Israele/Iran, le tentazioni di "Bibi" Netanyahu
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Israele/Iran, le tentazioni di "Bibi" Netanyahu

È la prima volta che l'Iran attacca direttamente Israele sul proprio territorio con centinaia di droni, missili da crociera e missili balistici. Ma...

Israele/Iran, le tentazioni di "Bibi" Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Aprile 2024 - 14.20


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Un evento senza precedenti. Su questo non ci possono essere dubbi. Così come non vi dovrebbero essere dubbi, ma qui il condizionale è d’obbligo per le ragioni che spiegheremo in seguito, che la reazione iraniana, obbligata, si è tenuta dentro schemi “pirotecnici” quanto militarmente contenuti. Senza precedenti potrebbe essere la reazione d’Israele. E qui le cose si complicano.

La mossa del cavallo

Di cosa si tratti lo chiarisce molto bene un editoriale di Haaretz: “L’assalto iraniano a Israele nella notte tra sabato e domenica è stato un evento senza precedenti. È la prima volta che l’Iran attacca direttamente Israele sul proprio territorio con centinaia di droni, missili da crociera e missili balistici. L’Iran ha dichiarato che l’assalto era in risposta all’assassinio di sette membri delle Guardie Rivoluzionarie a Damasco, tra cui il comandante della Forza Quds in Siria e Libano, il Gen. Mohammad Reza Zahedi (Hassan Mahdavi), e che ora “la questione può considerarsi chiusa”.Israele ha anche motivi per considerare la questione come chiusa dal suo punto di vista, almeno al momento, dato che l’attacco iraniano è stato fermato e i danni in Israele sono stati minimi. Questa volta, a differenza del fallimento del 7 ottobre, Israele e l’esercito erano preparati. Non meno importante è stato il “gioco di gruppo”. Il successo della difesa di Israele è il risultato della cooperazione e del coordinamento con i suoi vecchi e nuovi alleati, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e la Giordania, oltre all’Arabia Saudita.

I membri estremisti del gabinetto, in particolare Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, chiedono che Israele attacchi da solo in risposta all’assalto iraniano. Non è una sorpresa. Sono alla ricerca di uno scontro e vogliono ingarbugliare Israele senza capire l’importanza della questione. Attaccare l’Iran senza il sostegno degli alleati di Israele, in particolare degli Stati Uniti, sarebbe irresponsabile e avventato. Israele rischia di trascinare la regione e persino il mondo in una guerra totale. Ecco perché il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha esercitato forti pressioni su Benjamin Netanyahu affinché si astenesse dall’attaccare l’Iran.

Dopo l’assalto iraniano, il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha dichiarato: “Il mondo ha anche visto qual è il potere di una coalizione e come Israele, insieme agli Stati Uniti e ad altri paesi, si è alzato e ha fermato questo attacco in un modo che non ha eguali”. La domanda è se anche i suoi colleghi di gabinetto abbiano visto il potere di una coalizione e se i suoi membri e il primo ministro capiscano che Israele deve agire solo in coordinamento con essa, poiché questa è l’unica garanzia della sua sicurezza e del suo sostegno internazionale. Dopo mesi in cui il mondo si è allontanato da Israele a causa del proseguimento della guerra nella Striscia di Gaza, con il suo gran numero di vittime e la grave situazione umanitaria, Israele sta nuovamente raccogliendo un ampio sostegno internazionale a causa dell’aggressione iraniana.

Israele deve far leva su questo sostegno per raggiungere l’obiettivo più importante di tutti: riportare a casa gli ostaggi e porre fine alla guerra a Gaza. Israele dovrebbe ascoltare il Presidente Biden – il cui sostegno è stato ancora una volta fondamentale per salvare Israele – e ascoltare anche i Paesi arabi di pace che si sono schierati dalla parte di Israele, in particolare la Giordania. Vinceremo solo con i nostri alleati. Agli estremisti e ai guerrafondai della regione va detto: “Non fatelo”.

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L’enigma Netanyahu

Sul tema, è di gran interesse l’analisi di Pietro Batacchi, direttore di RID (Rivista Italiana Difesa), tra i più preparati analisti geomilitari italiani. Annota Batacchi: “Potrebbero chiuderla qui. L’Iran ha dimostrato ai propri alleati nella regione la disponibilità ad assumersi direttamente l’onere della risposta a Israele e di poter comunque colpire il territorio dello Stato Ebraico. Teheran ha salvato la faccia, evitando una figuraccia, e non ha nascosto la sua mano dietro quella di Hezbollah o degli Houthi. Israele, anche grazie al supporto degli alleati, ha retto all’attacco alla grande, intercettando praticamente tutto e riportando solo danni di minor entità. La sua difesa è stata eccellente. Per cui, la vicenda potrebbe ritenersi conclusa, come non hanno mancato di segnalare gli Iraniani. In realtà, purtroppo, non è così.

Israele non può permettersi che il suo avversario percepisca che si possa colpire il territorio dello Stato Ebraico senza che vi sia una risposta. È sempre stato così, per via di una cultura strategica e una dottrina militare figlie della memoria storica e di una profondità strategica che il piccolissimo Stato Ebraico non ha; ed è così anche adesso. E poco importa che il Premier sia Netanyahu piuttosto che Ehud Barak o Shimon Peres. Quindi, attaccare sempre prima, ossia prima che la minaccia si materializzi e, se si subisce un colpo che non si è stati in grado di prevenire, reagire in maniera sproporzionata per ristabilire il deterrente. Il cane pazzo troppo pericoloso per essere disturbato, come amava ripetere il leggendario Moshe Dayan.

Adesso la scelta è nelle mani del Gabinetto di Guerra di Tel Aviv: eccedere nella risposta come da tradizione e dottrina – e come accaduto pure dopo il 7 ottobre – o rispondere in maniera “prevedibile” tarando l’azione sulla base di un più ampio contesto politico-strategico che pone all’azione israeliana dei severi constraints? Staremo a vedere. Il timore, però, è che la partita sia solo agli inizi e che Israele cerchi di “provocare” Teheran e “intrappolare” l’alleato più grande, gli USA, in un conflitto su larga scala. Del resto, una chiave c’è: il programma nucleare di Teheran ha superato il punto di non ritorno, e questo è lo spauracchio non solo di Israele, ma anche di Americani e Sauditi, e di buona parte della comunità internazionale. Ecco, allora, che quei constraints potrebbero ad un certo punto cadere e potrebbero aprirsi nuove opportunità…”.

Due visioni per due conseguenze opposte

Ne scrive, sempre su Haaretz, Anshel Pfeffer, storico inviato di guerra israeliano, tra i più accreditati analisti di politica e sicurezza: “Ci sono due possibili significati strategici dell’attacco missilistico e dei droni iraniani contro Israele nelle prime ore di domenica mattina.

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Uno è quello di vederlo come un successo fenomenale per la strategia di Israele che ha investito, per quasi quattro decenni, in sistemi di difesa missilistica che hanno protetto Israele dal 99% delle oltre 300 munizioni lanciate dall’Iran e dai suoi proxy.

Il temibile arsenale iraniano è stato neutralizzato non solo dalla tecnologia israeliana, ma anche da un’alleanza di potenze occidentali – Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia – che hanno lavorato al fianco di Israele e di nazioni arabe amiche. Hanno superato le loro differenze contro il nemico comune. Un regime iraniano spavaldo è stato umiliato e la deterrenza di Israele è stata ristabilita.

L’altra interpretazione è che l’Iran non è più dissuaso dal lanciare un attacco diretto a Israele. Nessuno Stato ha attaccato direttamente Israele per 33 anni, da quando l’Iraq di Saddam Hussein lanciò missili Scud durante la Guerra del Golfo del 1991. Questo tabù è ora infranto. Secondo la valutazione israeliana, nonostante l’attacco del 1° aprile all’ambasciata iraniana a Damasco, in cui sono stati uccisi un generale delle Guardie Rivoluzionarie e altre sei persone, l’Iran non avrebbe cambiato la sua politica di nascondersi dietro i suoi proxy. Questo è stato ovviamente l’ennesimo errore dell’intelligence israeliana.

Israele, che si vanta della sua capacità di difendersi da solo, ha avuto bisogno dell’aiuto degli Stati Uniti e di altri paesi per farsi scudo. Nonostante le intercettazioni siano andate a buon fine, una manciata di missili iraniani è riuscita a passare, compreso uno che ha colpito la base aerea di Nevatim. Sebbene non siano stati causati danni gravi, Israele rimane impantanato in una guerra a Gaza in cui gli ostaggi muoiono in prigionia e le comunità deserte al confine settentrionale vengono ancora bombardate il giorno dopo da Hezbollah. La deterrenza di Israele non è mai stata così vuota.

Quale di questi scenari è esatto?

L’attacco iraniano senza precedenti rappresenta un punto di svolta. Israele, insieme alle principali potenze occidentali e ai suoi vicini arabi, ha appena dimostrato che una risposta coordinata che utilizza una rete di radar, vari tipi di missili intercettori e jet da combattimento può mettere al riparo un paese da un attacco combinato di missili balistici e da crociera e da sciami di droni suicidi.

Si tratta di una pietra miliare nello sviluppo storico della tecnologia militare, con implicazioni globali. Livelli di difesa simili potrebbero proteggere altri Paesi come l’Ucraina e Taiwan.

A livello regionale, il coordinamento raggiunto dagli Stati Uniti tra Israele e i suoi vicini è un momento cruciale. Per ovvie ragioni, i leader israeliani stanno enfatizzando le capacità dei propri sistemi di difesa, mentre gli americani si concentreranno su come hanno lavorato per difendere Israele. Entrambi gli elementi sono stati fondamentali.

I dettagli completi su come i regimi arabi sunniti abbiano aiutato a proteggere Israele, salvando senza dubbio vite israeliane dai missili e dai droni iraniani, potrebbero non essere noti per un po’. Ma si tratta di un cambiamento storico. Sia che si attribuisca il merito a Yitzhak Rabin e Bill Clinton per l’accordo di pace con la Giordania nel 1994, sia che si attribuisca il merito a Benjamin Netanyahu e Donald Trump per i più recenti accordi di Abraham, il risultato è lo stesso.

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A Benny Gantz, attualmente l’adulto responsabile del gabinetto di guerra, va il merito di aver spinto l’alleanza di difesa aerea del Medio Oriente, che ora ha dimostrato la validità del suo concetto. C’è un conflitto Israele-Iran e un conflitto Israele-Palestina, ma le nazioni arabe – o almeno i loro leader – stanno collaborando con Israele.

Nonostante la devastazione e la carneficina a Gaza negli ultimi sei mesi, la cooperazione araba contro l’attacco iraniano dimostra che la tendenza nella regione è ancora quella di un’alleanza arabo-americana-israeliana contro l’Iran e i suoi proxy. È un’opportunità per Israele di costruire su questa partnership nascente e di rafforzare la sua deterrenza. Il magro risultato dell’attacco iraniano può essere un colpo strategico per il regime di Teheran se l’alleanza continua e viene rafforzata.

Spetta ora a Israele calibrare la sua inevitabile risposta e coordinarla con l’amministrazione Biden, per evitare una conflagrazione regionale e ridurre al minimo le ripercussioni sui vicini che ora sono alleati di fatto. In definitiva, per consentire loro di cooperare gradualmente e più apertamente con Israele in futuro e per resistere alle critiche all’interno dei loro paesi per la mancanza di “solidarietà” con i palestinesi, la strategia di Israele deve essere una rapida fine della guerra a Gaza, come parte di un accordo più ampio per il rilascio degli ostaggi e l’attuazione della Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite nel nord, allontanando Hezbollah dal confine.

Ma con la coalizione di governo di estrema destra di Netanyahu e le richieste pavloviane dei suoi ministri di invadere Rafah “ora” (Bezalel Smotrich) e di lanciare una risposta “devastante” all’Iran (Itamar Ben-Gvir), è molto probabile che Israele sprechi questa opportunità.

Anche se Netanyahu riuscisse a resistere alle richieste di una punizione istantanea e senza scrupoli, non dare seguito al sostegno che Israele ha appena ricevuto dai suoi vicini con una risposta che includa anche elementi diplomatici significherebbe sprecare un’occasione storica per organizzare un fronte molto più efficace contro l’Iran.

In caso contrario, l’Iran potrebbe vincere questo momento strategico”, conclude Pfeffer.

E qui gli interessi personali di chi governa Israele si scontrano con quelli del paese. Un Netanyahu “moderato” dovrebbe scaricare i suoi alleati di estrema destra, quelli che l’hanno sempre sostenuto, e condizionato, nel suo “golpe giudiziario”, prima, e dopo il 7 ottobre nella strategia dell’annientamento adottata e praticata a Gaza. La guerra resta l’assicurazione sulla vita politica di “Bibi” almeno fino a novembre, quando in America si vota. E se a vincere la sfida presidenziale sarà Donald Trump, Netanyahu farebbe bingo. Accettare di mettersi sotto tutela dell’odiato Biden sarebbe uno sgarbo fatto all’amico Donald. Semplicemente impensabile. 

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