Israele: l'apartheid è un sistema mentale e non solo di occupazione
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Israele: l'apartheid è un sistema mentale e non solo di occupazione

In Israele c'è un governo, per dirla con un illuminante titolo di Haaretz, il più autorevole giornale israeliano, in cui “i ministri fanno a gara a chi è più fascista”.

Israele: l'apartheid è un sistema mentale e non solo di occupazione
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Settembre 2023 - 18.47


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Chi scrive, ha una stima sconfinata per Anna Foa. Per le sue competenze, per il suo coraggio e onestà intellettuali. Storica di grande prestigio, Anna Foa è una ebrea che ama Israele. Ma non questo Israele. Non l’Israele governato da una destra razzista, che sta sistematicamente picconando le fondamenta dello stato di diritto. Un governo, per dirla con un illuminante titolo di Haaretz, il più autorevole giornale israeliano, in cui “i ministri fanno a gara a chi è più fascista”.

Anna Foa, che oltre a numerose pubblicazioni sulla storia dell’ebraismo italiano, scrive anche per l’Osservatore Romano”, il quotidiano della Santa sede. La professoressa Foa, figlia del grande Vittorio, è una vera amica d’Israele. E come i veri amici non dice che hai sempre ragione, ma prova ad aiutarti a non commettere errori che potrebbero essere esiziali. 

Un possente j’accuse

Scrive Anna Foa su Gariwo. La foresta dei Giusti: “Mi sono opposto con tutte le mie forze all’accusa che in Israele ci fosse l’apartheid, con articoli, libri, conferenze, apparizioni in TV. Ora non posso più farlo”, ha scritto su Haaretz lo scrittore novantenne israelo-sudafricano Benjamin Poground, da giovane molto impegnato in Sudafrica nella lotta contro l’apartheid, emigrato in Israele alla fine del secolo scorso.

L’etichetta apartheid viene usata da molti anni ormai in Israele e nel resto del mondo per definire il regime israeliano di occupazione, di diritti civili diminuiti o violati, di cittadinanza dimidiata, di violenze e illegalità da parte dei coloni non contrastate o addirittura appoggiate dallo Stato, di veri e propri omicidi contro i palestinesi, di limitazioni ai loro movimenti. Ad un’analisi storica, non è propriamente apartheid, almeno come quello che è stato realizzato in Sudafrica, perché manca della sua caratteristica principale, la totale separazione nella società sudafricana tra bianchi e neri: scuole, trasporti, luoghi dove vivere, fin ospedali separati. Molto simile all’apartheid è stato il regime di segregazione vigente fino a tutti gli anni Cinquanta in molti Stati del Sud degli Stati Uniti, spazzato via dalle lotte dei neri, e con loro di molti ebrei, negli anni Sessanta. C’è una famosa foto di Martin Luther King che guida una grande manifestazione contro la segregazione a fianco del rabbino Abraham Heschel, una figura grandissima, un esempio straordinario che dovremmo ricordare di più. In quella lotta, ritroviamo accanto ai neri che combattevano per la loro emancipazione molti ebrei, che si identificavano con la loro battaglia. Alcuni ragazzi ebrei, andati ad aiutare la campagna antisegregazionista nel Sud degli States, furono assassinati dal Ku Klux Klan.

Ma, anche se il confronto poteva fare acqua a livello di analisi storica, l’etichetta apartheid reggeva bene a livello politico. Aveva il vantaggio di descrivere non solo una situazione di oppressione, ma anche un’esperienza spazzata via dalla storia, indicava il razzismo che covava sotto i soprusi verso i palestinesi e che chi lo esercitava non aveva allora ancora il coraggio di definire con il suo nome. Insomma, funzionava. E forse anche aveva il vantaggio, quasi una preveggenza, di vedere oltre, di capire dove si sarebbe finiti.

Perché ora, quando un ministro del governo Netanyahu dice che il fatto che i palestinesi israeliani vadano a studiare nelle università è un attentato alla sicurezza dello Stato, quale Israele va delineando se non uno Stato in cui le università siano precluse a chi non è ebreo, cioè fondate sulla separazione? Si sta passando dalle violenze squadristiche dei coloni, alla teorizzazione della segregazione, una teorizzazione frutto diretto del suprematismo ebraico. Questa non può essere chiamata altro che apartheid.

Chi chiude o socchiude gli occhi di fronte a ciò dovrebbe anche riflettere sul fatto che gli zeloti al potere in Israele non si stanno fermando qui.Oltre ai palestinesi, c’è un altro obiettivo con cui prendersela: le donne. Certo, sappiamo che gli ultraortodossi non toccano né parlano a donne che non siano della loro famiglia e che negli autobus che passano nei loro quartieri le donne salgono dietro e viaggiano separate dagli uomini. Finora, davano fastidio a pochi, a parte le loro stesse donne, che nella maggioranza accettavano questa vera e propria segregazione come il volere di Dio. Ma ora che molti degli ultraortodossi sostengono il governo, viene loro consentito di estendere al resto dei cittadini le loro pretese di vivere secondo la Torah.

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È di questi giorni la foto di sei ragazze adolescenti, poco più che bambine, costrette a sedersi sul retro di un autobus di linea avvolte in coperte per nascondere il loro abbigliamento adatto al caldo asfissiante che grava sul Paese. I commenti, indignati, dicevano tutti che l’Iran era arrivato in Israele. Ma si susseguono le notizie di autisti di mezzi di trasporto pubblico che obbligano le donne a sedersi sul retro o le lasciano a terra se sono vestite in modo non consono. È illegale ma forse oggi stesso o domani potrebbe diventare legale.

Infatti, sembra che il governo israeliano stia prevedendo leggi che rendono legale e possibile (speriamo non obbligatoria) l’esistenza di scuole divise per sesso a partire dai tre anni, la creazione di programmi di studio differenziati a seconda del sesso, e orari diversi per lo shopping dei due sessi. Sembra anche che si preveda la possibilità che le librerie rifiutino di vendere alle donne testi religiosi che secondo gli ultraortodossi sono proibiti alle donne. È proprio vero che nessun diritto, nessuna conquista è per sempre.

Se vincerà la distruzione della democrazia israeliana ad opera del governo anche questo potrebbe diventare una possibilità concreta. Metà Paese è in lotta da mesi, scendendo in piazza ovunque, tutti i sabati, e nel corso di questa battaglia si va sempre più affermando il nesso tra la lotta per la democrazia e quella per i diritti, quelli dei palestinesi come quelli delle donne, degli omosessuali, dei cristiani, dei non credenti.

Molti commentatori ricordano in questi giorni che a scatenare la guerra con i romani da cui è derivata la distruzione del Tempio e della Giudea sono stati gli estremisti ebrei del tempo, gli zeloti. Ora gli zeloti di oggi vogliono nuovamente distruggere Israele, ma dall’interno, trasformandola in uno Stato teocratico come l’Iran. Il modello iraniano è ormai arrivato in Israele, come già da tempo vi è arrivato l’apartheid. La battaglia coinvolge tutti, sempre di più e nessuno ne può restare fuori.

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La denuncia di Lynk

Il 12 agosto 2021, Michael Lynk, allora  Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, si è rivolto alla comunità internazionale affinché riconosca gli insediamenti israeliani come crimini di guerra alla luce dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Quando lo Statuto venne adottato nel 1998, venne allo stesso modo riconosciuto che gli insediamenti israeliani violano il divieto assoluto per una potenza occupante di trasferire parte della propria popolazione civile in un territorio occupato.
Il Relatore ha affermato che per Israele gli insediamenti hanno due funzioni principali: garantire che i territori occupati rimangano sotto il controllo costante e perpetuo di Israele ed assicurare che non vi sarà mai uno Stato palestinese. Ha inoltre aggiunto, rivolgendosi al Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra, che gli insediamenti sono il motore dell’occupazione israeliana che dura ormai da 54 anni, la più lunga nel mondo moderno”. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), nei primi 10 mesi del 2021 ci sono stati 410 attacchi da parte di coloni contro palestinesi. In questi attacchi sono stati uccisi quattro palestinesi, ha riferito l’Ocha.

“L’ubiquità di questi attacchi e i rapporti credibili sulla passività dell’esercito israeliano nel combattere questa violenza hanno approfondito l’atmosfera di paura e coercizione in tutta la Cisgiordania”, hanno affermato gli esperti, osservando che la violenza dei coloni ha colpito principalmente i residenti palestinesi della cosiddetta Area C, che è sotto completo controllo della sicurezza israeliana. “Siamo molto preoccupati per il fallimento di Israele, la potenza occupante, nell’esercitare i suoi obblighi sostanziali ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra, compreso l’articolo 27, per proteggere la popolazione sotto occupazione”, hanno concluso gli esperti delle Nazioni Unite.

Ad oggi si contano circa 300 insediamenti a Gerusalemme Est occupata e in Cisgiordania, con più di 680.000 coloni israeliani.
Lynk ha descritto l’illegalità degli insediamenti israeliani come una delle questioni meno controverse nel diritto internazionale e nella diplomazia moderni. Tale illegalità è stata confermata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dall’Assemblea Generale, dal Consiglio dei Diritti Umani, dalla Corte Internazionale di Giustizia, dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, dalle Alte Parti Contraenti la Quarta Convenzione di Ginevra e da molte altre organizzazioni regionali e internazionali che si occupano di diritti umani.
Il Relatore ha parlato anche di tragico paradosso in relazione alla situazione in cui gli insediamenti israeliani sono chiaramente proibiti dal diritto internazionale ma la comunità internazionale è estremamente riluttante nel porre in essere le sue stesse leggi. Anche l’ex Segretario generale Ban Ki-Moon è intervenuto dicendo che ciò che ha permesso a Israele di ignorare le risoluzioni Onu è stato, ed è tuttora, l’assenza di responsabilità giuridica internazionale. La violenza dei coloni contro i palestinesi e le loro proprietà è di routine in Cisgiordania ed è raramente perseguita dalle autorità israeliane.

“Questo è apartheid”.

Sempre Lynk ha accusato Israele di apartheid in un rapporto presentato martedì 22 marzo ’22 al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. “Il dominio alieno permanente sul territorio occupato e sulla sua popolazione indigena è l’antitesi del diritto umanitario internazionale e, negli ultimi decenni, l’inesorabile occupazione israeliana è diventata indistinguibile dall’annessione”, ha scritto Lynk, un accademico canadese che ricopre la sua posizione dal 2016. Il suo rapporto, presentato al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, arriva un mese dopo che Amnesty International ha rilasciato il proprio rapporto accusando Israele di apartheid e quasi un anno dopo che Human Rights Watch ha rilasciato accuse simili. 

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A differenza dei due rapporti precedenti, il rapporto di Lynk si concentra solo sui territori palestinesi. l mandato di Lynk come “relatore speciale per la situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967” termina quest’anno e il rapporto in questione è il suo ultimo lavoro nella sua posizione. Il ministro degli Esteri Yair Lapid ha recentemente avvertito che Israele dovrà affrontare intense campagne per etichettarlo come uno stato di apartheid nel 2022, descrivendolo come una “minaccia tangibile e senza precedenti”. Lynk ha notato che “il sistema politico di governo radicato nei territori palestinesi occupati che conferisce ad un gruppo razziale-nazionale-etnico diritti, benefici e privilegi sostanziali mentre intenzionalmente sottopone un altro gruppo a vivere dietro muri, posti di blocco e sotto un dominio militare permanente ‘sans droits, sans égalité, sans dignité et sans liberté’ soddisfa lo standard probatorio prevalente per l’esistenza dell’apartheid”. Ha evidenziato tre punti per convalidare le sue accuse che il trattamento dei palestinesi da parte di Israele costituisce l’apartheid – il primo è “un regime istituzionalizzato di sistematica oppressione e discriminazione razziale … dove gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania vivono le loro vite sotto un unico regime che differenzia la sua distribuzione di diritti e benefici sulla base dell’identità nazionale ed etnica, e che assicura la supremazia di un gruppo su, e a scapito, dell’altro”. Lynk, indicando gli atti israeliani di “uccisioni arbitrarie ed extra-giudiziali, detenzioni arbitrarie, punizioni collettive” e “un sistema di tribunali militari fondamentalmente difettoso e la mancanza di un giusto processo penale”, ha affermato che la presunta ripetizione di questi per lunghi periodi, e la loro apparente approvazione da parte della Knesset e del sistema giudiziario di Israele, “indica che non sono il risultato di atti casuali e isolati ma parte integrante del sistema di governo di Israele”.

“Questo è apartheid. Non ha alcune delle stesse caratteristiche praticate nell’Africa del sud; in particolare, molto di ciò che è stato chiamato ‘petit apartheid’ non è presente”, ha notato. 

“D’altra parte”, ha continuato Lynk, “ci sono caratteristiche impietose del governo di ‘apartheid’ di Israele nei territori palestinesi occupati che non erano praticate in Africa del sud, come le autostrade segregate, alti muri e ampi checkpoint, una popolazione barricata, attacchi missilistici e bombardamenti di carri armati su una popolazione civile, e l’abbandono del benessere sociale dei palestinesi alla comunità internazionale.”

“Con gli occhi della comunità internazionale spalancati, Israele ha imposto alla Palestina una realtà di apartheid in un mondo post-apartheid”, ha concluso.

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