Afghanistan: cosi i talebani hanno realizzato l'apartheid di genere

L’Afghanistan tradito dall’Occidente, oscurato dalla comunità internazionale, dimenticato, o quasi, dai media. L’Afghanistan e l’apartheid di genere instaurato dai talebani.

Afghanistan: cosi i talebani hanno realizzato l'apartheid di genere
Donne afghane
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Aprile 2023 - 19.46


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L’Afghanistan, un inferno in terra. Soprattutto per le donne. L’Afghanistan tradito dall’Occidente, oscurato dalla comunità internazionale, dimenticato, o quasi, dai media. L’Afghanistan e l’apartheid di genere instaurato dai talebani.

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Apartheid di genere

E’ solo l’ultimo diktat dell’interminabile serie praticata dai barbuti studenti del Corano da quando sono tornati al potere il 15 agosto 2021. I talebani hanno vietato alle famiglie e alle donne di accedere ai ristoranti con giardini o spazi verdi nella provincia nord-occidentale di Herat, in Afghanistan.

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Un funzionario del governo ha spiegato che la decisione è stata presa dopo le lamentele di studiosi religiosi e altre persone sulla mescolanza di generi in tali luoghi. Lo scrive il sito Onet citando l’Ap. Il governo talebano ha inoltre vietato alle donne di lavorare per la missione Onu, ha dichiarato l’organismo mondiale, costringendo le Nazioni Unite a fare una “scelta spaventosa” sul proseguimento delle operazioni in Afghanistan. “Con questo divieto, le autorità talebane de facto cercano di costringere le Nazioni Unite a fare una scelta spaventosa tra il rimanere e fornire supporto al popolo afghano e il rispettare le norme e i principi che abbiamo il dovere di difendere”, ha dichiarato la missione Onu in Afghanistan in un comunicato. Le decisioni dei talebani sono le ultime di una serie di restrizioni imposte da quando hanno preso il potere nell’agosto 2021. Le ragazze sono state escluse dalla scuola e dalle università, dalla maggior parte dei tipi di impiego. Sono anche bandite da spazi pubblici come parchi e palestre. Le autorità affermano che le restrizioni sono in atto a causa della mescolanza di genere o perché le donne presumibilmente non indossano correttamente l’hijab, o il velo islamico. Il divieto di mangiare all’aperto si applica solo ai locali di Herat, che però rimangono aperti agli uomini. Baz Mohammad Nazir, un vice funzionario della direzione del Ministero del vizio e della virtù a Herat, ha smentito le notizie dei media secondo cui tutti i ristoranti erano vietati alle famiglie e alle donne, liquidandoli come propaganda. Azizurrahman Al Muhajir, a capo della direzione del ministero del Vizio e della Virtù a Herat, ha dichiarato: “I ristoranti con spazi aperti sono come parchi ma li chiamavano ristoranti e uomini e donne erano tutti insieme. Grazie a Dio ora è stato corretto. Inoltre, i nostri revisori stanno controllando tutti i parchi frequentati da uomini e donne”.

Donne coraggiose (1)

In Afghanistan la resistenza ha il volto di donna. Le donne che non cedono ai diktat dei talebani. Le donne che continuano a sfidare gli oscurantisti misogini al potere manifestando nelle piazze, anche se questo può costare caro: il carcere, la lapidazione.

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Donne coraggiose, come Batool Haidari. Questa è la sua storia scritta per affarinternazionali.it: “Prima di arrivare e trovare rifugio in Italia, ero una delle ricercatrici afgane impegnate in una ricerca universitaria sui problemi dei pazienti che affrontavano la pedofilia. Mi sono sentita minacciata dal ritorno dei talebani perché ero una professoressa universitaria e anche una scrittrice, oltre a essere membro della leadership della Rete di partecipazione politica delle donne afgane.

Con il ritorno al potere dei talebani, nell’agosto 2021, ho sentito di non essere più al sicuro. In Afghanistan ho ricevuto minacce, a volte telefonate da sconosciuti. Mi hanno ridicolizzato perché esercitavo come psicologa donna e ho lavorato con membri della comunità LGBTQ+ e li ho sostenuti. I talebani consideravano le mie attività antireligiose e anti islamiche e per questo desideravano la mia morte. Per questo motivo, con l’aiuto della giornalista Maria Grazia Mazzola, siamo partite dall’Afghanistan indossando il burqa e siamo arrivate in Pakistan. Ci siamo nascoste per un po’ finché l’Italia non ci ha inviato un visto e siamo riusciti a partire.

La tradizione contro le donne

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L’Afghanistan è un Paese fortemente governato dalle tradizioni e la religione è radicata nelle famiglie. Queste due questioni sono tra le cause dell’arretramento rispetto ad altri Paesi. Diciotto anni fa, con l’avvento del governo repubblicano, il Paese è lentamente cambiato, con l’impegno di ricostruire e far progredire la tradizione. Uomini e donne hanno iniziato a combattere insieme e hanno cercato di apportare cambiamenti alla società. In quel periodo, le università fiorirono e affinché le donne potessero entrare nella società e andare all’università, le famiglie furono incoraggiate a lasciare che le loro figlie andassero a scuola e continuassero la loro istruzione. Perché, fino a quel momento, le usanze e la religione non permettevano alle ragazze di andare a scuola.

Prima del governo repubblicano, le famiglie richiedevano che le ragazze giovani si sposassero presto e avevano una sorta di visione economica su ragazze e ragazzi. Ma le persone che avevano a cuore i loro diritti hanno cercato di rimuovere molte ‘linee rosse’. Ecco perché molte ragazze, considerati tutti i disagi e le pressioni delle famiglie, con il sostegno della legge e del governo che voleva portare un cambiamento, hanno continuato ad andare a scuola e sono entrate all’università. Sono aumentati i caffè e i ristoranti gestiti da donne o le attività gestite da donne e uomini. Giorno dopo giorno, la speranza per la vita e per il futuro diventava sempre più forte tra gli afgani. Sebbene ci fossero ancora difficoltà e gruppi di terroristi conducessero attacchi di tanto in tanto, il popolo afghano ha resistito e non ha smesso di provare e muoversi per avere una vita buona e moderna, malgrado le poche strutture e infrastrutture presenti nel Paese.

Abusi e violazioni dei diritti delle donne

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Oggi, le donne in Afghanistan sono state completamente eliminate dalla scena pubblica. In Afghanistan si è verificato un’apartheid di genere. Le donne hanno perso tutti i loro diritti fondamentali come esseri umani. Non hanno nemmeno il diritto di usare i bagni pubblici per lavarsi. Non possono né avere né gestire attività commerciali. Sono tutte ostaggio dei talebani, che abusano delle donne. Le donne non hanno il diritto di studiare, lavorare, nemmeno di andare dal parrucchiere. E le donne afgane non accettano il regime talebano, vorrebbero rovesciare questo sistema, non vogliono vivere sotto il dominio di questo sistema che è contro l’umanità e contro la religione.

Il fatto che molte donne che si trovino nei centri di tortura dei talebani siano incinte, anche dei talebani stessi, così come l’aumento dei matrimoni precoci e degli abusi sessuali sui bambini, è una terribile notizia che ci arriva dall’Afghanistan. Inoltre, va detto che questi sono una piccola parte degli eventi e degli incidenti di cui siamo a conoscenza, ci sono sicuramente eventi più orribili che le persone non fanno notizia sui media per vergogna e paura.

Purtroppo le donne che sono rimaste in Afghanistan, e gli attivisti che erano nei settori politici e nel governo precedente continuano a essere in pericolo. A volte non è chiaro quale sia il centro di potere dei talebani, spesso regna il caos e alcune persone hanno abusato del caos per regolare i conti che avevano con alcune donne, come nel caso dell’omicidio di Mursal Nabizada.

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Una rete per l’Afghanistan

La Rete di partecipazione politica delle donne afghane lotta per la giustizia e l’uguaglianza  ed è lontana da qualsiasi etnia, razzismo e supremazia. Combatte contro ogni gruppo e sistema che è contro l’umanità. Questa rete rispetta le credenze e le convinzioni dei suoi membri e fintanto che queste convinzioni non sono un problema per gli altri e non impediscono le attività degli altri, le rispetta tutte e non promuove né sostiene alcuna religione o credenza tranne l’umanità.

Questa Rete ha aiutato molte donne a lasciare l’Afghanistan. In questo contesto, la Rete è un movimento vicino all’Afghanistan, la Rete è nel cuore e in mezzo alle persone. La maggior parte dei membri si trova all’interno dell’Afghanistan e tutti lavorano e combattono segretamente, ma alcune delle principali leader sono partite e ora cercano di creare una solida piattaforma per sostenere le donne e portare la loro voce nel mondo. Per sopravvivere e mantenere la sicurezza delle loro famiglie e delle altre donne, queste leader hanno dovuto lasciare il Paese attraverso canali nascosti e sicuri, in modo da poter continuare la lotta. Qualsiasi persona che voglia essere la voce del popolo dell’Afghanistan, contro l’estremismo religioso, può far parte di questa Rete e aiutare il popolo afghano”.

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Donne coraggiose (2)

Ne scrive Francesca Venturi in una bella intervista per l’Agi a Atefa Tayeb, che prima dell’avvento dei talebani era viceministra degli Affari parlamentari. “E’ stata  – scrive Venturi – fra le persone che il Regno Unito ha aiutato a lasciare il Paese in quel tragico momento di 20 mesi fa, e ora si trova all’Imperial College di Londra dove prosegue la sua carriera accademica, con un dottorato sullo sviluppo dell’educazione. È anche molto impegnata nella lotta per i diritti civili delle sue connazionali rimaste a casa, soprattutto per quanto riguarda le questioni scolastiche.

“La mia famiglia – dice all’Agi – è sempre stata impegnata nelle questioni legate all’educazione e ha deciso di investire sulla mia istruzione. Andando contro le pratiche conservatrici nella nostra società, mio padre non solo mi ha consentito di iscrivermi alla facoltà di medicina, ma mi ha anche dato la possibilità di dirigere una scuola privata e un’università, che offrivano opportunità di istruzione a migliaia di bambini e adulti”.

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Come donna politica e impegnata nella società civile, al momento del ritorno al potere dei talebani ha dovuto lasciare il Paese: ci può raccontare la sua esperienza?

È vero avevo un incarico politico ma tuttavia la natura della mia posizione era molto tecnica, quella di collegare come un ponte i due pilastri dello stato rappresentati dal governo e dal parlamento. Avendo in precedenza vinto una Borsa di Studio Chevening del governo britannico, nonostante la situazione caotica, Londra è riuscita a farmi partire, assieme a due giovani membri della mia famiglia. Come la maggior parte degli afghani che hanno lasciato Kabul in quei giorni, abbiamo superato ostacoli e situazioni che non si possono nemmeno raccontare, almeno fino a quando non siamo arrivati all’aeroporto. Sono sicura che tutti voi avete visto le immagini di quello che succedeva: noi eravamo parte di quel momento tragico: rimarrà un triste ricordo per il resto dei nostri giorni.

Da quando i talebani sono tornati al potere per le donne in Afghanistan la situazione è drammaticamente peggiorata, di giorno in giorno. Può raccontarci quali sono i problemi principali?

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Per capire la situazione delle donne in Afghanistan è necessario entrare nel merito della “cultura politica” talebana. I talebani rappresentano il gruppo più conservatore della società e le donne hanno un valore secondario nel loro sistema di realtà: in altre parole, sono convinti che le donne siano inferiori agli uomini. Pertanto, è una responsabilità innata degli uomini quella di controllarne pensiero, comportamenti e azioni.

Questo sistema di valori si è ora tradotto nella politica del governo.

I talebani hanno vietato alle donne di andare a scuola, lavorare, andare nei parchi pubblici e nei bagni pubblici. Stanno anche cercando di estendere il loro controllo sul processo mentale delle ragazze attraverso un’enorme campagna di propaganda.  Recentemente mi hanno raccontato che i predicatori talebani stanno cercando di influenzare anche il ragionamento della parte moderata della società, con la diffusione delle loro interpretazioni islamiche tribali e ultra-fanatiche. Per riassumere: quello che si sta realizzando in Afghanistan è un vero apartheid di genere, un sistema di governo basato sulla subordinazione completa delle donne in tutti gli aspetti della loro vita.

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Certamente avrà ancora molti contatti nel suo Paese: come vivono la situazione le donne e gli uomini che sostengono le loro battaglie, c’è resistenza? Ci sono azioni per contrastare il regime?

Beh, le donne non si sono arrese. Nonostante siano state lasciate da sole e alla loro iniziativa, continuano a respingere e a opporsi al regime dei talebani. I movimenti delle donne a Kabul, Takhar e Herat sono la pietra angolare della resistenza civile contro i talebani. E la loro brutale risposta non è ancora riuscita ad aver ragione delle proteste e delle richieste di questi movimenti. Molte attiviste per i diritti delle donne sono state picchiate e arrestate, molte anche giovanissime sono in prigione ora, ma il terrore non le ha fermate: le ragazze ci sono, per strada, sui social media e nei media tradizionali. Vogliono che le loro  voci siano ascoltate: e noi abbiamo tutti la responsabilità morale di ascoltare e amplificare le loro voci.

Poco tempo fa è stata decisa la chiusura di un’emittente indipendente gestita da donne, Radio Sada e Banowan, nella città di Faizabad, nella provincia di Badakhshan a nord di Kabul. Come considera questa ennesima azione contro le donne?  

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Si tratta di qualcosa che ci aspettavamo dai talebani fin dall’inizio. Loro sono contro la libertà e soprattutto contro i media. Uno dei primi decreti, quando sono salite al potere, è stato quello di vietare alle giornaliste di apparire sugli schermi televisivi e poi di obbligarle a  indossare il velo. Sono loro ad avere il pieno controllo anche sul contenuto dei media, inclusi radio e televisione. Era impensabile che non chiudessero quella stazione radio, permettendo di rilanciare la voce delle donne e la loro denuncia su quanto sta accadendo. Non sono sorpresa.

Come si possono sostenere dall’esterno le lotte per la libertà delle donne afghane? C’è qualche speranza di influire sulle azioni del potere talebano, o la comunità internazionale dovrebbe puntare a un nuovo cambio di regime?

Nei primi tempi del loro ritorno al potere, circolava una teoria ottimistica secondo cui trovandosi di fronte a una società cambiata in 20 anni di politiche per le donne, persino i talebani avrebbero capito che potevano accettarla ed esercitare il potere in un modo diverso. Ma quanto accaduto negli ultimi mesi ci dice che si tratta di un gruppo eterogeneo: come governanti de facto, la loro priorità assoluta è mantenere la loro unità come gruppo ideologico. Mi pare che stiano ignorando le richieste pubbliche, concentrandosi invece sulla politica di appeasement nei confronti del loro naturale elettorato, formato di conservatori. Ma a pagare un prezzo enorme di questo loro gioco sono le persone e soprattutto le donne. I talebani dipendono finanziariamente molto dagli aiuti internazionali: il regime non può reggere nemmeno un mese senza aiuti, e questa è una leva importante. Allo stesso tempo, la comunità internazionale deve essere molto chiara nel suo messaggio a Kabul: nessuna ricompensa per i cattivi comportamenti. I talebani devono percepire che la pazienza della comunità internazionale e quella della popolazione afghana hanno un limite. Quanto al cambio di regime, dobbiamo fare molta attenzione a che cosa vogliamo. Il meccanismo per un cambiamento deve essere esaminato con grande attenzione: la storia dell’Afghanistan è piena di sanguinosi cambi di regime”.

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Donne coraggiose. Irriducibili nel rivendicare diritti e dignità. E’ l’Afghanistan da raccontare e sostenere. 

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