Zaki, non basta parlare di 'grazia' di al-Sisi dimenticando perché era finito in cella
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Zaki, non basta parlare di 'grazia' di al-Sisi dimenticando perché era finito in cella

Le autorità del Cairo hanno parlato della liberazione del giovane egiziano come solo "atto di grazia" senza chiarimenti e specificazioni di sorta, come se non esistesse da sempre l'enorme buco nero della morte del giovane Regeni.

Zaki, non basta parlare di 'grazia' di al-Sisi dimenticando perché era finito in cella
Patrick Zaki
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Nuccio Fava Modifica articolo

21 Luglio 2023 - 09.21


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Finalmente la liberazione definitiva dell’ex studente dell’Università di Bologna ha trovato una conclusione priva di qualunque motivazione se non “la grazie del Presidente egigiziano”. Qualche giorno dopo la visita della Meloni in Egitto, ma senza cenno alcuno sulla sorte di Patrick Zaki e con il rischio di un ulteriore rinvio della sua piena liberazione e del ritorno in Italia. 

Singolare per certi versi l’atteggiamento del Governo italiano, ovviamente lieto della conclusione positiva dello studente ormai amato a Bologna come il più caro dei suoi figli senza però conoscere con una qualche chiarezza le vere ragioni della lunga prigionia. In effetti si è parlato soltanto di “grazia” – del Presidente Al Sisi senza mai chiarire le ragioni del trattamento carcerario riservato e per quali ragioni si ricorresse alla fine ad un atto di clemenza.

Del resto il Presidente Egiziano gioca da tempo una partita importante nell’intera area mediterranea, specie nei confronti della confinante Libia con gli enormi interessi energetici che contiene. Sicuramente almeno di questo avranno parlato la Presidente italiana e il comandante in capo egiziano in occasione del recente incontro al Cairo, incentrato sull’ambizioso progetto mai sufficientemente chiarito del misterioso nuovo piano Mattei e dell’affanno comprensibile ma profondamente ingiusto e pericoloso nei confronti dei problemi delle migrazioni. In qualche modo in sintonia con lo sforzo dell’Italia di aiuto e sostegno verso la Tunisia, dove peraltro la situazione interna è in profonda ebollizione ed è abbastanza difficile immaginare una positiva soluzione a breve.

Dicevamo del resto che le autorità del Cairo hanno parlato della liberazione del giovane egiziano come solo “atto di grazia” senza chiarimenti e specificazioni di sorta, come se non esistesse da sempre l’enorme buco nero della morte del giovane Regeni.

Nulla, infatti, è stato offerto come elemento di chiarificazione, di incidente o di motivazione di quella tragica morte, sulla quale dal Cairo si è eretto un muro di silenzio e di ripulsa ad ogni richiesta della stessa magistratura italiana. Una grave ombra che richiederebbe una ben maggiore capacità di reazione e di iniziativa da parte del nostro Governo.

Giustamente l’esultanza che ha accompagnato la liberazione di Zaki è sacrosanta ma non risolve l’ambiguità e i limiti dell’azione del Governo italiano compreso il nostro Ministro degli esteri che ha sottolineato con vigore che nessuna pressione era stata svolta dall’Italia nei rapporti politici con l’Egitto, nè alcuna contropartita militare ed economica era stata messa in campo. Mi è tornato in mente il favore popolare e i festeggiamenti sistematicamente improvvisati dalle popolazioni dei paesi dell’Aspromonte o dei peloritani a cavallo dello stretto di Messina, ogni volta che veniva liberato un ostaggio tenuto in cattività sotto gli ordini di esponenti della mafia o della ndrangheta. 

Giustamente il popolo gioiva e il parroco suonava a stormo le campane della chiesa ma il problema della criminalità mafiosa, non solo al sud, è tuttora irrisolto. 

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