Il 'piano Africa' di Giorgia Meloni: finanziare chi fa il lavoro sporco al posto nostro. Come a Tunisi
Top

Il 'piano Africa' di Giorgia Meloni: finanziare chi fa il lavoro sporco al posto nostro. Come a Tunisi

Il governo securista italiano ha un nuovo proselite a Tunisi: il presidente autoritario Kais Saied

Il 'piano Africa' di Giorgia Meloni: finanziare chi fa il lavoro sporco al posto nostro. Come a Tunisi
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Febbraio 2023 - 18.11


ATF

Il governo securista italiano ha un nuovo proselite a Tunisi. 

Scrive Lucio Gambardella su Il Foglio: “In Tunisia, il presidente autoritario Kais Saied ha denunciato l’esistenza di un fantomatico “piano criminale”, orchestrato per “organizzare una grande ondata” di migranti subsahariani nel paese e realizzare una grande sostituzione etnica. Le dichiarazioni di Saied, rilasciate durante una riunione con i consulenti per la sicurezza del paese, sono state pubblicate sul sito della presidenza tunisina e sono l’ultima trovata ultranazionalista che rientra nella deriva dittatoriale della sua presidenza. Leggendole, sembrerebbe che Saied abbia attinto direttamente al vocabolario della destra identitaria europea, laddove per esempio menziona il rischio di una “trasformazione demografica” del paese per fare della Tunisia “un paese africano, senza alcuna affiliazione ai paesi arabi e islamici”. Non a caso Éric Zemmour, leader dell’ultradestra francese, ha subito dichiarato di condividere le parole di Saied: “La Tunisia vuole agire per difendere il suo popolo – ha detto il leader del Partito della riconquista – Cosa aspettiamo a combattere la Grande sostituzione?”.

La società civile non si arrende

Ne dà conto da Tunisi, in un articolo per Il Manifesto, Matteo Garavoglia: “ Migliaia di simpatizzanti della società civile tunisina hanno partecipato a Tunisi alla manifestazione contro il “fascismo e il razzismo” in risposta al discorso del presidente della Repubblica Kais Saied che martedì scorso aveva invocato “misure urgenti da adottare per far fronte al fenomeno dell’afflusso di un gran numero di irregolari sub-sahariani migranti in Tunisia”. Partito davanti alla sede del Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini (Snjt) il corteo è arrivato sulla centralissima Avenue Habib Bourguiba dove gli organizzatori della manifestazione, tra cui il Forum per i diritti economici e sociali (Ftdes), il Sindacato dei giornalisti tunisini (Snjt), la Lega tunisina per i diritti umani (Ltdh) e l’Associazione tunisina delle donne democratiche (Atfd), hanno espresso con slogan e canti il loro assoluto sostegno e la solidarietà a tutte le vittime di quella che hanno definito “una campagna razzista” chiedendo la definizione di criteri oggettivi per regolare lo status giuridico di tutte le persone che desiderano risiedere in Tunisia.

Secondo l’organizzazione Avocats sans frontières (Asf), sono centinaia le aggressioni subite da cittadini di origine subsahariana. Per aggressioni si intende rastrellamenti casa per casa da parte dei proprietari per cacciare le persone dalle proprie abitazioni, intimidazioni per strada e online, attacchi fisici con armi da taglio e non solo, licenziamenti in tronco da posti di lavoro che prevedevano semplici regole di sfruttamento, incendi dolosi appiccati di fronte alle residenze e arresti arbitrari (fenomeno in crescita: secondo Asf, 700 negli ultimi venti giorni).

Tutto questo haportato di fatto la popolazione di origine subsahariana a chiudersi nelle proprie abitazioni, da Tunisi al profondo sud del paese. E, nel momento in cui la casa non esistesse più a seguito di un rastrellamento, la società civile ha attivato un sistema di assistenza per ospitare le persone in difficoltà.

Non è un caso che alla mobilitazione di ieri i manifestanti di origine subsahariana fossero quasi del tutto assenti lasciando alle tunisine e ai tunisini lo spazio per dire «basta a questo regime fascista». E non è neanche un caso che uno dei momenti più emozionanti sia stato quando il corteo ha incrociato quattro ragazze subsahariane affacciate dal balcone di uno dei tipici palazzi decadenti del centro di Tunisi.

Leggi anche:  Giorgia Meloni, gli studenti e la criminalizzazione del dissenso

Le parole del presidente della Repubblica hanno da subito suscitato forti prese di posizioni. In primis dall’Unione africana: «Invitiamo la Tunisia ad astenersi da qualsiasi discorso di odio di carattere razzista e che possa nuocere alle persone. Condanniamo fermamente le dichiarazioni scioccanti fatte dalle autorità tunisine contro i compatrioti africani, le quali vanno contro lo spirito della nostra organizzazione e i nostri principi fondatori». Altrettanto immediata è stata la reazione del ministro degli Esteri Nabil Ammar: «Sono delle accuse che rifiutiamo. La migrazione illegale pone dei problemi in tutti i paesi. Il fatto di riconoscere che sia un problema non vuole che si tratti un discorso di odio».

Dall’altra parte del Mediterraneo, per il momento l’Unione europea ha preferito il silenzio. E c’è chi invece ha applaudito al discorso del presidente: «Gli stessi paesi del Maghreb cominciano a suonare l’allarme di fronte alla deriva migratoria. La Tunisia ha deciso di prendere provvedimenti urgenti per proteggere il suo popolo. Cosa aspettiamo a lottare contro il grande rimpiazzamento?», si è chiesto Eric Zemmour, fondatore del partito di estrema destra Reconquête e candidato alle elezioni presidenziali francesi del 2022.

Al di là di quello che succederà nelle prossime settimane in Tunisia, dove il clima di incertezza aumenta quotidianamente, Kais Saied ha giocato la carta dell’immigrazione subsahariana sapendo di premere un tasto scoperto della società tunisina: il razzismo, un argomento rimasto tabù per anni, ora è diventato di pubblico dominio ed è aumentato con l’aggravarsi delle condizioni economiche e sociali. I problemi del Paese però non finiscono qui. Parallelamente alla questione degli abusi e delle violenze nei confronti della comunità subsahariana, da settimane si fanno sempre più incessanti le notizie riguardo agli arresti di natura politica. Giornalisti, attivisti e politici di primo piano sono finiti nel mirino della giustizia «per avere attentato alla sicurezza dello Stato». Modalità che a diversi analisti hanno ricordato i metodi utilizzati all’epoca del despota Zine El-Abidine Ben Ali. L’ultimo arresto a risuonare fortemente per le strade di Tunisi ha coinvolto Jahouar Ben M’Barek, uno dei leader del Fronte di salute nazionale che ha guidato gran parte delle proteste contro il presidente della Repubblica dopo il colpo di forza del 25 luglio 2021, quando ha azzerato il governo e congelato il parlamento. A fare notizia è che il giorno prima era stato fermato suo padre, il leader della sinistra storica tunisina Ezzeddine Hazgui..”.

Giro di vite

Giovedì in Tunisia – ricorda il Post – sono stati arrestatati Jaouhar Ben M’barek e Chaima Aïssa, importanti esponenti del Fronte di Salvezza Nazionale, coalizione politica che raggruppa tutti i principali partiti che si oppongono al presidente Kais Saied, accusato di governare il paese in maniera autoritaria. Sono accusati di essere coinvolti in un complotto per sovvertire l’ordine dello Stato: le stesse accuse erano state mosse nelle scorse settimane nei confronti di una dozzina di altri oppositori di Saied, tra cui politici, giudici, sindacalisti e giornalisti.

Saied è accusato di aver gradualmente dato una svolta autoritaria nel paese negli ultimi tre anni. Nel luglio del 2021 il presidente aveva sospeso i lavori del parlamento, per poi scioglierlo nel marzo del 2022. Successivamente ha governato per decreto, fino all’approvazione di una nuova Costituzione che gli garantisce ampi poteri e che ha istituito una nuova legge elettorale che non prevede la partecipazione alle elezioni dei partiti, ma solo di candidati indipendenti. L’affluenza alle prime elezioni che si sono svolte con questa legge, lo scorso dicembre, è stata fra le più basse al mondo, e oggi la Tunisia ha un parlamento che ha poteri molto limitati.

Leggi anche:  Arresto di Netanyahu, il governo filo-Bibi va in confusione (e una parte del Pd pure)

La strage di migranti e i richiami all’Europa

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso il proprio “dolore per il naufragio avanti alle coste crotonesi, nella quale hanno perso la vita decine persone e tra queste alcuni bambini.  Molti tra questi migranti  – ha detto Mattarella in una nota – provenivano dall’Afghanistan e dall’Iran, fuggendo da condizioni di grande difficoltà. È una ennesima tragedia del Mediterraneo che non può lasciare nessuno indifferente”. “E’ indispensabile – ha aggiunto – che l’Unione europea assuma finalmente in concreto la responsabilità di governare il fenomeno migratorio per sottrarlo ai trafficanti di esseri umani, impegnandosi direttamente nelle politiche migratorie, nel sostegno alla cooperazione per lo sviluppo dei paesi da cui i giovani sono costretti ad allontanarsi per mancanza di prospettive”.

Tutti insieme, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi sul Patto sulla migrazione e l’asilo e sul Piano d’azione per il Mediterraneo centrale”. Lo scrive in un tweet la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in cui si dice “profondamente addolorata” per il naufragio avvenuto al largo di Crotone e che è costato la vita ad almeno quaranta persone.

“Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità – sottolinea il  cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei – ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità. Non possiamo ripetere parole che abbiamo sprecato in eventi tragici simili a questo, che hanno reso il Mediterraneo in venti anni un grande cimitero”.
Secondo il presidente della Cei, “occorrono scelte e politiche, nazionali ed europee, con una determinazione nuova e con la consapevolezza che non farle permette il ripetersi di situazioni analoghe”. “L’orologio della storia non può essere portato indietro e segna l’ora di una presa di coscienza europea e internazionale – conclude -. Che sia una nuova operazione Mare Nostrum o Sophia o Irini, ciò che conta è che sia una risposta strutturale, condivisa e solidale tra le Istituzioni e i Paesi. Perché nessuno sia lasciato solo e l’Europa sia all’altezza delle tradizioni di difesa della persona e di accoglienza”.

Il richhiamo all’Europa è il filo conduttore di tutte le dichiarazioni seguite alla strage di oggi. Ma quale Europa? Quella dei “Gendarmi” del Mediterraneo a cui affidare i respingimenti in mare o la gestione dei campi di concentramento, perché di ciò si tratta, in cui rinchiudere decine di migliaia di persone, non importa come, basta che non arrivino sulle nostre coste? Va gridato alto e forte. Le stragi in mare sono il portato dell’esternalizzazione delle frontiere perseguita dall’Europa. 

Pochi giorni dopo l’approvazione alla Camera del recente decreto in materia di immigrazione, si consuma l’ennesima tragedia che sembrerebbe essere costata la vita a molte persone, a quanto riportato dai media.

Leggi anche:  E se il Natale ci portasse in dono le elezioni anticipate?

“Non possiamo assistere silenti alla morte di decine di persone a causa di un naufragio a poche miglia dalle coste italiane nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa per cercare un futuro possibile, spezzato dal drammatico naufragio, che conferma come il Mediterraneo centrale sia tra le rotte migratorie che causano il numero più elevato di vittime, tra cui donne e minori. Non possiamo non chiederci, con indignazione, quando queste morti smetteranno di essere numeri e ci sarà un reale impegno per evitarle. È più che mai urgente un’assunzione di responsabilità condivisa tra gli Stati membri e le istituzioni europee che disponga un meccanismo coordinato e strutturato di ricerca e salvataggio delle persone in difficoltà in mare, agendo nel rispetto dei principi del diritto internazionale, e che si ponga l’obiettivo di garantire vie sicure e legali per l’ingresso in Europa”, ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice programmi Italia Europa di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro. 

Save the Children sottolinea l’importanza dell’impegno nell’accoglienza e nella protezione dei migranti che attraversano la frontiera sud dell’Europa in cerca di salvezza, e in particolare di quelli più vulnerabili, come minori soli, anche molto piccoli, mamme e bambini. 

“Da anni si dice che tragedie come questa non debbano più succedere, ma quanto accaduto oggi dimostra ancora una volta che le attuali politiche non sono in grado di affrontare l’arrivo dei migranti in modo strutturato, garantendo salvataggio, assistenza e protezione adeguate. Quanti altre vite dovranno essere spezzate prima di una reale assunzione di responsabilità?”, conclude Raffaela Milano.

Una risposta fattiva non può certo venire dai “securisti” che governano oggi l’Italia. Neanche da chi veste i panni del “poliziotto buono”. Le Ong non c’entrano niente” con il drammatico naufragio sulle coste della Calabria, “mai le Ong hanno operato in questo tratto di mare”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani a Mezz’ora in Più condotto da Lucia Annunziata, sottolineando che “nessuno ha fatto la guerra alle Ong, il governo dà delle regole”.

 
Il vicepremier e capo della diplomazia ha affermato, sollecitato sulla questione delle Ong, che “è bene che salvino ma se si danno appuntamento con gli scafisti non è più salvare”. Le organizzazioni non governative “devono essere degli alleati”. In ogni caso, ha affermato Tajani, “gran parte dei migranti salvati in mare sono salvati dalla Guardia costiera e dalla Guardia di finanza”. Tuttavia, le Ong “non sono mai state escluse”

Il titolare della Farnesina prova a mascherare la realtà, ad addolcire la pillola, ma la sostanza non cambia: la guerra alle Ong è in atto, ministro Tajani, e lei lo sa bene. E se non ne è informato, chieda lumi al suo collega di governo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Quanto poi ai rapporti con i Paesi della sponda sud del Mediterranea, quelli che il governo cerca sono “gendarmi” da finanziare perché facciano il lavoro sporco al posto nostro. Altro che “Piano Africa”. L’Italia vuole applicare il “modello Erdogan” alla Tunisia, alla Libia, all’Algeria e all’Africa subsahariana. Il governo Meloni non cerca alleati ma complici. In Tunisia ne ha trovato uno. 

Native

Articoli correlati