Guerra a Gaza: un fallimento politico di tutti, nessuno escluso
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Guerra a Gaza: un fallimento politico di tutti, nessuno escluso

Appello a tutte le donne e gli uomini che, dentro e fuori le istituzioni, non hanno smesso di credere nell’impegno per la pace, i diritti umani e la giustizia.

Guerra a Gaza: un fallimento politico di tutti, nessuno escluso
Guerra di Gaza
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9 Ottobre 2023 - 19.13


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Appello a tutte le donne e gli uomini che, dentro e fuori le istituzioni, non hanno smesso di credere nell’impegno per la pace, i diritti umani e la giustizia.


“È indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione” (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani)


 Fermiamo le stragi!
Anche se sembra difficile, facciamo l’impossibile per spezzare la spirale della violenza.
Bomba su bomba, raid dopo raid, assassinio dopo assassinio, razzo dopo razzo, attentato dopo attentato, strage dopo strage, la violenza sta superando ogni immaginazione.
Ad un’esplosione così straordinaria di violenza occorre contrapporre un’azione altrettanto straordinaria di segno contrario.
Condanniamo “senza se e senza ma” l’attacco ad Israele e la reazione che ne sta seguendo. Come abbiamo sempre, puntualmente, condannato tutti gli atti di guerra, di terrorismo e di violenza in ogni dove. Ma non limitiamoci a condannare! Salviamo le vite umane che possiamo ancora salvare. Non arrendiamoci all’escalation! Non lasciamoci trascinare nel baratro. Non assecondiamo la spirale della morte.



Facciamo pace a Gerusalemme
A trent’anni dalla firma degli Accordi di Oslo, dopo decenni di denunce e allarmi inascoltati, i responsabili delle istituzioni e della politica internazionale devono recitare il “mea culpa” e riconoscere la necessità pressante di fare quello che non è ancora stato fatto: la pace tra i “nemici”, la pace a Gerusalemme.



C’è un solo modo per mettere fine a questo incubo che sta insanguinando la Terra Santa e minaccia di infiammare il mondo intero: riconoscere ai palestinesi la stessa dignità, la stessa libertà e gli stessi diritti che riconosciamo agli israeliani. Tanti lunghi e dolorosi decenni di occupazione militare, uccisioni mirate, bombardamenti, guerre, arresti, repressione indiscriminata, abusi, umiliazioni, deportazioni, apartheid e violazione di tutti i fondamentali diritti umani, ampiamente documentati delle Nazioni Unite, dimostrano il fallimento di tutte le opzioni militari. Non ci sarà mai pace senza giustizia.
Rinnoviamo dunque, ancora una volta, un accorato appello a tutti i responsabili della politica nazionale, europea e internazionale perché intervengano energicamente per mettere fine a questa tragedia facendo rispettare il diritto internazionale dei diritti umani, la legalità internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite. Israele e Palestina: due Stati per due Popoli. Stessa dignità, stessi diritti, stessa sicurezza”.

Firmato: Fondazione PerugiAssisi

Un appello che Globalist fa suo.
 L’ambasciatrice palestinese a Roma: “No al doppio standard, Israele è una potenza occupante”

“Bisogna andare alla radice di un problema che purtroppo è stato rimosso, sia da Israele che dal resto del mondo. Non si può parlare di diritto di Israele a esistere senza ricordare che stiamo parlando di una potenza occupante. La priorità dovrebbe essere quella di proteggere il popolo palestinese dai crimini che commettono le forze di occupazione, non quella di garantire l’impunità di Israele”. Così a LaPresse l’ambasciatrice palestinese a Roma, Abeer Odeh. “Non possono esserci doppi standard perché non ci sono vite che valgono più di altre. Le vite dei palestinesi, già di per sé misere a causa dell’occupazione, sono da decenni falcidiate da Israele, che in questo non fa distinzione tra uomini e donne, anziani e bambini”, aggiunge.

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“Dall’inizio del 2023 alla fine di settembre erano già più di 200 i palestinesi uccisi dagli israeliani, con un nuovo record di minori uccisi in Cisgiordania: 38, vale a dire uno alla settimana. A questi dobbiamo aggiungere i palestinesi uccisi da sabato a Gaza e in Cisgiordania. Per non parlare dei 3.000 feriti, della distruzione di case e infrastrutture e dell’intensificarsi, in queste ore, di iniziative militari israeliane per impedire qualsiasi movimento dei civili in Palestina”, aggiunge l’ambasciatrice palestinese .

“Non si vive in paradiso se intorno c’è l’inferno”

E’ il titolo, illuminante, di una grande, per coraggio, lucidità e forza di verità, di Nathalie Tocci per La Stampa: “La parola più sentita nelle prime drammatiche ore dell’attacco brutale di Hamas nel sud di Israele è stata “sorpresa”. Ma è sorprendente questa recrudescenza del conflitto, di cui si contano già centinaia di vittime civili israeliane e palestinesi che con il passare dei giorni sono destinate a diventare migliaia? Quale verità si cela dietro lo shock e lo stupore? Implicita in un attacco di questa scala e complessità è una preparazione durata mesi. Le milizie di Hamas, sostenute dall’Iran, non hanno improvvisato un’aggressione come questa; la hanno semmai preparata nei dettagli militari, politici, di intelligence, propaganda e terrore. Eppure, Israele vanta servizi e deterrenza militare tra i più avanzati al mondo. Dalla sorveglianza tecnologica agli informatori politici, dal blocco totale di Gaza – dove due milioni e trecentomila palestinesi vivono in una prigione a cielo aperto dal 2005 – alla collaborazione con i Paesi arabi, a partire da Egitto, Giordania ed Emirati, com’è però possibile che una tale organizzazione sia passata indenne sotto i radar? Soffermarsi sulle falle di intelligence e militari distoglie lo sguardo dal vero fallimento, che è politico. Ed è il fallimento di tutti: di Israele, dell’Autorità palestinese, dei Paesi arabi e dell’Occidente. 

Israele, guidata dal governo più estremista della sua storia, è stata decisamente “distratta” nell’ultimo anno. Per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, concentrato internamente sul sovvertimento dell’ordine giudiziario e internazionalmente sul riavvicinamento con l’Arabia Saudita, la questione palestinese era pressoché inesistente. E questo nonostante la violenza a Gerusalemme, in Cisgiordania e a Gaza fosse in netta ascesa: da gennaio all’altro ieri, erano già oltre 200 i palestinesi e 30 gli israeliani uccisi nel 2023 durante manifestazioni, scontri ed operazioni militari, in deciso aumento rispetto all’anno scorso. Ma non solo non se ne parlava; c’era addirittura l’illusione che il conflitto israelo-palestinese fosse dormiente, se non addirittura prossimo alla stabilizzazione attraverso lauti finanziamenti sauditi nel contesto di una normalizzazione dei rapporti con Israele. Ed ecco l’impreparazione di un governo e di uno Stato illusi che la schiacciante forza, assistita dalla sudditanza di un’Autorità palestinese corrotta moralmente e finanziariamente, la quale da anni ormai agisce come braccio armato di Israele in Cisgiordania, fosse sufficiente per dimenticarsi dei diritti calpestati dei palestinesi. Ecco lo shock della società israeliana, convinta della sicurezza garantita dalle proprie Forze armate. Uno shock che si innesta e riaccende il trauma dell’ottobre di esattamente cinquant’anni fa, quando Egitto e Siria colsero Israele in una guerra a sorpresa, quella dello Yom Kippur. È difficile immaginare che la rabbia e il dolore della società israeliana non avranno, a lungo andare, conseguenze per il premier Netanyahu e il suo esecutivo. Ma lo stupore mette a nudo un’illusione. Riportando le parole di un collega israeliano: com’è possibile credere di poter vivere in paradiso quando attorno a noi c’è l’inferno? 

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A ben vedere, la sorpresa e il folle abbaglio non sono stati prerogativa solo di Israele e del suo governo, ma anche dei Paesi arabi. Per mesi le discussioni sul Medio Oriente hanno ruotato attorno ai negoziati sulla normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, mediati dagli Stati Uniti, che avrebbero a loro volta ricompensato Riyadh con un partenariato di sicurezza rafforzato, avvicinandosi a quello di cui gode Israele da decenni. Rilevante, certo, ma trattandosi di una ufficializzazione dei rapporti tra due Stati che non sono in guerra, la distensione israelo-saudita è sempre stata, al massimo, una questione secondaria. I veri nodi in Medio Oriente riguardano i conflitti aperti, a partire dalla madre di tutti i mali, ossia proprio quello tra Israele e Palestina, passando a Libano e Siria, fino ad arrivare al gigantesco nodo regionale con l’Iran. Questo non vuol dire che ci sia stata una regia iraniana dietro all’attacco di Gaza. C’è stato un evidente sostegno iraniano di tipo politico, finanziario, tecnologico e militare, rivendicato apertamente da Hamas, e un chiaro interesse di Teheran a sabotare la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, che avrebbe rallentato se non addirittura compromesso il proprio riavvicinamento a Riyadh sancito la primavera scorsa, con il ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due principali rivali del Golfo. E invece, tutta l’attenzione mediatica e il capitale politico, economico e di sicurezza non sono stati impiegati per sanare le piaghe aperte, ma per mettere un cerotto laddove non esisteva una ferita, illudendosi che i veri problemi sarebbero rimasti dormienti.  Le responsabilità sono sì della regione, ma anche dell’Occidente. Solo otto giorni fa il consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden, Jake Sullivan, aveva dichiarato che il Medio Oriente non viveva un periodo così tranquillo da decenni. Al netto delle parole grottesche col senno di poi, il dato più eclatante riguarda la gigantesca miopia e ipocrisia che celano, tanto americane quanto europee. Perché se gli Stati Uniti hanno fatto poco di buono in Medio Oriente negli ultimi anni, l’Europa ha fatto ancora meno.  In Ucraina sappiamo che non c’è pace senza giustizia, e che la stabilizzazione non arriverà con un “congelamento” del conflitto, lasciando che la Russia continui a occupare territori e reprimere popolazioni ucraine: è per questo che sosteniamo Kyiv. Eppure, in Medio Oriente ci siamo illusi che una soluzione simile fosse possibile, abbiamo lasciato che i “due Stati per due popoli”, quella soluzione nata trent’anni fa con una stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat sul prato della Casa Bianca, morisse nell’hybris di Israele, la debolezza e corruzione morale dell’Autorità palestinese, il cinismo dei regimi mediorientali e l’ipocrisia occidentale. La soluzione è morta nell’oblio, ma il problema, come emerge in questi giorni di drammatica violenza, è fin troppo vivo”.

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Meglio di così non si poteva dire.

Il piromane al comando

La risposta di Israele all’attacco di Hamas da Gaza “cambierà il Medio Oriente”. Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu incontrando i sindaci delle cittadine israeliane a ridosso della Striscia. “Lo Stato – ha aggiunto – non lascerà nulla di intentato per aiutarvi”.

C’è da tremare. Come c’è da indignarsi ad ascoltare quanto affermato dal ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant

“Stiamo imponendo un assedio completo a Gaza”, ha detto Gallant in un video diffuso dai suoi servizi. “Niente elettricità, niente acqua, niente gas, stiamo combattendo contro animali e dobbiamo agire di conseguenza”, ha aggiunto.

ANIMALI. Non ESSERI UMANI!!!!!

Per poi proclamare: “Ho ordinato il completo assedio: non ci sarà elettricità, né cibo, né benzina”.

Nella Striscia di Gaza vivono 2,1 milioni di palestinesi, il 58% sotto i 18 anni. Per il prode Gallant sono tutti “animali” da abbattere, senza distinzione di sorta, donne, uomini, bambini. Annientare Gaza. La “soluzione finale”.

Parole di saggezza

“Con gli strumenti dei quali la comunità internazionale si è dotata, cercare soprattutto di porre le basi per una soluzione definitiva di quel problema, perché finché non si risolve il problema della convivenza fra palestinesi e israeliani, finché non si trova una formula che permetta di vivere in pace, queste cose rischieranno sempre di ripetersi. E ripetersi con sempre maggiore ferocia, come abbiamo visto in questi giorni”. Lo ha detto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, a margine del convegno all’Università Gregoriana sui documenti del Pontificato di Pio XII e i rapporti tra cristiani ed ebrei, rispondendo a una domanda su come si può rimediare alla situazione della nuova guerra tra Israele e Hamas.

Non c’è pace senza giustizia. E la giustizia non alberga in Palestina. 

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