Da Londra a Giacarta, con la Palestina nel cuore
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Da Londra a Giacarta, con la Palestina nel cuore

Da Londra a Giacarta, passando per Amsterdam, dove sono state esposte scarpette per bambini a simboleggiare l'infanzia vittima della guerra a Gaza

Da Londra a Giacarta, con la Palestina nel cuore
Manifestazione pro-Palestina
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Gennaio 2024 - 19.04


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Con la Palestina nel cuore. In Europa, nel mondo. 

Da Londra a Giacarta, passando per Amsterdam, dove sono state esposte scarpette per bambini a simboleggiare l’infanzia vittima della guerra a Gaza, oggi, che coincide col centesimo giorno di guerra in Medio Oriente e viene pubblicizzato dai movimenti pro-Palestina come “Giornata di mobilitazione globale”, si sono moltiplicate nel mondo manifestazioni per il cessate il fuoco immediato e di denuncia nei confronti di Israele.

Ne dà notizia la tv qatariota al Jazeera, che mostra diverse foto delle proteste, aprendo con la capitale britannica. Qui il reporter inglese di Al Jazeera scrive che i manifestanti “si stanno radunando” per marciare su Parliament Square a Westminster e a Trafalgar Square e di aspettarsi una partecipazione “enorme”, forse di “centinaia di migliaia” di persone, dai quattro angoli della Gran Bretagna, dal Galles come da Newcastle e da Brighton, stimolate – scrive -, oltre che dal crescente numero di vittime civili a Gaza, anche dall’attacco Usa-Regno Unito allo Yemen. In una foto si vede un manifestante con la maschera del premier israeliano Netanyahu davanti a una bandiera israeliana schizzata di sangue e con in mano una bambola insanguinata, a simboleggiare i bambini morti sotto i raid, che Hamas quantifica approssimativamente in 10.000 in 100 giorni. In un’altra immagine si vedono nelle strade londinesi bandiere palestinesi e un cartello con la scritta “Giornata di mobilitazione globale”. Proprio i bambini vittime della guerra sono al centro della protesta ad Amsterdam, dove sulla centrale piazza Dam sono state disposte sul selciato migliaia di paia di scarpette da bambini, di tutti i colori e le fogge, in file parallele. Dalla capitale indonesiana Giacarta, al Jazeera mostra una foto di manifestanti con in mano cartelli con le scritte “Cessate il fuoco subito” e l’immagine di una clessidra e la foto di Netanyahu con la dicitura “Ricercato per genocidio”: un’allusione al procedimento intentato dal Sudafrica contro Israele presso la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja. Infine dalla Thailandia Al Jazeera pubblica un’immagine di una donna musulmana che tiene una grande bandiera palestinese davanti all’ambasciata israeliana a Bangkok.

Una esperienza  straordinaria

Come trasformare un dolore indicibile in una speranza di dialogo, di convivenza. Una esperienza di straordinaria significanza che va ricordata e rilanciato oggi, quando a dominare è l’odio e la violenza. L’esperienza di Parents Circle.

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Parents Circle  è stata creata nel 1995 da Yitzhak Frankrental e alcune famiglie israeliane, che nel 1998 hanno incontrato per la prima volta altre famiglie, in lutto come loro, ma palestinesi. In seguito questi incontri si sono dovuti interrompere a causa della seconda Intifada, ma nel 2000 sono stati ripresi e l’organizzazione ha iniziato a raccogliere le adesioni di molte famiglie provenienti dalla West Bank e da Gerusalemme Est, che fin da subito hanno giocato un ruolo fondamentale nel modellare le funzioni e le attività dell’associazione. Oggi si contano circa 600 famiglie associate, e due uffici, quello israeliano nei pressi di Tel Aviv e quello palestinese a Beit Jala.

“Parents Circle esiste per dare speranza e conforto a tutte quelle persone che, loro malgrado, finiscono dolorosamente coinvolte nel sistema di conflitti, spesso senza senso, che imperversa in questa zona del Medio Oriente. Esiste per ricordare che l’odio non è la speranza, che la solidarietà aiuta veramente, e non sono solo parole. I –purtroppo- numerosi membri dell’associazione possono testimoniarlo, perché anch’essi inizialmente avevano pensato di non farcela, e avevano rischiato di soccombere all’odio, alla violenza ingiustificata e al pensiero che nulla sarebbe mai cambiato.

Parents Circle fa capire a queste persone che non ci sono né carnefici né vittime, né vincitori né vinti, perché siamo tutti carnefici e vittime allo stesso modo, soprattutto vittime di un sistema più grande di noi che prima o poi dovrà cambiare. I membri e gli organizzatori credono fortemente in questo cambiamento; pur non sapendo quando arriverà, essi sanno che arriverà, e sono in grado di diffondere questa scintilla di positività a una madre che ha appena perso un figlio, a un fratello che ha perso la sorella, o a un bambino che ha perso i genitori”, così lo racconta, mirabilmente, Andre Zhulpa Camporesi su Gariwo la foresta dei Giusti. 

La forza del dialogo

Ne scrive, con grande sensibilità e accuratezza, Giulia Ceccutti per terrasanta.net: “In un momento storico in cui israeliani e palestinesi sembrano sempre più destinati a non capirsi, torniamo all’esperienza del Forum di famiglie Parents Circle e al suo programma rivolto agli studenti delle scuole superiori. Un’esperienza piccola, sì, ma certamente preziosa.

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«Noi non ci arrendiamo. È troppo importante e andremo avanti con questo e con gli altri progetti a cui stiamo lavorando». All’altro capo del telefono, da Tel Aviv, la voce di Robi Damelin è calma ma decisa.

Robi è la portavoce Parents Circle-Families Forum (Pcff),, organizzazione congiunta israeliana e palestinese che riunisce oltre seicento famiglie in lutto. I membri hanno pagato il prezzo più alto a causa del conflitto: la morte di una persona cara.

Nel 2002 Robi ha perso un figlio trentenne, David, mentre era in servizio come ufficiale dell’esercito. Fu ucciso a un check-point nei Territori Occupati da un ragazzo palestinese di ventidue anni. La storia di questa madre, insieme a quella della palestinese Bushra Awad, è narrata, anche in italiano, nel libro Le nostre lacrime hanno lo stesso colore (Edizioni Terra Santa, 2017).

La storia di Ali

“Io ero stato ferito il 22 ottobre del 2000. Un mese dopo, il 16 novembre, mentre ero ancora in ospedale, ricevetti una telefonata: mio padre mi comunicava che Yousef era morto, colpito alla testa da un soldato israeliano […].

Dopo sei mesi dalla morte di mio fratello arrivò un’altra telefonata. Era di un israeliano, un ebreo, che mi raccontava di come suo figlio fosse stato preso e ucciso da Hamas. Aggiunse che voleva incontrarmi e parlare con me dei nostri cari perduti e del nostro futuro. Rimasi stupefatto, non potevo crederci: un israeliano a cui noi palestinesi avevamo preso e ucciso un figlio voleva parlare con me, un palestinese. Con tutti i pericoli connessi a una simile visita. Gli risposi che era il benvenuto. E così vennero. C’era Roni Hirshenson, che aveva perso due figli, uno in un attentato e l’altro suicidatosi dopo aver perso il miglior amico a Gaza, e altre tre persone.

Entrarono a casa nostra, si sedettero, e cominciarono a raccontare la loro storia. C’era tutta la mia famiglia, mia madre, i miei fratelli, le nostre mogli, e man mano che sentivo i loro racconti cominciai a piangere: anche tra gli israeliani c’era qualcuno che soffriva e che capiva la nostra sofferenza.

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Poi cominciarono a raccontarci di Parents’ Circle, di queste famiglie palestinesi e israeliane colpite da gravi lutti, e della riconciliazione e della pace eccetera. Io davvero non potevo crederci: avevamo ucciso i loro figli e loro venivano qui a dirci che tutto questo succedeva a causa dell’Occupazione, che i coloni ci impedivano di vivere e che noi non eravamo colpevoli… . È stato così che sono entrato nell’associazione”. Ali Abu Awad

La storia di Yaakov

“Nel 1982, quando era già in procinto di lasciare l’esercito, era andato a trascorrere qualche giorno nel Negev con gli amici. Si stavano divertendo moltissimo, era venerdì sera, erano seduti attorno a un fuoco a ridere, scherzare, bere birra, quando arrivò una telefonata: “i criminali libanesi si stanno muovendo”. Sapevano di dover conquistare il Castello Beaufort… Era una collina dalla quale negli anni Settanta i palestinesi avevano sparato. L’82 però era stato uno degli anni più tranquilli, c’era stato un accordo con il governo israeliano per un cessate il fuoco… Invece improvvisamente gli israeliani cominciarono quella guerra sanguinaria contro il Libano. Era il 6 giugno 1982 e la prima notte Raz, assieme a cinque amici e al comandante dell’unità, venne ucciso.

Posso dire che da quel momento la mia vita è stata stroncata. Non è più la stessa vita e io non sono più la stessa persona… Puoi trovarti davanti a una bellissima fotografia, essere a Parigi, con un bellissimo panorama e improvvisamente iniziare a piangere perché tuo figlio non potrà vedere tutto questo, non potrà guardare il mare, né ascoltare la musica… Andava pazzo per quella che definiva la “buona” musica, i Dire Straits, aveva anche cercato di convincermi, “hanno tutti fatto il conservatorio!”…Due giorni dopo la morte di Raz mi venne proposto di incontrare il padre di uno dei combattenti palestinesi che l’aveva ucciso. Accettai. “Siamo entrambi genitori infelici”. Raz aveva ucciso dei palestinesi e dei palestinesi avevano ucciso lui. “Siamo entrambi vittime di questo assurdo conflitto”. Yaakov Guterman

(Tratto da “Per mano. Per mano dell’altro, per mano con l’altro”, edizioni Una città, 2005).

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