“La guerra dimostra che occorre distribuire armi ai cittadini”. A proclamarlo lo ha detto il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben Gvir.
Riferendosi ai disordini del maggio 2021 in cui estese violenze si svilupparono in città israeliane a popolazione mista ebraica ed araba, Ben Gvir ha detto di aver dato istruzione al capo della polizia di prepararsi ad affrontare una nuova insurrezione.
”Penso che essa sia imminente”, ha affermato. Ben Gvir parlava con la stampa a Sderot, una cittadina vicina alla striscia di Gaza. ”Ho dato ordine che da oggi tutti qua possano girare armati”, ha aggiunto. Nell’immediato – ha reso noto il ministro – saranno distribuiti 4.000 fucili d’assalto ai membri delle cosiddette ‘squadre di allerta’ composte da volontari con esperienza militare che sono attive in tutte le località minori di Israele. Il loro compito è di reagire immediatamente in caso di attacchi in attesa che le forze di polizia o dell’esercito entrino in azione. Un’armata a sua disposizione. A disposizione di Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza interna d’Israele. Un razzista. Razzista e fascista. Per pratica, cultura, trascorsi. Su di lui, Globalist ha scritto decine di articoli quando il silenzio mediatico, dell’informazione mainstream, era da tempo calato su Israele e la Palestina.
Alla base dell’apartheid
Chi sia Ben-Gvir lo spiega molto bene un editoriale di Haaretz,: “
Il ministro è stato ospite del notiziario di Channel 12 e, in quanto esponente della supremazia ebraica, ha colto l’occasione per diffondere la sua malattia. “Il mio diritto e quello di mia moglie e dei miei figli di percorrere le strade della Giudea e della Samaria è più importante della libertà di movimento degli arabi”, ha detto. Poi si è rivolto al giornalista Mohammad Magadli e ha aggiunto: “Scusa Muhammad, ma questa è la realtà, questa è la verità. Il mio diritto alla vita viene prima della libertà di movimento”.
L’ondata kahanista che ha investito Israele è torbida, brutta e minacciosa. Ma proprio per la sua visibile crudezza, sempre più israeliani si stanno svegliando e vedono il collegamento diretto tra l’impresa degli insediamenti, il concetto di supremazia ebraica e il colpo di stato giudiziario. Per decenni hanno potuto fingere che la democrazia israeliana fosse solida anche con l’occupazione, ma ora si stanno rapidamente rendendo conto: L’una non può convivere con l’altra. “La protesta sta arrivando alle radici del colpo di stato”: questo è il messaggio pubblicitario sponsorizzato dai leader della protesta, che invita a manifestare davanti alla casa di Ben-Gvir nell’insediamento di Kiryat Arba venerdì alle 11 del mattino.
Ben-Gvir è effettivamente uno dei principali motori del colpo di governo, ma ce n’è anche un altro, molto importante: gli insediamenti, la loro espansione, il loro mantenimento e il desiderio di annettere questi e tutti i territori occupati, senza concedere la cittadinanza israeliana ai milioni di palestinesi che vi abitano.
Il risveglio di questa connessione è doloroso ma necessario. Inizialmente il movimento di protesta ha cercato di rimanere separato dalla lotta contro l’occupazione e il diritto all’autodeterminazione palestinese, ma ora i suoi leader stanno iniziando a capire che le due cose sono inseparabili. Il colpo di stato giudiziario è essenziale per il processo di consolidamento dell’apartheid e di rafforzamento della supremazia ebraica. Se la protesta raggiungerà le fonti del colpo di stato, allora la nostra speranza non è ancora persa”.
In che mani è Israele
Chi scrive ne ha dato conto in un libro uscito a luglio, in condivisione di due amici e colleghi che Israele e la Palestina conoscono come pochi altri: Enrico Catassi e Alfredo De Girolamo.
Il libro in questione s’intitola L’ultimo azzardo di re Netanyahu. La democrazia in pericolo (Edizioni ETS), impreziosito dalla prefazione di Gadi Luzzatto Voghera e la postfazione di Anshel Pfeffer.
Illuminante è questo passaggio dedicato ai ministri più fascisti del governo più a destra nella storia d’Israele: “La coppia Ben-Gvir e Bezalel Smotrich forti del risultato che li eleva a terza compagine della Knesset alla fine hanno ottenuto il diritto ad avere portafogli di prima fascia: Sicurezza e Finanze. Nel nuovo esecutivo Smotrich, che si vanta di essere «un fascista omofobo, ma sono un uomo di parola… non lapiderò i gay», allarga le proprie competenze di fisco anche su materie del ministero della Difesa, incorporando la responsabilità della gestione della regione centrale, che include i territori della Giudea e della Samaria (ovvero il cuore dell’odierna Palestina), dove si gioca l’annosa, e complicata, questione degli insediamenti. Non meno sconvolgente che Ben-Gvir, fervente credente che «chiunque uccida, danneggi e massacri civili dovrebbe essere mandato sulla sedia elettrica»19 e renitente alla leva obbligatoria, sieda comodamente sulla poltrona di “capo” della polizia. In un commento a “caldo” dopo l’esito delle urne il professor Della Pergola argomenta: «Essere di destra è legittimo, è ovvio. È la democrazia, che va rispettata. Ogni popolo ha il governo che si merita. Il popolo segue determinati istinti, magari poi si pente, nonostante tutto la democrazia è la forma migliore che esista. Certo, in Italia nel 1924 ci furono le elezioni e Mussolini vinse nonostante lo scandalo della morte di Matteotti, mentre qui in Israele tra i vincitori c’è chi gioì per la morte di Rabin. Per questo sono preoccupato. Il 1924 italiano non è comparabile con il 2022 in Israele, però il fatto è che un leader in Israele dovrebbe rivolgersi al popolo cercando l’unione nazionale, perché sappiamo che Israele deve affrontare situazioni difficilissime di sopravvivenza. Questo non è successo. In campagna elettorale Netanyahu ha detto di puntare a un governo “Yamina malè”, di “destra piena”, per cui chi non è con lui diventa un traditore. Credo che queste posizioni siano molto pericolose».
Benjamin Netanyahu è un falco della destra, atipico, non è un avventuriero, non crede nel suprematismo ebraico, non rispetta lo Shabbat e tantomeno i dettami della cucina kosher. È un laico populista permeato da atavici principi anti-sinistra, ereditati dal padre Benzion, professore di storia medievale, che si considerava vittima di ostracismo da parte dell’élite laburista del tempo, e per questo lasciò Israele con la famiglia per proseguire la carriera universitaria negli USA. Il dottor Benzion Netanyahu è stato una figura strumentale del sionismo revisionista, credeva fermamente nell’idea di un “Grande Israele”, promossa all’inizio del secolo scorso dal politico Vladimir Jabotinsky, di cui fu allievo e stretto collaboratore: «Ben Zion sarà per tutta la vita legato e ossessionato da Vladimir Jabotinsky, di cui fu intimo segretario personale e che soltanto dopo sessant’anni sarebbe diventato la figura più popolare in Israele dopo esserne stato il demone nero che non meritava neppure l’eterno riposo nella terra che tanto amava. E questa ossessione è passata al figlio». Il pensiero di Jabotinsky – “per cui lo Stato di Israele non è un mezzo per raggiungere un grande ideale, lo Stato è il grande ideale” – è alla base dell’evoluzione culturale della destra israeliana. Bibi non solo è oggi il massimo esponente di questa visione ma è colui che l’ha saputa applicare contestualizzandola al marketing della politica in un modo tutto suo. «L’ideologia di Netanyahu è una sintesi tra l’allarmismo di Jabotinsky e il capitalismo americano. Il popolo ebraico, secondo Netanyahu, ha i suoi vantaggi e svantaggi. I suoi vantaggi sono i suoi talenti; il popolo ebraico è estremamente talentuoso; pertanto, è destinato a prosperare. Il suo svantaggio è la sua ingenuità. Il popolo ebraico è ingenuo; pertanto, gli ebrei sono sempre in pericolo esistenziale. La visione di Netanyahu è quella di creare una situazione in cui le virtù del popolo ebraico compensino le sue carenze. Le cose che impediscono al popolo ebraico di esplodere e prosperare sono l’eccessiva burocrazia, un’economia centralizzata e tasse pesanti. Pertanto, se riduciamo le tasse, privatizziamo le aziende e rimuoviamo gli ostacoli burocratici, secondo Netanyahu, il genio del popolo ebraico sarà libero di creare un’economia potente e in espansione. E un’economia robusta può sostenere un forte esercito. In altre parole, un’economia di libero mercato libererà talenti ebrei, e questo talento ebraico creerà il potere necessario per compensare l’ingenuità del popolo ebraico. In breve, il capitalismo è la risposta all’allarmismo», questa l’opinione di un stimato studioso del pensiero ebraico come Nell’accreditare il paradigma secondo cui lo Stato di Israele ha bisogno di prosperare per sopravvivere (e il popolo ebraico è l’unica nazione che ha bisogno di dimostrare genialità per raggiungere la normalità) Netanyahu ha portato ad esempio due elementi, rivendicati con orgoglio e superbia nella propaganda: l’essere in grado di identificare i pericoli prima di chiunque altro, e l’aver avviato le più grandi riforme economiche della società israeliana. Storie passate, oggi l’economia è in affanno e i pericoli, non solo terroristici, imprevedibili. Nell’esaltazione dei propri successi Bibi dimentica però di menzionare il contributo tanto di Ariel Sharon quanto Shimon Peres, entrambi espressione della scuola di Ben-Gurion.
Altra cosa è invece l’accostamento d’immagine che Netanyahu ha offerto a Ben-Gvir. Visibilità scenica che non sarebbe comunque piaciuta ad un pilastro dei conservatori israeliani come Yitzhak Shamir, il quale pur di non legittimare il fanatismo di Kahane era solito uscire dall’aula quando questo, eletto nelle fila dell’allora partito Kach (oggi bandito), prendeva la parola. Ma Netanyahu non è Shamir. E tantomeno non è Menachem Begin. Bibi è Bibi. Capace di andare serenamente a pescare in acque senza fondo, tra personalità politiche che Horovitz tratteggia così: «non sono tutti tolleranti nel loro ebraismo. Non sono certamente tutti democratici. Non sono tutti sionisti. Ma ne ha bisogno per defenestrare il sistema giudiziario, “riequilibrare” i rami del governo a suo favore e porre fine al suo processo. E alla fine – anche se finanzia le scuole ultra- ortodosse e la rete delle yeshiva che sminuiscono la manodopera; anche se le decisioni e le leggi pro-teocrazia proliferano, su tutto, dalla limitazione durante lo Shabbat ai lavori di mantenimento delle infrastrutture, al finanziamento di eventi pubblici separati per genere, al divieto di hametz (cibi lievitati) negli ospedali durante la Pèsach; anche se i suoi accordi di coalizione prevedono discriminazioni anti-arabe e anti-LGBTQ – afferma di poter limitare le loro inclinazioni più oltraggiose. Lui è Re Bibi, dopo tutto. Eppure potete essere certi che gli Aryeh Deri, Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir – energici, implacabili, più giovani – credono, seppure baciano in malafede il suo metaforico anello, che avranno l’ultima parola». In fin dei conti per loro Netanyahu incarna perfettamente non la figura del zaddiqma quella dell’ “asino del messia”, a cui si sono affidati sulla strada per uno stato governato dalla legge religiosa, che culminerà, pensano, con la venuta del Messia.
L’attuale composizione della Knesset ufficializza l’ingresso del fascismo nel tempio della democrazia israeliana, non è la prima volta che accade. E non sarà l’ultima. Ma come è stato possibile lasciare libero l’elefante dentro il negozio di lampadari? Alla domanda lo scrittore Yossi Klein, dalle pagine di Haaretz, risponde che il fascismo è profondamente permeato nella società israeliana: «I processi sono dinamici. Si
sviluppano e avanzano, prima alla Knesset, poi al gabinetto e poi a casa vostra. Il fascismo è una vecchia conoscenza. È qui dal 1967, forse da prima. Ci si vergognava di chiamarlo così, ma era presente a ogni passo, anche se lo accettavamo in silenzio. Oggi non c’è più vergogna. Il fascismo non è più una maledizione. Oggi si può dare del fascista a qualcuno e non si viene insultati. Chiamateci fascisti se vi va, a Otzma Yehudit non interessa, alle prossime elezioni Yigal Amir (l’assassino di Rabin) avrà un posto in lista. Così come abbiamo legittimato Ben Gvir, verrà legittimato il fascismo. Lo convertiremo. Prenderemo l’estrema destra, le metteremo una kippah, le frange rituali e avremo un fascismo sionista-religioso. Umberto Eco ha definito il fascismo anche come una profonda affinità con la tradizione, una concezione del dissenso come tradimento, un’ossessione per la cospirazione e il culto dell’eroe e della morte. Il fascismo religioso sionista ebraico ha tutto questo».
E di questo fascismo in armi Ben-Gvir ne è il “duce”.
Argomenti: israele Guerra di Gaza