Guerra di Gaza, Hamas minaccia di uccidere pubblicamente gli ostaggi: tra loro due italiani
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Guerra di Gaza, Hamas minaccia di uccidere pubblicamente gli ostaggi: tra loro due italiani

A 72 ore dall'attacco senza precedenti di Hamas contro Israele, la minaccia dei miliziani getta ulteriore terrore su un Paese sotto shock.

Guerra di Gaza, Hamas minaccia di uccidere pubblicamente gli ostaggi: tra loro due italiani
Anziana israeliana sequestrata da Hamas
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9 Ottobre 2023 - 22.35


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“Cominceremo a giustiziare pubblicamente un civile israeliano in ostaggio per ogni bombardamento israeliano su abitazioni civili a Gaza senza preavviso”. A 72 ore dall’attacco senza precedenti di Hamas contro Israele, la minaccia dei miliziani getta ulteriore terrore su un Paese sotto shock. Tra i rapiti ci sarebbero anche due italo-israeliani, marito e moglie, che si trovavano nel kibbutz di Beeri, dove oggi sono stati trovati 108 cadaveri. “Non rispondono alle chiamate della famiglia. Probabilmente sono stati presi in ostaggio, oppure risultano dispersi, non abbiamo ancora la certezza”, ha detto in serata il ministro degli Esteri Antonio Tajani, riferendosi a Eviatar Moshe Kipnis e Liliach Lea Havron, questi i nomi della coppia con doppio passaporto.

L’annuncio di Hamas è arrivato dopo che entrambi i fronti avevano chiuso le porte a una trattativa: “Non è possibile alcun negoziato, sulla questione dei prigionieri o altro”, ha avvertito Hossam Badrane, membro dell’ufficio politico di Hamas a Doha. “Dobbiamo entrare a Gaza, non possiamo trattare ora”, avrebbe invece detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu al presidente Usa Biden che gli chiedeva degli ostaggi.

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Mentre si rincorrono le indiscrezioni sul possibile ruolo dei Paesi arabi per riportare a casa le decine di uomini, donne e bambini caduti nelle mani dei jihadisti, crescono gli appelli disperati sui social e gli allarmi delle cancellerie di tutto il mondo. Perché gli ostaggi sono israeliani ma anche tedeschi, britannici, statunitensi, francesi, sudamericani, asiatici. E italiani appunto. Alcuni riconosciuti e identificati dagli scioccanti video dei rapimenti, virali sui social, altri ufficialmente indicati come dispersi oppure morti. Di loro infatti non si può ancora conoscere il destino con certezza. E le bombe non distinguono se sei vittima o sequestratore: “Quattro prigionieri israeliani sono stati uccisi dai raid su Gaza”, ha sostenuto così Abu Obeida, portavoce delle Brigate Izzedin al Qassam, ala armata di Hamas. Ed è difficile naturalmente distinguere tra verità e propaganda.

Gli ostaggi comunque sarebbero almeno 130: cento nelle mani di Hamas, trenta tenuti prigionieri dalla jihad islamica, la loro vita appesa a un filo. Numeri divulgati dai miliziani, mentre dalle autorità ebraiche non sono state riportate cifre ufficiali. L’esercito israeliano ha “le coordinate di tutti i prigionieri a Gaza”, ha provato a rassicurare in serata il portavoce militare. “La guerra è cominciata male per noi, ma finirà molto male per l’altra parte”, ha avvertito.

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Malgrado le smentite ufficiali comunque, crescono le indiscrezioni su possibili mediazioni arabe per strappare un accordo che porti alla liberazione dei prigionieri. Una fonte del Movimento di resistenza islamica ha riferito all’agenzia cinese Xinhua che il Qatar starebbe mediando uno scambio urgente con il sostegno degli Stati Uniti: donne israeliane catturate dai miliziani in cambio di donne palestinesi detenute nelle carceri ebraiche. Secondo la fonte, Hamas avrebbe informato il Qatar che sarebbe disponibile all’operazione se tutte le 36 donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane fossero rilasciate. La mediazione è stata avvalorata anche da un alto funzionario americano e un’altra persona che ha familiarità con la questione alla Cnn. Ma da Israele non è arrivata alcuna conferma.

Dichiarazioni a parte, l’unica certezza per il momento è che il nodo sui prigionieri resta, mentre cresce la paura delle esecuzioni pubbliche per vendetta. Una paura che alimenta il grido di dolore di parenti e amici degli ostaggi, molti dei quali giovanissimi. Qualcuno implora il governo israeliano e la comunità internazionale di guardare oltre la politica. Come Malki Shmetov, il figlio disperso dopo gli attacchi di sabato: “È una questione di umanità. I nostri bambini sono lì… per favore, aiutateli”.

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