Globalist ha dedicato decine di articoli per smontare la narrazione mainstream di una Italia “meloniana” protagonista nel Mediterraneo e in Africa. Protagonista, forse sì, certamente in negativo. In Libia, in Tunisia, nel Sahel, il governo Meloni-Tajani-Piantedosi- Salvini ha collezionato una serie impressionante di schiaffi in faccia che metà bastavano per arrossire.
Ci fa piacere constatare che anche altri se ne siano resi conto.
Buchi nell’acqua
Tra questi, Valerio Valentini. Che è per il Foglio annota con grande precisione e onestà intellettuale: “Sarà pure, come dice Enrico Borghi, che “un desiderio non fa politica, e che nello iato incolmabile che caratterizza il Piano Mattei tra velleità e capacità si rischia di fare danni”. Però quello che succede a Tripoli, per l’Italia, è forse qualcosa più d’un errore. Con lessico patriottico si direbbe quasi: un’onta. E […] non solo per il pastrocchio diplomatico tra libici e israeliani che ha visto Roma come teatro del misfatto. C’è anche altro, ed è qualcosa di clamoroso, che si muove in questi giorni, a segnalare una certa distanza tra le ambizioni di Giorgia Meloni e la realtà africana
Succede infatti che un qualificato diplomatico italiano, Nicola Orlando, dopo aver vinto un concorso continentale ed essere stato scelto da Bruxelles come ambasciatore dell’Ue in Libia, si veda negato il gradimento dal governo di Abdulhamid Dabaiba, quello peraltro che l’Italia continua a sostenere con ostinata lealtà. Una bocciatura che ha del clamoroso, nella grammatica delle feluche.
E che però dal governo patriottico, quello che vuole affermare la nuova centralità dell’Italia in Africa, viene accolta con un’alzata di spalle. E sì che ad avvantaggiarsi di questa bizzarria è, a quanto pare, un diplomatico francese. Che verrebbe spontaneo da dire: […] Vuoi che a Palazzo Chigi, ai vertici di FdI […] nessuno utilizzi la propria autorevolezza diplomatica […] per chiedere spiegazioni a Tripoli del perché di una simile umiliazione?
Eppure, niente. Benché Orlando avesse tutti i titoli per rivestire l’incarico di inviato speciale per l’Ue in Libia. Già impegnato a Riad, in Afghanistan e a Tel Aviv, poi ambasciatore in Kosovo, quindi designato dall’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio come inviato speciale italiano a Tripoli, non a caso era stato lui a vincere il concorso bandito dall’Ue: e così, ad aprile scorso, l’Alto rappresentante dell’Unione, Josep Borrell, sceglie lui.
Lì, però, qualcosa s’inceppa. Quella che dovrebbe essere una mera formalità – l’espressione del gradimento ufficiale da parte del governo Dabaiba – viene prima sospesa, poi negata. E così, dalla settimana scorsa, con la scadenza del mandato del diplomatico spagnolo José Sabadall, in Libia non c’è un ambasciatore dell’Ue […].
Se si dovesse davvero dare credito ai pettegolezzi della Farnesina, secondo cui nello staff di Antonio Tajani c’è stato chi, dopo aver già dovuto accettare con fastidio la sgradita nomina di Di Maio come inviato speciale europeo nel Golfo, avrebbe gradito ancor meno la promozione di un diplomatico che proprio dai collaboratori del ministro grillino era stato indirizzato verso Tripoli, ci sarebbe da concludere con tristezza che c’è chi, ai vertici del governo, ricorre al masochismo istituzionale come a un’arma di supposta furbizia.
Forse allora per questo tocca accogliere come più concreta l’altra ipotesi. E cioè che siano stati gli apparati francesi a brigare con Dabaiba per propiziare la bocciatura di Orlando, favorendo così un diplomatico transalpino che, arrivato secondo nella graduatoria, si vedrà ora promosso. E certo, se così fosse, ci sarebbe di che lamentarsi per questa concorrenza sleale operata ai danni dell’Italia dai dirimpettai francesi.
Se non fosse, però, che un po’ tutta la strategia diplomatica del governo Meloni in Nord Africa, in questi mesi, e in definitiva buona parte dello spirito del Piano Mattei, “tradiscono una critica esplicita al modello di cooperazione francese”, osserva il renziano Borghi.
E certo a Parigi non devono essere parsi apprezzabilissimi gli attestati di onorabilità dati da mezzo governo italiano a quei golpisti nigerini (“Gente affidabile, con cui si può parlare”) che nel frattempo bruciavano la bandiera francese e intimavano all’ambasciatore di Macron di abbandonare il paese. E a colpire, in ogni caso, è la passività di Farnesina e Palazzo Chigi di fronte allo sgarbo senza precedenti di Dabaiba.
Tanto più che proprio l’Italia è, se non l’unico, il più tetragono sostenitore del traballante governo di Tripoli. […] Che poi quell’“our motherfucker” (citando Roosevelt) sia lo stesso che umilia il nostro governo negando il gradimento a un diplomatico di lungo corso, dà il senso del paradosso africano in cui Meloni annaspa. Che è lo stesso che genera incidenti diplomatici come quello tra libici e israeliani (su cui Tajani sarà verosimilmente chiamato a riferire in Senato, alla ripresa dei lavori) […].
D’altronde, quanto quelle aspirazioni poggiassero su basi ancora tutte da costruire, lo si è capito poche settimane fa. Quando, appena dieci giorni dopo la pretenziosa “Conferenza di Roma” su migrazioni e Mediterraneo, il governo filooccidentale del Niger (ospitato con tutti gli onori del caso nella capitale italiana) è finito vittima dei golpisti che inneggiavano a Putin.
Con un atto che rischia ora, peraltro, di innescare una miccia che potrà, come dimostra il caso del Gabon di queste ore, generare tensioni un po’ in tutta l’area subsahariana. Torna insomma alla mente quella raccomandazione che Mario Monti, alla vigilia del primo Consiglio europeo di Meloni, nel dicembre scorso, rivolse alla premier nell’Aula del Senato: “A me piace molto la sua idea del Piano Mattei: ma non è che converrà forse all’Italia cercare di mettersi in una posizione il più possibile efficace e autorevole nei tanti progetti che già l’Ue ha per l’Africa? Lo dico perché denominare in modo troppo nostro nuovi progetti può dare ai nostri partner un tranquillizzante stato d’animo del tipo: sì, fate voi”. […]
La sinistra batte un colpo
Questa destra continua a dimostrarsi feroce contro i migranti. Il governo abbia però almeno un sussulto di coerenza e dignità evitando che le navi umanitarie che collaborano con le autorità italiane vengano sanzionate: è inammissibile che una imbarcazione ong come Open Arms venga punita dopo aver risposto per giorni alle richieste di aiuto della Guardia Costiera, salvando centinaia di vite”. È quanto chiedono in una interrogazione parlamentare i deputati PD Marco Simiani, Chiara Braga, Elly Schlein, Simona Bonafè, Emiliano Fossi, Matteo Orfini, Laura Boldrini, Matteo Mauri, Gianni Cuperlo, Federico Fornaro, Marco Furfaro, Federico Gianassi, Arturo Scotto, Christian Di Sanzo.
“Bloccare le navi non riduce gli sbarchi”
“Appare evidente- concludono- come l’intervento delle navi umanitarie sia sempre più necessario, a causa dell’incapacità del governo di gestire una emergenza che cresce giorno dopo giorno.Limitare, rallentare e bloccare le navi umanitarie non ha quindi come conseguenza la riduzione degli sbarchi ma soltanto l’aumento esponenziale di morti in mare, spesso bambini”.
“Se l’assistenza umanitaria in mare continua ad essere ostacolata, ci sarà una presenza drasticamente diminuita delle navi civili di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale e il risultato sarà ancora più vite perse”.
E’ l’avvertimento che 56 Ong rivolgono all’Ue, chiedendo di fermare urgentemente “l’illegittima ostruzione” della flotta umanitaria disposta dall’Italia, che ha fermato nei giorni scorsi le navi Aurora, Open Arms and Sea-Eye 4.
“Tutte le navi civili di ricerca e salvataggio – chiedono le Ong – devono essere rilasciate immediatamente e qualsiasi multa derivante dalla nuova legge italiana deve essere eliminata.
La legge italiana che limita le attività di ricerca e salvataggio delle Ong nel Mediterraneo centrale deve essere revocata immediatamente; il diritto marittimo internazionale e il diritto dei diritti umani devono costituire il quadro di riferimento per tutti coloro che operano in mare”
La denuncia di Carola
Carola Rackete, intervistata da La Stampa, afferma, a ragione, che negli ultimi quattro anni per i migranti in Italia e più in generale in Europa le condizioni “Sono in generale peggiorate, ma d’altra parte abbiamo visto che non c’è stato alcun grosso problema a dare protezione a milioni di rifugiati ucraini. Possono lavorare, i bambini possono andare a scuola e tutto molto velocemente. Mentre le famiglie siriane in fuga dalle stesse bombe russe restano ancora ferme a Lesbo”. L’ex capitana della Sea Watch avverte che “stiamo andando di nuovo verso una situazione in cui i partiti di destra si consolidano, e non solo in Italia. Questo è il momento di prendere coscienza che in Europa serve un’alleanza antifascista, una linea rossa che eviti ai conservatori e all’estrema destra di collaborare, perché la Storia ci insegna dove si va a finire”. “Stiamo assistendo all’ascesa della destra ovunque. C’è una lotta massiccia contro i diritti delle donne e l’uguaglianza, contro i diritti della comunità Lgbtqi, e poi qualcosa che non si era ancora mai visto: in Italia i figli di coppie dello stesso sesso non possono più essere registrati, per esempio. Ma è semplicemente l’inizio. Ci sono pressioni anche per limitare il diritto all’aborto. Il punto è che gruppi sociali che sono stati oppressi per tanto tempo, dalle donne alle persone di colore, negli ultimi decenni hanno più diritti e questo porta a un palese contraccolpo da parte della destra”. “Trovo scandaloso che la Ue abbia trattato con la Tunisia. Abbiamo appena visto cosa fanno le forze di sicurezza tunisine ai migranti nel deserto e come li abbandonano lì. Tutta l’Unione europea è coinvolta in questo, e non dobbiamo credere quando un governo Meloni cerca di presentarsi come moderato a Bruxelles, perché è abbastanza chiaro che parla in modo diverso in Italia e a Bruxelles. Gli altri Paesi non dovrebbero cascarci”.
Ma Tajani non ci sente
Da un lancio di agenzia: “Chi continua a cascarci è l’ineffabile, quanto a capacità di incassare fallimenti e figuracce, titolare della Farnesina. Nel contesto di un’Europa che cerca di affrontare le sfide globali con una visione comune, l’Italia sta dimostrando il suo impegno nei confronti della stabilità e della sicurezza, attraverso una partnership strategica con la Tunisia. L’importanza di questa collaborazione è stata sottolineata dal Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, durante il vertice informale dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea a Toledo.
Il recente incontro tra il Presidente tunisino Saied, il leader italiano Giorgia Meloni, la Presidente della Commissione Europea von der Leyen e il Primo Ministro olandese Rutte ha evidenziato l’unità d’intenti e l’urgente necessità di affrontare alcune delle sfide più pressanti della regione. In particolare, l’accento è stato posto sull’importanza di garantire la stabilità della Tunisia e di trovare soluzioni concrete per frenare la migrazione irregolare.
L’Italia, membro chiave dell’Unione Europea e paese con una posizione geografica strategica nel Mediterraneo, ha accolto favorevolmente il memorandum raggiunto dall’Europa in merito alla collaborazione con la Tunisia. Questo documento non solo rafforza i legami diplomatici tra le due nazioni, ma rappresenta anche un passo significativo verso la promozione di una stabilità duratura nella regione e il contrasto delle sfide migratorie”.
Se non fosse che in gioco ci sono le vite di migliaia di persone, ci sarebbe da ridere nel leggere le dichiarazioni-fotocopia del capo (sic) della diplomazia italiana.
C’è un giudice a Strasburgo
La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per trattamento inumano di una migrante minore non accompagnata, presumibilmente vittima di abusi sessuali, perché la giovane è stata tenuta per quasi 8 mesi in un centro di accoglienza per adulti non attrezzato per fornirle un’adeguata assistenza psicologica, e per “l’inazione prolungata delle autorità nazionali in merito alla sua situazione e alle sue esigenze in quanto minore particolarmente vulnerabile”. La Cedu ha stabilito che lo Stato dovrà versarle 6 mila euro per danni morali e altri 4 mila per le spese legali.
Il ricorso arrivato a Strasburgo nel settembre del 2017 è di una ragazza ghanese nata il 16 novembre del 1999 e arrivata su una barca a Reggio Calabria il 22 ottobre 2016. Cinque giorni dopo viene trasferita all’Istituto Cereso Santa Maria degli Angeli di Bagnara Calabra, una struttura predisposta per accogliere i minori. Ma la ragazza fugge dall’istituto il 6 febbraio del 2017 e qualche giorno dopo arriva a Como dove viene ospitata nel centro di accoglienza per adulti Osvaldo Cappelletti.
La sentenza
Nella sentenza la Cedu pur riconoscendo che la ragazza all’inizio era stata alloggiata in una struttura per minori da cui lei stessa è fuggita, condanna l’Italia per la sua lunga permanenza nel centro per adulti a Como, nonostante i ripetuti appelli del suo avvocato alle autorità e nonostante quest’ultime fossero informate della vulnerabilità della giovane, che aveva più volte affermato di essere stata violentata in Ghana e poi in Libia. La giovane è uscita dal centro solo dopo che il suo legale ha richiesto e ottenuto un intervento urgente della Cedu che ha detto al Governo che era necessario trasferirla in strutture in cui potessero essere garantite condizioni adeguate alla sua condizione di minore non accompagnata. Il 22 dicembre 2017 il Ministero dell’Interno le ha concesso la protezione internazionale.
Argomenti: governo meloni