Da "zar" a criminale di guerra: la parabola discendente di Vladimir Putin
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Da "zar" a criminale di guerra: la parabola discendente di Vladimir Putin

Il mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale de l’Aja nei confronti di Vladimir Putin è storico: lo Zar è più Milosevic che Pietro il Grande

Da "zar" a criminale di guerra: la parabola discendente di Vladimir Putin
Vladimir Putin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Marzo 2023 - 18.12


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Per la prima volta nel mirino della giustizia internazionale è entrato il presidente di uno dei 5 stati i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Basterebbe questo per definire “storico” il mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale de l’Aja nei confronti di Vladimir Putin. 

Un fatto storico

“Putin deve soltanto fare un passo fuori dalla Russia e si troverà a utilizzare la carta igienica della prigione dell’Aja”: ad affermarlo in un’intervista a Repubblica, l’ex procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia Carla Del Ponte, protagonista del processo a Slobodan Milosevic.

“Se credo davvero che Putin si farà arrestare? Un fatto è certo. Da oggi la sua vita da capo dello Stato diventa difficile. Gli sarà inibito qualsiasi vertice internazionale”, argomenta l’ex magistrata ed ex ambasciatrice svizzera. “È innegabile che la richiesta di arresto incrina irrimediabilmente la sua immagine pubblica. Oggi in Russia lui è il presidente, ma è chiaro che i gravissimi reati che gli sono contestati possono giocare anche politicamente contro di lui”. “Putin vuole sradicare l’identità di un popolo e quindi deve risponderne penalmente”, sostiene Del Ponte. “Finalmente è stato raggiunto un primo traguardo molto importante, che è solo un primo passo verso la contestazione degli altri innumerevoli reati di cui Putin dovrà essere incriminato”, rileva l’ex procuratrice federale. “Il crimine di guerra di cui è accusato, la deportazione dei bambini, è gravissimo e non l’abbiamo ancora mai visto contestato a livello di responsabilità penale. Ma ci saranno tantissimi altri crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in quest’anno di guerra in Ucraina che sono apparsi estremamente gravi e di cui lui stesso dovrà rispondere”.

Concetti che Del Ponte aveva anticipato i una precedente intervista 

a SWI swissinfo.ch. Eccone alcuni brani: 

Si può dire che Putin è un criminale di guerra?

È un criminale di guerra, sì, certamente. Vedo delle analogie con Slobodan Milosevic [ex presidente della Serbia giudicato dalla CPI per non aver impedito il genocidio in Bosnia, Ndr]. Putin tratta gli ucraini come terroristi vantandosi di lottare contro il terrorismo – è esattamente la stessa cosa che Milosevic diceva all’epoca [negli anni Novanta].

Come si può arrestare un presunto criminale? Serve la cooperazione dello Stato russo? Un cambio al potere?

Molte condizioni devono essere riunite. Innanzitutto, la pace. La guerra deve terminare; la giustizia può avanzare in parallelo a un processo di pace. A sua volta, la giustizia può favorire la pace. Guardiamo a cosa è successo nell’ex Jugoslavia con Milosevic: era ancora presidente mentre erano in corso dei colloqui di pace [a Rambouillet, in Francia, Ndr]. Lui non era presente. Perché? Perché sapeva di essere oggetto di un’inchiesta internazionale e poteva esserci un mandato di arresto nei suoi confronti. Non sapeva se ne esistesse effettivamente uno, ma sapeva che ce n’era il rischio. Abbiamo capito che le discussioni per un accordo di pace sono state facilitate dal fatto che Milosevic era sotto inchiesta.

Quale aspetto l’ha scioccata di più di questa guerra?

Le fosse comuni. È qualcosa di inimmaginabile. Le fosse comuni significano che tutte le vittime civili sono state seppellite insieme. Sarà difficile riesumarle; bisognerà fare esami, autopsie, analisi del DNA e capire se siano civili o militari. Molte delle vittime sono state sepolte con la carta di identità e questo semplifica l’identificazione. I civili sono coloro che hanno sofferto di più a causa di questa guerra.

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Fin qui Carla Del Ponte.

Non è impossibile che il presidente russo Vladimir Putin possa un giorno essere processato dalla Corte penale internazionale. Lo ha detto il procuratore capo dell’Cpi, Karim Khan come riporta la Cnn. «Quelli che pensano sia impossibile non capiscono la storia – ha aggiunto – i principali criminali di guerra nazisti, l’ex presidente jugoslavo Slobodan Miloševic, l’ex politico serbo-bosniaco Radovan Karadžic, l’ex ufficiale militare serbo-bosniaco Ratko Mladic, l’ex presidente liberiano Charles Taylor, l’ex primo ministro Jean Kambanda del Ruanda, Hissène Habré, l’ex presidente del Ciad, erano tutti individui potenti e potenti, eppure si sono trovati in un’aula di tribunale davanti a giudici indipendenti», ha detto Khan.

Il mandato di arresto della Cpi contro Vladimir Putin “ha più che un valore simbolico: è un altro tassello per indebolire” il presidente russo e la sua immagine in patria e all’estero, spiega Cuno Tarfusser, ex giudice italiano della Cpi. Si tratta di “una sanzione giudiziaria, una spada di Damocle giudiziaria che si aggiunge alle sanzioni economiche e al voto all’Onu a larga maggioranza ci condanna della guerra”.

Il mandato emesso dalla Corte “non ha solo un valore simbolico – sottolinea il magistrato – ha sicuramente un valore di accertamento giudiziario che crimini di guerra sono stati commessi, con un timbro giurisdizionale” dopo mesi di indagine condotte dai giudici dell’Aja. È invece simbolico “dal punto di vista dell’esecutività”, non avendo la Russia ratificato lo Statuto di Roma che ha istituito la Corte. “Ma anche questo – spiega – ha una limitazione nel fatto che lo spazio di manovra di chi è colpito dal mandato si restringe ulteriormente: Putin non potrà uscire dai confini russi senza rischiare di essere arrestato e consegnato all’Aja”.

Il presidente russo rischia nei 123 Paesi che hanno ratificato lo Statuto, chiarisce Tarfusser, ma anche in quelli che non lo hanno fatto, in base “al principio di cortesia diplomatica”. “Se fossi in Putin – commenta – non andrei in quei Paesi che hanno votato all’Onu la risoluzione di condanna ma non hanno ratificato lo Statuto. E tutto questo non fa che indebolire Putin e la sua immagine”. Il magistrato cita il caso dell’ex presidente sudanese Omar al Bashir, che lui stesso ha seguito quando era giudice all’Aja: “Man mano che passavano gli anni è rimasto confinato nel suo paese, ogni volta che usciva lo abbiano sempre seguito e questo crea debolezza all’interno del paese, non rafforza né l’immagine né il potere”. Anche il presidente russo “avrà intorno qualcuno che non lo sostiene”, commenta Tarfusser, che chiosa: “Certo non sarà possibile mandare qualcuno in Russia per arrestarlo e consegnarlo all’Aja ma in mezzo c’è un ampio ventaglio di possibilità”.

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Rimarca Eleonora Tafuro Ambrosetti, analista politica dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) ed esperta di Russia, Caucaso e Asia centrale, intervistata da Fanpage.it. “La violazione del diritto internazionale umanitario è alla base della decisione dei giudici dell’Aja che, secondo l’esperta dell’Ispi, hanno voluto lanciare “un messaggio molto forte”: questo mandato di arresto internazionale ci dice che “nessuno, nemmeno il leader di un membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, è ‘intoccabile'”. Infine c’è un altro elemento importante in questa decisione dell’Aia che riguarda l’imminente incontro tra il presidente russo Putin e il suo omonimo cinese Xi Jinping che si recherà a Mosca dal 20 al 22 marzo: “Anche se penso che la tempistica sia una coincidenza – spiega Tafuro Ambrosetti – la decisione arriva poco prima della prima visita di Xi Jinping in Russia dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca”.

“Mentre Putin – conclude – cercherà di dipingere il mandato di arresto come un’ulteriore prova della russofobia occidentale, ciò potrebbe in realtà innervosire Xi già costretto ad affrontare la crescente pressione occidentale affinché smetta di sostenere il regime russo”.

Le reazioni internazionali

Per Volodymyr Zelensky si tratta di una “decisione storica, da cui partirà la responsabilità storica”. Secondo Kiev sono 16.221 i minorenni ucraini portati forzosamente e illegalmente in Russia. L’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, commenta: “La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto nei confronti del presidente Putin per i crimini di guerra con la deportazione di bambini in Russia. La Corte penale internazionale scrive che ‘vi sono basi ragionevoli per credere che Putin abbia la responsabilità individuale per questi crimini’. La gravità dei crimini e la dichiarazione della Cpi parlano da soli. Si tratta di un’importante decisione della giustizia internazionale e per il popolo ucraino. Noi abbiamo sempre detto chiaramente in Ue che i responsabili dell’aggressione illegale contro l’Ucraina devono essere portati alla giustizia. E questo mandato è solo l’inizio nel processo di giustizia contro i leader russi per i crimini e le atrocità commessi in Ucraina. L’Unione europea apprezza e sostiene il lavoro della Corte penale internazionale e le sue inchieste. Non ci può essere impunità”.

I dubbi americani

Ne dà conto Alberto Simoni, corrispondente de La Stampa da Washington: “La mossa della Corte penale internazionale di emettere un mandato di arresto contro Putin e Maria Lyoya-Beloya, la commissaria russa per i diritti dell’infanzia, ha colto Washington nel bel mezzo di una faida interna se consegnare o meno all’Aja le prove raccolte dall’intelligence Usa sui crimini di guerra in Ucraina.

L’Amministrazione Usa si è spaccata e il Pentagono ha alzato le barricate temendo di creare un precedente che potenzialmente apre le porte a future incriminazioni nei confronti di americani. Su posizioni opposte sono il Dipartimento di Stato e quello di Giustizia. Il presidente Biden non ha per ora preso alcuna posizione, è a lui che spetterà come e entro che limiti collaborare con la Cpi.

Ora però che il caso contro Putin è stato squadernato e c’è sul tavolo un mandato di arresto internazionale, la questione per la Casa Bianca si complica ulteriormente.

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L’ICC è sorta nel 1998 con lo Statuto di Roma, nel 2000 Bill Clinton firmò il documento ma non lo inviò mai al Congresso per la ratifica. Il suo successore George W. Bush ha di fatto tolto la firma, ma sulla mancata adesione Usa alla ICC il consenso è bipartisan: fra il 1999 e il 2002 il Congresso ha varato leggi che limitavano il coinvolgimento e il sostegno – pur da “esterno” – degli Usa ai giudici internazionali. Nemmeno sotto l’Amministrazione Obama sono stati fatti passi avanti anche se il Dipartimento di Stato «accettò la realtà» della Corte di cui riconosceva l’ampio sostegno internazionale e ha fornito documenti e aiutato i procuratori nella caccia ai signori della guerra in Africa. Con Trump i rapporti fra ICC e Usa sono arrivati al punto più basso quando l’allora segretario di Stato Mike Pompeo ha denunciato la corruzione dell’organismo e imposto delle sanzioni, tolte con l’avvento di Biden e la nomina di Karim Khan come nuovo procuratore capo e l’uomo che vorrebbe portare alla sbarra Putin.

Il conflitto ucraino ha parzialmente avvicinato gli Usa all’organismo internazionale. Washington – cosi come Pechino e Mosca – non aderisce alla Corte, ma nel dicembre del 2022 il Congresso ha allentato alcune restrizioni e finanzia e condivide informazioni con la ICC.

La decisione di Khan va oltre comunque quanto finora a Washington è stato fatto contro Putin: il dipartimento di Giustizia ad esempio, ha diverse indagini aperte riguardo la morte di americani in Ucraina ma non sta indagando Putin per crimini di guerra, ha riferito una fonte al New York Times.

La Casa Bianca e il Dipartimento – scrive ancora Simoni – hanno atteso diverse ore prima di commentare la decisione dell’ICC. Il Dipartimento di Stato ha evidenziato la natura indipendente della Corte e precisato di «sostenere la responsabilità per gli autori di crimini di guerra». In una nota si legge che «non ci sono dubbi sul fatto che la Russia abbia commesso crimini di guerra in Ucraina e siamo sempre stati chiari che gli autori dovevano essere ritenuti responsabili». La Casa Bianca ha ribadito di sostenere le azioni della Corte, ma nel comunicato del Consiglio per la Sicurezza nazionale si menziona esplicitamente il sostegno all’incriminazione di Putin…”. 

I dubbi americani restano, ma ciò non toglie la portata storica della decisione assunta dai tre giudici della Cpi. Dei tre, uno è l’italiano Rosario Aitala. Gli altri sono il giapponese Tomoko Akane e il costaricano Sergio Ugalde, che hanno accolto le richieste del procuratore Karim Khan.

Un portavoce di Human Rights Watch, una delle più importanti organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani con sede a New York, ha fatto notare che il presidente russo sarà ancora più un escluso a livello mondiale: un ricercato per crimini di guerra, che non può andare dove vuole perché rischia l’arresto.  

Da “zar” a criminale di guerra. Così si consuma la parabola discendente di Vladimir Vladimirovič Putin. 

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