesi – tra cui decine di tank T72, numerosi camion e pezzi d’artiglieria – fossero destinati all’esercito di Haftar o siano stati inviati a sostenere altre forze. Oltre ai generali che hanno preso il potere nel Sahel, i russi armano i “secessionisti” della milizia Rsf che hanno scatenato la guerra civile in Sudan. E c’è una pressione molto forte sul Ciad, che non ha caso ha espulso un piccolo gruppo di soldati americani.
Insomma, la Cirenaica è diventato il cardine di una partita di Risiko che attualmente vede i russi dilagare dal Mediterraneo al Mar Rosso, dalla Repubblica Centroafricana al Sahara. Contemporaneamente, il Cremlino rinsalda i rapporti storici con l’Algeria; con l’Egitto, dove “Varyag” e “Shaposhnikov” hanno tenuto la scorsa settimana esercitazioni con la Marina di Al Sisi, e cerca di mettere piede in Tunisia. Una grande offensiva diplomatica e militare che non viene contrastata né dall’Europa, nè dagli Stati Uniti.
C’è un altro elemento da tenere presente. Nello scacchiere africano Putin si muove in sintonia con Erdogan: le giunte scacciano le truppe francesi e statunitensi impegnate nella lotta al terrorismo jihadista ma assieme ai russi, soldati o mercenari, aprono le porte ai tecnici turchi e ai loro droni da combattimento. Sta avvenendo praticamente ovunque. Questa intesa tra Mosca e Ankara crea i presupposti per l’ultimo disegno vagheggiato dal Cremlino: negoziare un accordo tra la Tripolitania – dal 2018 sotto l’influenza turca – e la Cirenaica che porti alla nascita di un governo nazionale. Usa, Onu e Ue non sono riuscite a mettere d’accordo potentati politici e tribali che hanno smesso di combattersi senza definire un percorso per le elezioni e la riunificazione del Paese. Ora i russi lavorano apertamente per trovare una soluzione che potrebbe convenire pure a Erdogan, perché sarebbe in grado di tagliare gli occidentali fuori dalla gestione delle risorse energetiche libiche. A maggio pochi giorni dopo la visita a Tripoli di Giorgia Meloni, per la prima volta anche una delegazione tripolina di altissimo livello è stata ricevuta a Mosca.
Le trattative in Libia, nazione che dopo la rivoluzione contro Gheddafi non ha più trovato una stabilità, sono sempre lente e dagli esiti incerti. L’ingresso in scena del viceministro della Difesa, Yunus Bek Yevkurov, un veterano dei conflitti caucasici e un abile mediatore, in poco più di sei mesi però ha impresso un’accelerazione formidabile.
Bek Yevkurov il primo giugno ha firmato con Haftar una serie di accordi militari ed economici, di cui si cominciano a vedere gli effetti. L’azienda Tatneft ha iniziato a discutere il progetto di una raffineria. Ed è stata annunciata la partenza dei primi 250 cadetti della Cirenaica per le accademie russe. Il maresciallo anziano e malato cerca di consolidare il suo dominio e garantire la successione ai figli Saddam e Khaled: pur dipendendo dagli aiuti di Mosca e del Cairo, oltre che dai finanziamenti emiratini, finora ha sempre mantenuto buoni rapporti con l’Italia. Negli ultimi due mesi invece sembra avere completamente ceduto alle lusinghe di Putin, in un abbraccio che potrebbe avere esiti disastrosi per il nostro Paese”.
Porto strategico
“Tobruk – annota Emanuele Rossi per formiche.net – è uno dei porti libici oggetti degli interessamenti delle potenze straniere. È uno scalo da acque profonde, protetto dalla baia di Marsa al Agiusa, collegato da un oleodotto alla Mezzaluna petrolifera e con l’Egitto (meglio che con la Tripolitania, ma d’altronde specialmente quella parte della Cirenaica è inserita nella catena del valore egiziana). Per la Russia è interessante perché poterlo usare significherebbe creare un appoggio a specchio con Tartus, la base navale in Siria, sul lato levantino del Mediterraneo orientale[…]Se Hafatr dovesse accettare di trasformare parte del porto di Tobruk in una base navale russa, darebbe a Mosca un vantaggio strategico, oltre che un aiuto logistico. La Russia, che lavora anche su una possibile base a Port Sudan, sta da tempo cercando un rafforzamento nel Mediterraneo (e nell’Indo Mediterraneo). Le rotazioni della sua presenza navale nel bacino sono aumentate nel corso degli ultimi anni, anche perché queste attività lungo il cosiddetto “Fronte Sud” della Nato servono a impegnare i rivali occidentali — sia adesso, in tempo di pace, sia se le condizioni dovessero in futuro cambiare. È per questo che l’arrivo delle due navi russe nel porto del capo miliziano libico, così come in generale ogni attività di Mosca nel quadrante mediterraneo, è stato tracciato passo dopo passo dai sistemi di monitoraggio della Nato”.
Scontro al Palazzo di Vetro
Botta e risposta tra Stati Uniti e Russia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia, mentre la carica di inviato Onu resta vacante. Il primo briefing al Palazzo di Vetro della responsabile ad interim della Missione di sostegno delle Nazioni Unite (Unsmil) in Libia, la statunitense Stephanie Khoury, ha visto uno scambio di accuse a distanza tra i rappresentanti di Mosca e Washington, rispettivamente Anna Evstigneeva eRobert A. Wood. La prima ha accusato l’Occidente e la Nato di aver commesso un “attacco illegale” alla Libia nel 2011, innescando una reazione a catena che ha portato alla situazione “molto tesa e turbolenta” di adesso. Il diplomatico statunitense ha definito il recente arrivo di navi militari russe al porto di Tobruk come un episodio “particolarmente preoccupante”. Intanto, da parte sua, Khoury ha tracciato un primo resoconto dei suoi due mesi da inviata Onu al posto del dimissionario Abdoulaye Bathily, spiegando che i politici libici sono – almeno a parole – d’accordo sulla necessità di andare alle elezioni, ma non sulle modalità con cui andare al voto.
Insomma, siamo sempre all’anno zero. Elezioni, stabilità, democrazia: parole in libertà, pronunciate a sproposito da quanti, a Roma come a Bruxelles (Ue), non arrossiscono di vergogna nello stringere certe mani o continuare a finanziare signori della guerra, autocrati, criminali in divisa o in doppio petto.
Brutalità senza limiti
La Ong Sea-Watch International ha pubblicato nei giorni scorsi un video della Guardia costiera libica che riporta circa 60 migranti in “condizioni orribili” in Libia. La Ong ha confermato che l’incidente è avvenuto martedì scorso mentre una barca piena di migranti stava affondando. Ha inoltre accusato il capitano e l’equipaggio della nave di essere complici e responsabili “di questo crimine”.
Nel video si sente il capitano della nave dire a Sea-Watch International che rischia di essere arrestato insieme al suo equipaggio, se ignora gli ordini impartiti dalla guardia costiera libica, e che quindi dovrebbe riprendere con la consegna dei migranti salvati. Il video mostra anche i migranti picchiati dalla guardia costiera libica con mazze di legno durante il trasferimento sulla nave della guardia costiera libica recentemente donata dal governo italiano. Sea-Watch International ha avvertito il capitano che la Libia non è considerata un luogo sicuro.
Nel frattempo, nel fine settimana del 7-8 giugno, almeno 17 corpi sono stati avvistati galleggiare in mare. Dodici di loro sono stati recuperati dalle navi civili di ricerca e salvataggio Geo Barents e Ocean Viking. Tali morti indicano che c’è stato un naufragio in cui non è chiaro il numero di vittime.
I corpi sono stati scoperti durante un volo di monitoraggio della Sea-Watch. “Abbiamo individuato corpi che sono ancora in mare”, ha detto Tamino Bòhm, che faceva parte della squadra di monitoraggio che ha scoperto i morti. “Queste morti non sono state un incidente imprevedibile, ma il risultato di decisioni politiche calcolate da parte dell’Unione Europea: ecco come si presenta la politica europea delle frontiere”. Il fatto che i corpi siano rimasti nascosti per più di una settimana dimostra ancora una volta quanto sia necessario il monitoraggio civile nel Mediterraneo. Tuttavia, il monitoraggio dei diritti umani nel Mediterraneo è a rischio: l’Enac, l’autorità aeronautica italiana, sta attualmente cercando di vietare i voli di monitoraggio di Sea-Watch. “Se questo tentativo avrà successo, non ci saranno più testimoni di tali morti”, ha detto Bòhm.
Sono state Medici senza Frontiere e Sos Mediterranee a recuperare i corpi dal mare. “Se non fosse stato per le navi e gli aerei civili di ricerca e salvataggio, questa recente tragedia sarebbe stata probabilmente uno dei tanti naufragi invisibili nel Mediterraneo. Sappiamo che in mare sono stati avvistati altri corpi che non siamo riusciti a recuperare. Non sapremo mai la loro identità, né quante persone sono morte in questo naufragio”, ha affermato Soazic Dupuy, Direttore delle Operazioni di Sos Mediterranee. “La ricerca e il salvataggio umanitario colmano un punto cieco mortale nel Mediterraneo: l’ostruzione e la criminalizzazione del nostro lavoro vitale devono finire”. “Abbiamo ricevuto richieste di famiglie che denunciavano di aver perso i contatti con i propri cari che avevano preso il mare. Chiediamo alle autorità italiane di attivare immediatamente e applicare i meccanismi forensi adeguati ad acquisire e documentare i profili del Dna delle persone che hanno perso la vita”, ha affermato Juan Matias Gil, rappresentante di Msf Ricerca e Soccorso. “La corretta identificazione delle vittime è nostro dovere per aiutare le famiglie ad avere risposte sulla scomparsa dei loro cari”.
Questi criminali in divisa, quelli dell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica, sono ancora finanziati ed equipaggiati dall’Italia.