Israele teme di finire nel rapporto dell'Onu tra gli Stati che colpiscono i bambini nelle zone di guerra
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Israele teme di finire nel rapporto dell'Onu tra gli Stati che colpiscono i bambini nelle zone di guerra

Il governo Netanyahu teme che Israele sarà inserito per la prima volta nel rapporto delle Nazioni Unite sulle entità che danneggiano i bambini nelle zone di conflitto

Israele teme di finire nel rapporto dell'Onu tra gli Stati che colpiscono i bambini nelle zone di guerra
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2 Maggio 2024 - 12.10


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Il governo Netanyahu teme che Israele sarà inserito per la prima volta nel rapporto delle Nazioni Unite sulle entità che danneggiano i bambini nelle zone di conflitto ed è mobilitato in una serie di contatti per cercare di sventare questa possibilità.


Il timore di finire nel rapporto del rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per i bambini e i conflitti armati, atteso il mese prossimo, si somma alle preoccupazioni per un eventuale mandato di cattura internazione per il premier Benjamin Netanyahu da parte della Corte Penale Internazionale: nel primo caso Israele si ritroverebbe in un documento Onu assieme a entità non statuali terroristiche come Stato Islamico e Al-Qaida, nel secondo il capo dell’esecutivo israeliano sarebbe in compagnia di Vladimir Putin e Omar al Bashir.

I media israeliani oggi evidenzianno il ‘secondo fronte’ dopo quello della Cpi: la rappresentante speciale Onu Virginia Gamba sulle zone di conflitto e le conseguenze sui bambini. Secondo Yedioth Ahronot, “funzionari israeliani si stanno affannando dietro le quinte per convincere le Nazioni Unite a correggere le numerose inesattezze incluse nella bozza” internazionale.

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A sollevare particolare allarme sono le numerose dichiarazioni di condanna nei confronti di Israele rilasciate dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. E’ diffusa opinione che nella lista figurerà anche Hamas.

L’inclusione nell’elenco non implica sanzioni immediate ma a Gerusalemme i funzionari al lavoro sulla questione ritengono che faciliterebbe ulteriori iniziative internazionali contro Israele, come il boicottaggio da parte di società commerciali o produttori di armi.

Intanto sul fronte Cpi, Netanyahu ribadisce che la Corte penale internazionale dell’Aia non ha alcuna autorità sullo stato di Israele” e che l’eventualità di mandati d’arresto nei confronti di esponenti di vertici dello Stato israeliano si tradurrebbe in un “scandalo su scala storica” e “una indelebile macchia per l’intera l’umanità, un reato di odio antisemita, che aggiungerebbe carburante all’antisemitismo”.

Dietro le quinte, il governo israeliano starebbe facendo pressioni e cercando sponde per evitare che la Cpi proceda con mandati di cattura che non avrebbero conseguenze pratiche dato che lo Stato ebraico non riconosce la Cpi, ma gli incriminati non potrebbero entrare nei 124 stati che invece la riconoscono. E uomini di governo israeliani, compreso lo stesso Netanyahu, si ritroverebbero sullo stesso teorico piano di Vladimir Putin, ricercato per il rapimento e il traffico di bambini ucraini portati in Russia dalle regioni occupate in Ucraina. La Corte penale internazionale ha in precedenza incriminato l’ex presidente del Sudan Omar al Bashir e anche l’ex leader libico Muhammar Gheddafi.

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Secondo indiscrezioni di stampa, uno dei filoni diplomatici su cui lavorano gli Stati Uniti, primo interlocutore di Israele sulla questione, è una sorta di ‘do ut des’ che eviterebbe passi formali della Cpi se il governo israeliano rinunciasse all’offensiva su Rafah.

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