Francesco e Orban: il no del Papa a un cristianesimo nazionalista e illiberale
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Francesco e Orban: il no del Papa a un cristianesimo nazionalista e illiberale

Il Papa in Ungheria ha sollecitato il clero a non essere rigido, ma misericordioso, perché lo stile di Dio si chiama “vicinanza”, e si basa su compassione e tenerezza.

Francesco e Orban: il no del Papa a un cristianesimo nazionalista e illiberale
Papa Francesco e Viktor Orban
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

29 Aprile 2023 - 16.36


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Non si capisce quanto ha detto sin qui Francesco in Ungheria se non si parte da quanto ha detto accogliendolo il premier Viktor Orbàn: “ siamo impegnati a tenere l’Ungheria sulla strada del cristianesimo, che in questi tempi non è  cosa facile”. Qualcuno aveva fatto chiaramente capire che Francesco, scegliendo l’Ungheria del premier Viktor Orbàn come luogo dove recarsi anche per tentare di rilanciare una prospettiva di dialogo per la guerra in Ucraina, essendo Orbàn un leader europeo ma anche un alleato indiscutibile di Putin, avrebbe tenuto nell’ombra le differenze con il premier ungherese sulla questione dei migranti. Lui infatti accoglie molti ucraini, ma tiene i confini del suo Paese chiusi ai fuggiaschi sulla rotta balcanica. Perché il papa, pur non intervenendo sulle specifiche politiche dei governi, ha chiaramente preso le distanze da questa “strada” orbanaina? 

Vedremo tra poco cosa ha risposto al premier nel suo primo discorso, quello pronunciato davanti alle Massime autorità politiche e diplomatiche. Ma dobbiamo inquadrarlo nel senso profondo di quanto ha detto poco dopo incontrando il clero ungherese: un discorso con l chiaro obiettivo di ricordare ai suoi preti che non devono mai cedere al disfattismo e al conformismo. Il Vangelo infatti a suo avviso offre la possibilità di entrare nel nostro tempo con capacità di discernimento, con accoglienza e profezia. Questo vuol dire saper cogliere la presenza di Dio nella realtà. Davanti alle sfide dell’oggi i cristiani non devono irrigidirsi, chiudersi, anche se i problemi sembrano eccessivi. Queste sfide al contrario devono tenere la Chiesa lontana dalla “mondanità”, cioè dal desiderio di successo, di riconoscimento, di potere. Questa è la tentazione, il rischio più grave. 

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Quindi, a braccio, ha sollecitato il clero a non essere rigido, ma misericordioso, perché lo stile di Dio si chiama “vicinanza”, e si basa su compassione e tenerezza. Questa della vicinanza e della tenerezza di Dio, ha detto nel successivo incontro con i poveri in cattedrale, è il motivo per cui la Chiesa deve mostrarsi vicina e compassionevole con chiunque soffra. Perché questa vicinanza testimonianza la vicinanza di Dio a tutti i suoi figli. Dio non è un giudice severo e lontano, Dio non è capo di una parte contro le altre, ma ci esorta all’amicizia, alla vicinanza.  Se la vicinanza è testimonianza della vicinanza di Dio, allora il progetto etnico, non compassionevole, è un altro progetto, per me antitetico. 

Ecco perché, davanti alle autorità ungheresi, presentando un altro cristianesimo rispetto a quello della “democrazia cristiana illiberale”, ha concluso il suo discorso  citando così il primo re ungherese: “ un Paese che ha una sola lingua e un solo costume è debole e cadente. Per questo ti raccomando di accogliere benevolmente i forestieri e di tenerli in onore, così che preferiscano stare piuttosto da te che non altrove”. Non a caso, poco dopo che Orbàn aveva parlato del suo cristianesimo, Bergoglio ha ricordato che Gesù “ si è identificato nello straniero da accogliere”.

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Di conseguenza è seguita la richiesta di “ vie sicure e legali” e “meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà”.

Venendo alla guerra, alla tragedia Ucraina e all’Europa, il papa non si sottratto all’obbligo della chiarezza: “ pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra”. Invece l’Europa ha una sua storia, un suo significato indiscutibile, chiaro: “l’Europa ha rappresentato, insieme alle Nazioni Unite, la grande speranza, nel comune obiettivo che un più stretto legame fra le Nazioni prevenisse ulteriori conflitti. Purtroppo non è stato così.  In generale sembra essersi disgregato negli animi l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri”.

Il multilateralismo rimane chiaramente la bussola per la costruzione di un concerto mondiale. Infatti la pace, ha ribadito il papa rinnovando la sua esortazione più importante, “ non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente”. Cosa vuol dire Europa dunque?“ unire i distanti, accogliere al suo interno i popoli e non lasciare nessuno per sempre nemico”. 

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Poi ha citato Alcide De Gasperi, le parole che pronunciò alla presenza di Schuman e Adenauer: “ È per se stessa, non per opporla ad altri, che noi preconizziamo l’Europa unita e lavoriamo per l’unità, non per la divisione”. Facendo esplicito riferimento all’Ucraina ha citato Schuman così: “Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche, in quanto la pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. Ovvio che si chiesto dove siano gli sforzi creativi! Più facile vedere, come ha sottolineato, populismi autoreferenziali. 

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