Chi si oppone finisce in galera. Anche se è un parlamentare eletto. E se poi il partito che rappresenti è votato dai curdi allora è destinato a fare una brutta fine. Questo è lo stato di polizia instaurato dal “sultano di Ankara”, il presidente-autocrate Recep Tayyp Erdgogan.
Per rompere il silenzio
Care amiche e cari amici,
noi deputate e deputati del Partito Democratico nella Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati esprimiamo profonda preoccupazione per il processo in corso presso la Corte Costituzionale turca relativo alla chiusura del partito di opposizione Peoples’ Democratic Party (HDP).
La messa al bando dell’HDP significherebbe una nuova grave violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, poiché i sette partiti della tradizione politica su cui si basa l’HDP sono già stati chiusi in passato e questo sarebbe dunque, l’ennesimo vulnus del diritto alla rappresentanza politica in Turchia, poiché al partito democraticamente votato da milioni di persone non sarebbe più consentito di partecipare alla competizione politica.
In coerenza con i valori che guidano la nostra politica, vi esprimiamo tutta la piena solidarietà a difesa dell’esistenza del Partito Democratico dei Popoli (HDP). Nel suo programma e nelle sue politiche, infatti, l’HDP si batte per una Turchia democratica e pluralista in cui le persone vivano in libertà e giustizia, per una società in cui prevalga l’uguaglianza. La parità di genere, il rispetto dei diversi gruppi etnici e religiosi e la salvaguardia dell’ambiente sono aspetti importanti per i quali il vostro partito si batte e che sentiamo come nostri. Chiediamo la fine del processo in corso la cui finalità esclusivamente politica viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Per tutte queste ragioni siamo al vostro fianco e auspichiamo una Turchia democratica in cui tutti i partiti politici possano essere rappresentati e svolgere apertamente la loro attività.
Firmato: Laura Boldrini, Andrea Orlando, Enzo Amendola, Lia Quartapelle, Fabio Porta.
Una presa di posizione importante, coraggiosa, in controtendenza rispetto alle imbarazzanti aperture di credito ribadite dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ai ministri degli Esteri e Interni, Antonio Tajani e Matteo Piantedosi.
Il mese scorso, rimarca Alberto Mariotti in un documentato report su eastjournal.net – “la Corte Costituzionale turca ha deciso a maggioranza per il congelamento dei fondi pubblici ai curdi del Partito Democratico dei Popoli (HDP). Un duro colpo, aggravato dai timori circa il futuro del partito, su cui pende il rischio di chiusura sulla base di presunti legami coi “terroristi del PKK”, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.
Il contesto
L’HDP, che con l’11,8% dei voti alle elezioni del 2018 ha eletto 67 deputati e vinto in 58 municipalità, di cui tre città metropolitane (Diyarbakır, Mardin e Van), 5 Provincie e 50 Distretti, costituisce il terzo gruppo parlamentare, nonché il secondo dell’opposizione.
Il congelamento dei fondi pubblici si inserisce nel contesto della procedura di chiusura del partito lanciata dall’Ufficio del Procuratore Generale della Turchia, Bekir Şahin. Tale causa, assieme alla richiesta di interdire per cinque anni da ogni attività politica oltre 687 personalità dell’HDP, era stata presentata alla Corte Costituzionale il 17 marzo 2021, ma subito rigettata per vizi di procedura. Il Procuratore Generale ha ripresentato il caso il 6 giugno, chiedendo ancora una volta lo scioglimento del partito, l’interdizione politica per 451 membri HDP e il congelamento dei conti bancari del partito. Il 21 giugno 2021 la plenaria della Corte ha annunciato la ricevibilità dell’atto di accusa, respingendo tuttavia la richiesta di congelamento immediato dei conti bancari.
La misura
Il 5 gennaio, con otto giudici a favore e sette contrari, la Corte ha accolto la nuova richiesta di sospensione dei fondi pubblici erogati o da erogare al Partito, articolata dal Procuratore sulla base dei presunti continui legami tra HDP e il PKK e dalla insufficiente condanna del primo verso gli attentati di Mersin e Istanbul del settembre e novembre 2022, attribuiti al PKK.
All’HDP è stato concesso un mese per presentare la mozione di difesa, sulla base della quale la Corte deciderà se continuare o meno il blocco dei fondi. Al partito spetterebbero 539 milioni di lire turche (quasi 30 milioni di dollari) nel 2023, di cui 179 milioni sarebbero dovuti arrivare il 10 gennaio scorso. Con le cruciali elezioni sempre più vicine – previste per il 18 giugno, ma da tempo si parla di voto anticipato, , e lo scorso 18 gennaio Erdoğan ha indicato il 14 maggio come probabile data – tale congelamento rischia di avere un enorme impatto sulle capacità dell’HDP di condurre la propria campagna elettorale, al di là della spada di Damocle rappresentata dal procedimento di scioglimento del partito dei curdi. Senza considerare poi l’elevato numero di personalità del partito già detenute in carcere o sotto processo, tra cui i due leader del partito Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag.
La risposta
Il Partito democratico dei Popoli ha denunciato ciò che ritiene un processo politico, e lo stesso voto della Corte come un cedimento di questa alle pressioni politiche. Difatti, riferiscono i portavoce del Partito, la Corte avrebbe accolto la richiesta del Procuratore (rigettata due volte in passato) in assenza di nuove evidenze, senza averla notificata al Partito e dunque non raccogliendo le obiezioni della controparte.
Molti hanno poi sottolineato come l’indagine contro l’HDP avanzata dal Procuratore Şahin– nominato dal Presidente Recep Tayyip Erdoğan a giugno 2020 – sia stata avviata pochi mesi dopo l’espressa richiesta di Devlet Bahcelileader del partito ultranazionalista MHP al governo con l’AKP.
I timori espressi dall’HDP – che vede nella decisione del 5 gennaio scorso “un’espressione, diretta o indiretta, del parere della Corte (riguardo la chiusura del Partito ndr) prima del verdetto” – sono fondati tanto sulle esperienze passate quanto sullo stato delle relazioni tra potere esecutivo e giudiziario nel Paese.
I dubbi sul sistema giudiziario
Dal 1961, anno in cui è stata fondata la Corte, unico organo preposto a decretare lo scioglimento di un partito, sono 25 i partiti turchi sciolti. Tra questi, ben sette espressione dei curdi – in certa misura predecessori dell’attuale HDP – sulla base di accuse di separatismo. I timori dei leader e degli elettori dell’HDP sono accompagnati da una convinzione: sciogliere il partito non fermerà i curdi dal portare avanti le proprie battaglie politiche in Turchia, sia attraverso la formazione di un nuovo partito, tramite candidati indipendenti, o con il sostegno ad altri partiti d’opposizione in base alla loro posizione rispetto alla questione curda.
La storia della Corte Costituzionale dimostra una mano ferma in riferimento al tema del separatismo interno, che negli ultimi 40 anni si sovrappone con la questione dei curdi. Vi si aggiunge la progressiva politicizzazione del potere giudiziario tramite la “AKP-izzazione” dello Stato. Con il nuovo assetto costituzionale post-2018, dei 15 membri della Corte Costituzionale ben dodici saranno di nomina presidenziale, mentre tre eletti dal Parlamento (a maggioranza semplice): una situazione che la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa aveva definito “una degenerazione del sistema verso un regime personale e autoritario”.
Verso una decisione della corte sulla chiusura del partito
Dei 15 giudici attualmente in carica ben otto devono la propria nomina a Erdoğan, mentre due sono stati eletti dal Parlamento nel 2010 e cinque sono stati nominati dall’ex Presidente Abdullah Gül. Una composizione che non rispecchia tuttavia completamente il voto del 5 gennaio: tra i sette che hanno votato contro la decisione figurano infatti Şevki Hakyemez, Akyel, Seferinoğlu e Menteş, nominati da Erdoğan tra il 2016 e il 2019. Tre di questi si sono tuttavia opposti alla decisione su base procedurale –non era stata ascoltata la difesa della controparte – più che sostanziale; il che può lasciare spazio a una scelta differente sulla decisione per la chiusura o meno dell’HDP.
Questa dovrà essere presa a maggioranza dei 2/3, ovvero con 10 voti a favore. Ancora prima del numero dei voti necessari, tuttavia, sarà la decisiva elezione per la Presidenza della Corte a influire sugli sviluppi futuri: il 13 febbraio scade infatti il mandato di Zühtü Arslan, attuale Presidente, il quale ha già riferito di non volersi ricandidare vista la scadenza del suo mandato nella Corte nel 2024. Il Presidente della Corte ne determina l’agenda dei lavori e dunque sarà sua prerogativa decidere se posticipare il processo, magari a dopo le elezioni.”.
Presidenza sbarrata
Scrive Surme Shorsh su Notizie Geopolitiche del 4 febbraio: “Una delegazione del partito curdo HDP ha ncontrato il leader Selahattin Demirtas nella prigione di Edirne, nel nord-ovest della Turchia, dove è detenuto dal novembre 2016, e gli ha chiesto di essere il candidato del partito alle presidenziali. Demirtas ha ringraziato la delegazione per la proposta, ma ha dichiarato di non potersi candidare alla massima carica dello Stato a causa degli ostacoli legali e che sosterrà un candidato designato dall’Alleanza per il Lavoro e la Libertà, di cui l’HDP fa parte.
Demirtas era co-presidente dell’HDP quando è stato arrestato.
Gli ostacoli legali citati da Selahattin Demirtas si riferiscono al divieto politico derivante da una sentenza del tribunale del 2018 che gli ha inflitto una condanna a quattro anni e otto mesi di carcere con l’accusa di aver diffuso propaganda terroristica. La decisione del tribunale è stata confermata dalla Corte d’appello nel 2021. Demirtas ha presentato un’istanza individuale alla Corte costituzionale sostenendo che i suoi diritti fossero stati violati, ma la Corte non ha ancora esaminato la richiesta.
La legge turca non consente a chi è stato condannato per un reato di candidarsi alla presidenza, come confermato anche dalla Corte d’appello.
Demirtas è attualmente in carcere nell’ambito di un altro processo.
La co-presidente dell’HDP, Pervin Buldan, ha annunciato all’inizio del mese che il suo partito avrebbe determinato il proprio candidato alla presidenza e ne avrebbe annunciato il nome il prima possibile. “L’HDP deciderà il proprio candidato alla presidenza e parteciperà alle elezioni con quel candidato”, ha dichiarato Buldan.
L’HDP, il secondo più grande partito di opposizione in parlamento, dovrebbe giocare un ruolo cruciale nell’elezione del prossimo presidente della Turchia.
Un blocco di opposizione, composto da sei partiti oltre all’HDP, non ha ancora annunciato i propri candidati, mentre il presidente in carica Recep Tayyip Erdogan ha già dichiarato che sarà il candidato dell’”Alleanza pubblica”, che comprende il suo partito Giustizia e Sviluppo (AKP) e il Movimento Nazionalista (MHP), di estrema destra. Il blocco dell’opposizione, noto come “Tavolo dei Sei”, sta prendendo le distanze dall’HDP a causa delle accuse di presunti legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), dichiarato fuorilegge e inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche dalla Turchia e da gran parte della comunità internazionale. Prima di essere incarcerato, Demirtas era apertamente critico verso il governo dell’AKP e del suo leader Erdogan. Si è candidato alle elezioni presidenziali del 2014 e del 2018 come rivale di Erdogan. Il leader incarcerato ha condotto la sua campagna elettorale dalla prigione per le elezioni del 2018. È dietro le sbarre per accuse di natura evidentemente politica dal novembre 2016, nonostante sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo abbiano chiesto il suo rilascio immediato”.
Demirtas resterà in galera. L’HDP verrà dichiarato fuorilegge. E l’Europa continuerà a omaggiare il presidente-carceriere riempiendolo di miliardi di euro perché faccia il “Gendarme” del Mediterraneo. Una vergogna che la lettera dei quattro parlamentari Dem svela.