Guerra di Gaza: i due vincitori di una "faida barbarica"
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Guerra di Gaza: i due vincitori di una "faida barbarica"

Siamo in una emergenza molto grave e temo che si arriverà alla guerra": così il patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, commenta al Sir l'attacco sferrato all'alba di oggi da Hamas

Guerra di Gaza: i due vincitori di una "faida barbarica"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Ottobre 2023 - 18.26


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Due voci autorevoli, schierati dalla stessa parte: quella della pace.

Il patriarca latino di Gerusalemme

Siamo in una emergenza molto grave e temo che si arriverà alla guerra”: così il patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, commenta al Sir l’attacco sferrato all’alba di oggi da Hamas. “Siamo davanti ad una situazione molto grave scoppiata improvvisamente, senza troppi preavvisi. È una campagna militare da ambo i lati, molto preoccupante per le forme, per le dinamiche e per l’ampiezza. Si tratta di novità molto tristi”. “La presa di ostaggi israeliani, fenomeno in nessun modo giustificabile – sottolinea il porporato – non farà altro che favorire una maggiore aggressività da ambo i lati, soprattutto da parte israeliana”. Il patriarca rivolge poi lo sguardo alla piccola comunità cristiana gazawa, poco più di 1.000 fedeli dei quali solo un centinaio cattolici, appartenenti all’unica parrocchia latina della Striscia, dedicata alla Sacra Famiglia, incoraggiando “i cristiani della Striscia, impauriti”: “Sappiano che, come sempre, non saranno lasciati soli e che questo è un momento in cui dobbiamo essere uniti più mai”. Un ultimo appello lo rivolge alla comunità internazionale: “La comunità internazionale deve ritornare a prestare attenzione a quanto accade in Medio Oriente. Gli accordi diplomatici, quelli economici – conclude Pizzaballa – non cancellano un dato di fatto: esiste una questione israelo-palestinese che ha bisogno di essere risolta e che attende una soluzione”.

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Scrive Giorgio Gomel: “Il 31 ottobre avranno luogo in Israele le elezioni per i consigli municipali, un test politico importante nel paese segnato da mesi da un profondo scisma che ne attraversa e lacera  la società  dopo l’insediarsi di un governo frutto di un’alleanza fra il Likud del premier Netanyahu e partiti religioso-fondamentalisti. Le proteste sono massicce e persistenti da parte   di vasti settori dell’opinione pubblica contro il degrado antidemocratico del paese e l’ondata di tribalismo intollerante,  con modalità senza precedenti nella  storia  di Israele fino a forme di quasi “obiezione di coscienza” di reparti della riserva dell’esercito   che rischiano secondo il Ministro della difesa di mettere in forse la stessa sicurezza del paese. Azioni di disobbedienza civile che dimostrano la gravità della crisi e il pericolo acuto di una disintegrazione della società.

Il contesto pre elettorale si è aggravato in questi giorni con l’esplodere inatteso di nuova violenza fra Hamas, forza egemone nella Striscia di Gaza, e Israele in una coazione a ripetere analoghi scoppi di violenza nel 2008-09, nel 2014 e più di recente nel 2021.

 Hamas ha voluto sfruttare l’occasione delle provocazioni di estremisti ebrei, inclusi membri di partiti di governo, che predicano l’espulsione dei palestinesi, e le presunte minacce all’integrità della  Spianata delle Moschee e di Al Aqsa, luogo sacro dell’Islam ma al contempo simbolo di una sovranità rivendicata. L’offensiva ha colpito e devastato edifici, strade, infrastrutture nelle regioni del sud e del centro del Paese, ucciso e ferito civili, un’esibizione di forza militare nel reagire contro il nemico Israele mentre l’Autorità palestinese  e  il Fatah, nella retorica fondamentalista di Hamas, restavano inani ed inerti. 

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Due i vincitori nel breve periodo in questa “faida barbarica” – come la definì anni fa Avishai Margalit, un insigne filosofo israeliano – che attanaglia i due popoli, due vincitori stretti da una malefica, oggettiva alleanza: Hamas, che trionfa nelle simpatie dei palestinesi e nella retorica del mondo musulmano; Benjamin Netanyahu che, premier di un governo fortemente osteggiato da strati corposi dell’opinione pubblica, resta il leader di una “union sacrée” contro il nemico irriducibile.

È un regresso profondo dalla filosofia degli accordi Oslo di cui ricorrono i 30 anni, il cui presupposto era il riconoscimento reciproco dei diritti: quello degli israeliani alla pace e alla sicurezza come specchio di quello dei palestinesi a uno Stato degno di questo nome. Da un lato è vano affidarsi alla mera repressione militare della violenza senza offrire un negoziato di pace, anzi esaltando   la volontà di costruire nuove case nelle colonie in Cisgiordania; in più consentendo il ritorno di coloni in alcuni insediamenti sgomberati anni or sono, legalizzando retroattivamente altri insediamenti illegali e tollerando con indulgenza le ripetute violenze squadristiche dei coloni stessi contro località palestinesi e i loro abitanti che li spingono ad abbandonare loro terreni e fonti di sostentamento. Dall’altro, l’illusione di piegare Israele con la violenza, riscattando l’impotenza dell’Autorità palestinese indebolita nei suoi apparati e fortemente delegittimata nella sua stessa opinione pubblica,  resta un’ossessione sciagurata di quel movimento integralista.

Un piccolo ma significativo spiraglio di luce viene dalla formazione alcuni mesi or sono di una  partito arabo -ebraico su base paritaria , chiamato Kol Ezracheya (Tutti i cittadini).  Nel suo manifesto fondativo esso afferma : “noi offriamo un’alternativa reale e radicalmente innovativa. Proponiamo una partnership politica sostanziale e profonda tra ebrei e arabi, di tutti i generi, su basi civiche, costituzionali ed egualitarie. Insieme, ebrei e arabi, uomini e donne, costituiamo una rappresentanza politica unica, che rispecchi la piena collaborazione tra i componenti delle due comunità nazionali di Israele”.

Candidati del nuovo partito corrono in sei città, piccole e grandi del paese, ma è Gerusalemme l’epicentro della novità. Gerusalemme dove su circa 700.000 residenti con diritto di voto 280.000 sono arabi con permesso di residenza temporanea nella città oppure, in  numero assai ridotto,  cittadini israeliani. Essi mai rappresentati con alcun seggio nel consiglio municipale corrono in queste elezioni con diversi candidati capeggiati da Sundus El Khot, una giovane educatrice di 33 anni, insegnante di lingua araba in scuole ebraiche e nell’amministrazione pubblica della città.

Una novità significativa dunque per i  palestinesi di Gerusalemme est indifesi, oppressi e  senza voce. Non vi è pianificazione edilizia in quei quartieri  e quindi quasi tutte le case palestinesi di nuova costruzione sono designate come illegali e soggette alla demolizione. Procedono atti di espropriazione di terreni palestinesi e di successiva costruzione di  nuovi quartieri ebraici da Silwan, Ras al Amoud, Walaja e in altre parti della città. Altre zone come  Kafr Aqab e il campo profughi di Shuafat, due quartieri oltre il muro di separazione, sono de facto esclusi dal resto della città. Il  boicottaggio delle elezioni municipali,  predicato da sempre dall’Olp e poi dall’ Autorità palestinese, come atto di protesta contro l’annessione della parte orientale della città dopo la guerra del 1967 e le successive modifiche del suo status,   è stata  una pratica autodistruttiva; certamente non ha concorso in alcun modo a difendere  i diritti dei palestinesi a Gerusalemme”.

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Perché ora?  

Prova a dare una risposta l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale): “Uno degli elementi su cui si riflette in queste ore è perché l’attacco sia avvenuto adesso. Solitamente, infatti, i lanci di razzi dalla Striscia avvengono come ritorsioni dopo scontri o operazioni speciali in altri territori palestinesi. Hamas ha detto che l’operazione in corso, chiamata “tempesta di Al-Aqsa”, è una risposta agli attacchi israeliani contro le donne, la profanazione della moschea Al-Aqsa a Gerusalemme e l’assedio continuo a danno di Gaza. L’organizzazione che controlla la Striscia ha quindi chiamato alle armi la popolazione, rivendicando i target del gruppo, che avrebbe colpito “aeroporti e avamposti militari del nemico con oltre 5.000 missili”. Un altro elemento utile per interpretare l’attacco odierno è la ricorrenza della guerra dello Yom Kippur iniziata esattamente 50 anni fa: il 6 ottobre del 1973 una coalizione di stati arabi lanciò un’offensiva a sorpresa nel Sinai e sulle alture del Golan, ovvero territori precedentemente conquistati e occupati da Israele nella guerra dei sei giorni del 1967. Sebbene militarmente Israele riuscì a rispondere all’offensiva, l’attacco si rivelò una vittoria politica per la coalizione guidata da Egitto e Siria, che dimostrarono di poter colpire Israele. Gli scontri di oggi avvengono in un contesto geopolitico del tutto trasformato, con i palestinesi molto più isolati sia politicamente sia militarmente rispetto a 50 anni fa, non potendo contare sulla stessa rete di alleanze tra i vicini paesi arabi, molti dei quali nel frattempo hanno normalizzato le relazioni con Israele”.  

Rimarca Valeria Talbot, Head Ispi Mena centre: “  “Il massiccio attacco di Hamas nei confronti di Israele avviene sullo sfondo dei negoziati per la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita, sponsorizzati dagli Stati Uniti nella cornice degli Accordi di Abramo del 2020. Un rapprochement tra Tel Aviv e Riyadh sarebbe di portata storica e avrebbe inevitabili implicazioni sugli equilibri di potere in Medio Oriente. La questione palestinese è uno dei nodi più difficili nel quadro negoziale e l’attacco di oggi sembra inteso a ricordare al mondo che nessun accordo può essere fatto senza tenere in debito conto le aspirazioni e il futuro dei palestinesi. Tuttavia, in un contesto mediorientale in profonda trasformazione, è legittimo chiedersi se Hamas abbia fatto bene i suoi calcoli”.  

Il bilancio si aggrava

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Più di 100 persone sono state uccise in Israele dall’attacco a sorpresa lanciato dal gruppo islamista Hamas via terra, mare e aria da Gaza, che ha anche ferito più di 900 persone, secondo l’ultimo bilancio delle vittime nello Stato ebraico. Secondo i media locali che citano fonti mediche, il bilancio delle vittime in Israele ha superato i 100 morti e il numero dei feriti è salito a 908 dall’inizio dell’offensiva di Hamas questa mattina, in quello che è un conflitto armato senza precedenti che ha colto Israele completamente alla sprovvista, con gli ospedali ora in stato di massima allerta per il continuo arrivo di feriti. Allo stesso tempo, continuano i combattimenti e i bombardamenti di risposta israeliani. Il bilancio delle vittime a Gaza è di 198 morti e almeno 1.600 feriti, tra cui almeno una ventina di miliziani. 

Come il nome dell’operazione di Hamas, Al-Aqsa’s flood, poteva lasciar supporre, l’attacco a sorpresa di questa mattina contro Israele è stato deciso per “difendere la moschea di Al-Aqsa” a Gerusalemme. Lo ha detto il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh, citato dalla stampa israeliana. I militanti, ha spiegato, “stanno conducendo una campagna eroica volta a difendere la Moschea di Al-Aqsa, i luoghi santi e i prigionieri”. Quindi, la ragione principale dell’attacco è “l’aggressione contro la moschea Al-Aqsa” da parte degli israeliani, che dura da molti mesi e si è accentuata nei giorni scorsi.

In seguito all’escalation tra Israele e Gaza, le forze israeliane hanno colpito l’ospedale indonesiano dell’enclave e un’ambulanza davanti all’ospedale Nasser, nel sud di Gaza. Gli attacchi hanno ucciso un’infermiera, l’autista di ambulanza e hanno fatto diversi feriti”. Lo ha reso noto Medici Senza Frontiere sui social. “Le strutture sanitarie non possono diventare bersagli. Chiediamo a tutte le parti di rispettare le infrastrutture sanitarie, che devono rimanere un santuario per le persone in cerca di cure”, ha ammonito la Ong.

Il Consiglio di sicurezza Onu convoca riunione d’emergenza

Il ministero degli Affari Esteri brasiliano ha dichiarato, in un comunicato diffuso oggi, che il Brasile, in qualità di presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, convocherà una riunione d’emergenza all’Onu per discutere della crisi tra Hamas a Israele. Nella nota, il dicastero condanna gli attacchi del gruppo terroristico ed esprime le sue condoglianze “alle famiglie delle vittime” nonché la sua “solidarietà al popolo di Israele”. “Ribadendo che non esiste alcuna giustificazione per il ricorso alla violenza, soprattutto contro i civili, il governo brasiliano invita tutte le parti a dar prova della massima moderazione per evitare un’escalation della situazione”, scrive Brasilia.

Intanto, il vice capo di Hamas, Saleh al-Arouri, ha detto ad Al Jazeera che il gruppo è pronto per “lo scenario peggiore”: “Tutti gli scenari sono ora possibili e siamo pronti per un’invasione di terra israeliana”, ha affermato al-Arouri, sostenendo che, secondo lui, Israele aveva pianificato di lanciare un attacco alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania.

La guerra è solo agli inizi. 

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