Palestina, libertà per Khaled El Qaisi: un caso "Zaki" sotto silenzio
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Palestina, libertà per Khaled El Qaisi: un caso "Zaki" sotto silenzio

Il 31 agosto le forze d’occupazione israeliane hanno arrestato  al valico di “Allenby”, sul fiume Giordano, tra la Palestina e la Giordania,  il cittadino italo-palestinese Khaled El Qaisi al suo rientro in Italia dopo una vacanza a Betlemme

Palestina, libertà per Khaled El Qaisi: un caso "Zaki" sotto silenzio
Il ricercatore italo-palestinese Khaled El Qaisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Settembre 2023 - 19.56


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Riceviamo e più che volentieri pubblichiamo.

 “Il 31 agosto le forze d’occupazione israeliane hanno arrestato arbitrariamente  al valico di “Allenby”, sul fiume Giordano, tra la Palestina e la Giordania,  il cittadino italo-palestinese Khaled El Qaisi al suo rientro in Italia dopo una vacanza a Betlemme presso i suoi parenti.  Il 7 settembre si è svolta la prima udienza e, nonostante non ci fossero capi d’accusa, la Corte israeliana ha deciso il prolungamento dell’arresto fino al 14 settembre impedendo, inoltre, a Khaled di entrare in contatto con il suo avvocato. Khaled è un ricercatore universitario presso la Facoltà di Lingue e Civiltà Orientali a “La Sapienza” di Roma, ed è uno stimato militante ed attivista della giusta causa del popolo palestinese.

Quello che ha subito Khaled fa parte della pratica quotidiana, della politica criminale dei governanti israeliani, che violano e negano ogni diritto nei territori palestinesi occupati. Sono più di 5.000 i prigionieri politici palestinesi nelle disumane carceri israeliane, più di 1260 in detenzione amministrativa, cioè senza uno specifico capo d’accusa, rinnovabile di 6 mesi in 6 mesi passando anni e anni in galera senza né accuse né, conseguentemente, un giusto processo.

Israele è l’unico Stato al mondo, tra quelli considerati – a torto o a ragione – democratici, che pratica la detenzione amministrativa, la tortura e la violazione dei diritti umani stabiliti dalla legalità internazionale, senza essere accusato e punito pr questi suoi crimini. E’ al di sopra di ogni legge e fuori legge.

Come Comunità e Giovani palestinesi di Roma e del Lazio, invitiamo tutti i liberi, gli onesti e gli amanti della Pace a scendere in Piazza insieme a noi, al sit-in che si terrà al Viale dei Giusti della Farnesina, di fronte al Ministero degli Affari Esteri, martedì 12/9/2023, dalle ore 17 alle ore 19, per chiedere all’Italia, e nello specifico al Ministro degli Affari Esteri, oltre che a tutte le realtà della politica, dei mezzi d’informazione e della società civile italiana,  di attivarsi per la liberazione di Khaled come è stato fatto in precedenti situazioni simili.

Contestualmente chiediamo una condanna pubblica della politica oppressiva di Israele verso i palestinesi e la liberazione di tutti i prigionieri politici detenuti perché rivendicano il diritto alla libertà del loro Paese e la fine dell’illegale e disumana occupazione israeliana”.

Firmato: Yousef Salman
Presidente della Comunità Palestinese di Roma e del Lazio

Palestina, un popolo imprigionato.

Dalla news letter dell’Ambasciata di Palestina in Italia.

In occasione della Giornata Internazionale dei Prigionieri Palestinesi, le associazioni che si occupano dei loro diritti hanno fatto sapere che, se nel corso delle ultime cinque decadi le forze di occupazione israeliane hanno detenuto più di 800.000 palestinesi, al momento sono circa 5.000 i cittadini della Palestina incarcerati in Israele. Tra di loro vi sono 31 donne e 160 minori, compresa una ragazza. Si tratta, per almeno 1.000 di questi casi, di detenzioni amministrative senza capo di accusa né processo, utilizzate anche per sei minorenni e due donne. 

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La Commissione per gli Affari dei Prigionieri e degli Ex-Detenuti, la Società dei Prigionieri Palestinesi, l’Associazione Addameer per i Diritti Umani e il Sostegno ai Prigionieri, e il Centro d’Informazione Wadi Hilweh di Gerusalemme lo hanno scritto nel loro Rapporto congiunto, sottolineando che 23 degli attuali detenuti sono stati arrestati prima della firma degli Accordi di Oslo nel 1993. Il più anziano di loro, Mohammad Al- Tous, è in prigione dal 1985. Ve ne sono poi 11 rilasciati in uno scambio di prigionieri del 2011 e poi nuovamente arrestati nel 2014, tra cui spicca il nome di Nael Barghouti, considerato il prigioniero più longevo, con 43 anni dietro le sbarre di cui 34 consecutivi.
Altri 400 detenuti sono in prigione da oltre 20 anni, mentre in 554 stanno scontando più ergastoli come Abdullah Barghouti, condannato a ben 67 ergastoli. 

Non soddisfatte di distruggere la vita a tutte queste persone, le autorità di occupazione israeliane detengono anche i corpi di 12 palestinesi che la vita l’hanno già persa in prigione; come rischiano di perderla i 700 prigionieri malati e mal curati dalle autorità carcerarie, tra cui se ne contano 24 colpiti dal cancro come Walid Daqqa, in carcere da 37 anni. 

Per non dimenticare nessuno di questi prigionieri, diverse manifestazioni si sono tenute nella maggior parte delle città della Cisgiordania e di Gaza, durante le quali è stata richiesta la loro liberazione, a cominciare da quella di anziani, donne, minori e ammalati”.

Una Relatrice dalla schiena dritta

Francesca Albanese è Relatrice Speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi.

Per il suo lavoro puntuale di documentazione e denuncia, la dottoressa Albanese è stata oggetto di attacchi da parte di organizzazioni legate alla destra israeliana e da esponenti della destra italiana come l’ex ambasciatore e oggi parlamentare di Fratelli d’Italia, Giulio Terzi di Sant’Agata, che ne ha chiesto la destituzione dall’incarico in una lettera pubblicata da La Repubblica. Richiesta che ha suscitato proteste e reazioni di sdegno in Italia e all’estero. Scrive Amnesty International: “Attaccare la Relatrice Speciale dell’Onu, esperta tecnica indipendente, il cui mandato impone di esprimersi in punto di diritto internazionale riguardo alle pratiche e politiche illecite da parte dello Stato d’Israele contro il popolo palestinese nel territorio occupato, è un atto di irresponsabilità senza precedenti per esponenti del parlamento italiano ed ex-ministri degli esteri come Terzi. La dott.sa Albanese è una giurista di professione, che vanta due decenni di impegno e competenza in materia di difesa dei diritti umani e della promozione della pace, oltre a un vasto curriculum scientifico, con pubblicazioni di livello internazionale, l’ultima delle quali con Oxford University Press. Le sue posizioni sono sempre state improntate all’imparzialità, e rappresentano una voce autorevole nel panorama internazionale.[…].

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Riteniamo che le accuse infamanti contro la Relatrice speciale Onu siano infondate, unilaterali ed in contrasto con principi fondamentali di imparzialità che, proprio in quanto tali, possono basarsi solo sul diritto internazionale, parte integrante dell’ordinamento costituzionale. È importante mantenere l’obiettività nella valutazione di gravi violazioni dei diritti umani, da chiunque commesse, soprattutto in un contesto così politicizzato come quello del territorio palestinese occupato.

Inoltre, è essenziale tener conto che obiettività non significa rimanere neutrali di fronte a gravi illeciti internazionali, negando i diritti fondamentali delle vittime di quegli illeciti. Sostenere questo, in qualsiasi contesto geopolitico, renderebbe un pessimo servizio alle istituzioni italiane e internazionali, ed alla loro credibilità giuridica. È allarmante che le più alte cariche di politica estera dei nostri governi si facciano portavoce delle istanze anti-Onu di organizzazioni impegnate a proteggere violazioni pluridecennali del diritto internazionale. Questo atteggiamento denota oltretutto un certo analfabetismo istituzionale, visto che gli esperti e le esperte indipendenti Onu sono, per definizione, protetti da pressioni di qualsiasi governo, incluso ovviamente il governo del proprio stato”.

In una intervista concessa a chi scrive, e pubblicata da l’Unità, così la Relatrice Onu contestata dalla destra, e dalla stampa compiacente,  racconta il suo lavoro: “Come sa io mi occupo solo di una parte del territorio controllato da Israele, quello che è sotto sotto occupazione dal 1967, cioè Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est. Nel mio ultimo rapporto, pubblicato ieri, concludo che durante 56 anni di occupazione militare che è servita ad acquisire illegalmente terre e risorse palestinesi, Israele ha progressivamente ridotto i Palestinesi ad una sorta di popolazione priva dello status di persone protette e dei diritti fondamentali dal diritto internazionale. Questo è inaccettabile. Trattare un intero gruppo (e popolo) come una minaccia collettiva e incarcerabile a priori, come Israele fa, erode la loro protezione come “civili” secondo il diritto internazionale, privandoli delle loro libertà fondamentali e dell’abilità di unirsi, autogovernarsi e svilupparsi come entità politica. Qualsiasi palestinese che si opponga a questo regime, dal manifestante pacifico all’agricoltore che si ostina a coltivare le sue terre, dall’avvocato che difende i diritti dei prigionieri ad un genitore che chiede il rilascio della salma del proprio figlio per darvi degna sepoltura, è considerato una minaccia e può essere detenuto. Ciò costringe i palestinesi in uno stato di vulnerabilità permanente. Questo non significa giustificare i palestinesi se e quando commettano dei crimini, ma semplicemente comprendere il contesto nel quale vivono, che non è diverso da una forma strutturata e multidimensionale di prigionia diffusa. Questa situazione rafforza lo squilibrio di potere tra i palestinesi e le istituzioni e gli insediamenti israeliani, facilitando l’espansione dei coloni. Confondendo la “sicurezza della potenza occupante” con la “sicurezza dell’occupazione stessa”, Israele utilizza la “sicurezza” come mezzo per assicurarsi il controllo permanente sul territorio che occupa e cerca di annettere (particolarmente la Cisgiordania, come Gerusalemme est). Ciò ha radicato la segregazione, la sottomissione, la frammentazione e, in definitiva, la confisca delle terre palestinesi e lo spostamento forzato dei palestinesi. Questo sistema, concepito principalmente per garantire l’instaurazione e l’espansione delle colonie, soffoca la vita palestinese e mina l’esistenza collettiva dei palestinesi[…]E’ gravissimo che la comunità internazionale tolleri un sistema così intriso di illegalità, che la parola apartheid a mala pena cattura, senza rendersi conto di come questa tolleranza eroda l’ordine internazionale basato sull’applicazione equa e non discriminatoria del diritto internazionale”. 

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Per aver documentato i crimini commessi dai coloni nella Cisgiordania occupata Lei è stata accusata di essere “filo palestinese”. E’ così difficile fare il proprio lavoro in Terrasanta?

Il mio impegno è quello di documentare e riportare oggettivamente i crimini commessi da chiunque, indipendentemente dalla loro affiliazione o provenienza. Il diritto internazionale non è favorevole a nessuna parte in particolare. Tuttavia, è evidente che Israele viola in modo significativo questo diritto, e ciò pone i palestinesi in una posizione di forza nel richiamo al rispetto delle norme internazionali. Allo stesso tempo, la delegittimazione dell’altro – come del mio mandato e della mia persona – è un modo per deviare l’attenzione e attaccare la credibilità di chi porta avanti un messaggio scomodo. Nella mia missione, faccio del mio meglio per svolgere il mio lavoro in modo imparziale e oggettivo, pur essendo consapevole delle sfide che si presentano in un contesto così complesso come la questione israelo-palestinese.

Della sua esperienza sul campo, quali sono le immagini, gli eventi che più l’hanno colpita e che porterà con sé?

La cosa che mi ha colpito di più, anche di me stessa, è il senso di profondo malessere che ho provato durante gli anni in cui ho vissuto a Gerusalemme, un’avversione fisica alla patente disuguaglianza che divide e domina parte dei suoi abitanti. In quegli anni, nelle scuole dell’UNRWA, ho avuto l’opportunità di incontrare bambini e bambine che porterò nel cuore. I loro occhi trasmettevano una profonda sete di conoscenza e speranza, mentre discutevamo dei diritti umani, della libertà e dell’uguaglianza e dei loro progetti, di diventare infermiere o dottore, ingegnere o artista. Ma poi, con un candore disarmante, mi chiedevano: “Perché noi viviamo così? Che cosa abbiamo fatto?”. Domande del genere squarciano il cuore, perché richiamano l’ingiustizia che tanti innocenti affrontano ogni giorno e i limiti ineluttabili della speranza. 

Francesca Albanese documenta, con professionalità e rigore, una condizione d’ingiustizia permanente. Di abusi, violenze, perpetrate sulla popolazione civile palestinese dalle forze d’occupazione israeliane e dai coloni in armi. Ma in Italia c’è chi vede come fumo negli occhi questa verità disvelata. Un fumo che non s’alza solo a destra.

Post scriptum Per chiedere la liberazione di Patrick Zaki si sono , giustamente, mobilitati associazioni umanitarie, parlamentari, il Comune e l’Università di Bologna. E per Khaled El Qaisi?

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