Italia-Libia: senza un no del Parlamento il Memorandum dell'infamia sarà rinnovato
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Italia-Libia: senza un no del Parlamento il Memorandum dell'infamia sarà rinnovato

Il 2 Novembre, se il neo insediato Parlamento non deciderà diversamente, lo scellerato, criminale Memorandum d’intesa Italia-Libia verrà automaticamente rinnovato.

Italia-Libia: senza un no del Parlamento il Memorandum dell'infamia sarà rinnovato
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Ottobre 2022 - 15.51


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La manifestazione nazionale per la pace è fissata per il 5 Novembre a Roma. Tre giorni prima, il 2 Novembre, se il neo insediato Parlamento non deciderà diversamente, lo scellerato, criminale Memorandum d’intesa Italia-Libia verrà automaticamente rinnovato. Globalist avanza una proposta agli organizzatori della manifestazione: dichiarare non gradita la partecipazione dei parlamentari che non si sono opposti a quel “patto infame”.

La società civile protesta

Le conseguenze del Memorandum sulle persone trattenute in Libia tra abusi, sfruttamento, detenzione arbitraria e torture e la gestione dei fondi europei che finanziano la Guardia costiera libica. Sono i principali temi della conferenza stampa, organizzata da 40 organizzazioni, il prossimo mercoledì 26 ottobre a Roma, alle ore 14.30 presso la Sala Cristallo dell’hotel Nazionale in Piazza di Montecitorio 131, per chiedere all’Italia e all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e non rinnovare gli accordi con la Libia.

Dopo la conferenza stampa, le organizzazioni invitano la società civile a scendere in piazza durante la manifestazione organizzata alle 17,30 in Piazza dell’Esquilino. Se entro il 2 novembre il governo italiano non deciderà per la sua revoca, il Memorandum Italia–Libia verrà automaticamente rinnovato per altri 3 anni. Si tratta di un accordo che da ormai 5 anni ha conseguenze drammatiche sulla vita di migliaia di donne, uomini e bambini migranti e rifugiati. Dal 2017 ad ottobre 2022 quasi 100.000 persone sono state intercettate in mare dalla guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. Le organizzazioni chiedono al governo italiano di riconoscere le proprie responsabilità e di non rinnovare gli accordi con la Libia.

Cinque anni di crimini.

Italia e Unione europea devono cessare di collaborare al ritorno dei migranti e dei richiedenti asilo nell’inferno della Libia. Lo ha dichiarato Amnesty International, alla vigilia del quinto anniversario degli accordi di cooperazione finalizzati all’intercettamento dei migranti e dei rifugiati durante la traversata del mar Mediterraneo. Negli ultimi cinque anni sono state oltre 82.000 le persone intercettate in mare e riportate in Libia: uomini, donne e bambini andati incontro alla detenzione arbitraria, alla tortura, a trattamenti crudeli, inumani e degradanti, agli stupri e alle violenze sessuali, ai lavori forzati e alle uccisioni illegali. Il Governo di unità nazionale della Libia continua a favorire queste violenze e a rafforzare l’impunità: ne è un esempio la recente nomina alla guida del Dipartimento per il contrasto dell’immigrazione illegale di Mohamed al-Khoja, che in precedenza controllava il centro di detenzione di Tariq al-Sikka, al cui interno erano state documentate diffuse violenze.“La cooperazione con le autorità libiche fa sì che persone disperate siano intrappolate in condizioni di un orrore inimmaginabile. Negli ultimi cinque anni Italia, Malta e Unione europea hanno contribuito alla cattura in mare di decine di migliaia di donne, uomini e bambini, finiti in gran parte in centri di detenzione agghiaccianti, dove la tortura è all’ordine del giorno. Innumerevoli altre persone sono state vittime di sparizione forzata”, ha dichiarato Matteo de Bellis, ricercatore di Amnesty International su migrazione e asilo. “È davvero giunto il momento di porre fine a questo approccio vergognoso, che mostra un totale disprezzo per la vita e la dignità delle persone, e di dedicarsi invece ad attività di soccorso che assicurino lo sbarco delle persone in un luogo sicuro che, come ribadito solo pochi giorni fa dal segretario generale delle Nazioni Unite, non può essere la Libia”, ha aggiunto de Bellis.

L’assistenza dell’Unione europea ai guardacoste libici è iniziata nel 2016, così come gli intercettamenti in mare. La cooperazione è poi aumentata considerevolmente con l’adozione di un Memorandum d’intesa bilaterale, firmato da Italia e Libia il 2 febbraio 2017, e con l’adozione della Dichiarazione di Malta, sottoscritta dai leader dell’Unione europea a La Valletta il giorno dopo.

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Questi accordi costituiscono la base di una costante cooperazione che affida il pattugliamento del Mediterraneo centrale ai guardacoste libici, attraverso la fornitura di motovedette, di un centro di coordinamento marittimo e di attività di formazione. Gli accordi sono stati seguiti dall’istituzione della zona SAR libica, un’ampia area marittima in cui i guardacoste libici sono responsabili del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso.

Queste azioni, in grandissima parte realizzate dall’Italia e finanziate dall’Unione europea, hanno da allora consentito alle autorità libiche di riportare sulla terraferma persone intercettate in mare, nonostante sia illegale riportare persone in un luogo nel quale rischiano di subire gravi violazioni dei diritti umani.

In Libia i migranti e i rifugiati, sia dentro che fuori dai centri di detenzione, subiscono sistematicamente una serie di violazioni dei loro diritti, del tutto impunite, da parte di milizie, gruppi armati e forze di sicurezza.

Il 10 gennaio 2022 milizie e forze di sicurezza hanno sparato contro i migranti e i rifugiati che erano accampati di fronte a un centro di assistenza dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, a Tripoli. Le centinaia di persone lì arrestate si trovano ora nel centro di detenzione di Ain Zara, nella capitale libica, in condizioni insalubri e di sovraffollamento, sottoposte a violenze e private di quantità adeguate di cibo e acqua. I migranti e i rifugiati manifestavano fuori dal centro dall’ottobre 2021 per chiedere protezione, dopo un precedente raid delle milizie e delle forze di sicurezza al termine del quale migliaia di persone erano state arrestate e molte altre erano rimaste senza un alloggio.

“L’Italia e l’Unione europea devono cessare di contribuire a queste violenze atroci e iniziare ad assicurare che le persone che rischiano di annegare nel Mediterraneo siano prontamente soccorse e trattate umanamente”, ha commentato de Bellis.

“L’Unione europea e i suoi stati membri devono sospendere ogni forma di cooperazione che contribuisca a trattenere migranti e rifugiati in Libia e a far subire loro violazioni dei diritti umani. Chiediamo, al contrario, che si dedichino all’apertura di percorsi legali urgentemente necessari per le migliaia di persone intrappolate in Libia e che hanno bisogno di protezione internazionale, ha concluso de Bellis.

Il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia scadrà nel febbraio 2023 ma sarà rinnovato automaticamente per altri tre anni se le autorità italiane non lo annulleranno entro il 2 novembre 2022.

Amnesty International Italia continua a sollecitare il governo a sospendere e non rinnovare l’accordo, oltre che a chiedere al parlamento di avviare le opportune iniziative nei confronti del governo. L’organizzazione per i diritti umani ha anche pubblicato sul sito amnesty.it una petizione a sostegno dell’interruzione della cooperazione con la Libia.

Nel 2021 i guardacoste libici, col sostegno di Italia e Unione europea, hanno catturato in mare 32.425 rifugiati e migranti e li hanno riportati in Libia: di gran lunga il più alto numero finora registrato, tre volte superiore a quello dell’anno precedente. Sempre durante il 2021, 1553 persone sono morte o sono scomparse in mare nel Mediterraneo centrale.

In un rapporto del 17 gennaio 2022 il segretario generale delle Nazioni Unite si è dichiarato “gravemente preoccupato” per le continue violazioni dei diritti umani contro i migranti e i rifugiati in Libia, tra cui violenze sessuali, traffico di esseri umani ed espulsioni collettive. Il rapporto ha ribadito che “la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco di migranti e rifugiati” e ha ribadito la richiesta agli stati membri coinvolti di “rivedere le politiche che favoriscono gli intercettamenti in mare e il ritorno dei migranti e dei rifugiati in Libia”. Il rapporto ha anche confermato che i guardacoste libici continuano a operare con modalità che pongono in grave pericolo le vite e la salute dei migranti e dei rifugiati che cercano di attraversare il mar Mediterraneo.

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Pur riconoscendo tali limiti, un rapporto interno del comandante dell’operazione navale dell’Unione europea “Eunavfor Med Irini”, reso pubblico dall’Associated Press il 25 gennaio 2022, ha confermato il proseguimento dei programmi di rafforzamento dell’operatività dei guardacoste libici.

La richiesta di Medici senza frontiere

Da un articolo di Focsiv (Federazione degli organismi di volontariato internazionale d’ispirazione cristiana): “A 5 anni dalla sua firma, le autorità italiane hanno la possibilità di annullare il Memorandum con la Libia entro il 2 novembre di quest’anno, prima che esso venga rinnovato automaticamente alla scadenza nel febbraio 2023. Mascherato da meccanismo di cooperazione e dalla retorica del ‘salvataggio di vite umane’, il Memorandum è stato di fatto strumentale all’esternalizzazione delle frontiere da parte dell’Italia che ha supportato più o meno direttamente – es. donazione di mezzi e addestramento della guardia costiera libica – l’intercettazione, respingimento e trattenimento nei centri di detenzione di un numero sempre più alto di migranti. Dal 2016 ad oggi, più di 100.000 persone che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo centrale sono state intercettate nella zona SAR (search and rescue) libica – istituita nel dicembre 2017. Le politiche di esternalizzazione hanno inoltre contribuito a destabilizzare la Libia, rafforzando le milizie che oggi hanno un forte peso politico all’interno del paese e portando a una graduale perdita di influenza dell’Italia.

Il fallimento del modello attuale di cooperazione Italia-Libia e della gestione dei flussi migratori è reso esplicito anche dalla limitata capacità di azione delle agenzie delle Nazioni Unite come l’Unhcr, che non è sufficiente a contro-bilanciare gli effetti del Memorandum per la salvaguardia dei diritti dei migranti. Al convegno ci si è chiesti se “Senza l’intervento umanitario sarebbe possibile proseguire con il Memorandum? Oppure venendo meno l’intervento umanitario anche da un punto di vista giuridico non sarebbe stato possibile mettere in atto il Memorandum?”. Quel che è certo è che l’intervento umanitario non solleva il governo italiano dalle proprie responsabilità.

Le voci di attivisti dalla Libia e dal Niger ci ricordano come parte della narrazione sulle migrazioni nel Mediterraneo centrale conti troppo spesso sui numeri, dimenticandosi dei corpi e delle persone che in Libia, ma non solo, non hanno accesso a forme di protezione e subiscono quotidianamente gravi violazioni dei diritti umani. Allargare lo sguardo e mettersi in ascolto dialogando con la società civile libica è fondamentale per non riprodurre una narrazione delle migrazioni che rischia di essere schiacciata su numeri che non creano coinvolgimento ed empatia, che non fanno intendere la tragedia umana in atto in Libia, sul mare e sul fondo del mare, con migliaia di persone, uomini, donne e bambini annegati.

Se con il conflitto in Ucraina emergono forti contraddizioni e un modello di accoglienza che dovrebbe mettere in discussione quello attuale di gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale, l’atteggiamento di apertura dell’Italia e dell’UE verso le persone ucraine in fuga rappresenta comunque un’opportunità. Oggi, la società civile ha il compito di sfruttare questa finestra di apertura all’accoglienza per influenzare il processo decisionale e chiedere l’annullamento del Memorandum. In quest’ottica, fare advocacy con i migranti e la società civile libica, e creare spazi di dialogo e occasioni di partecipazione ai tavoli di discussione, è fondamentale per animare la coscienza dell’opinione pubblica e mobilitare la società civile italiana”.

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Un rapporto di Oxfam

Dalla firma, il 2 febbraio 2017, del Memorandum oltre 80 mila migranti sono stati riportati nell’inferno dei centri di detenzione dalla cosiddetta Guardia Costiera libica creati dopo gli accordi del 2017, di cui oltre 1.200 minori solo l’anno scorso.  In questi cinque anni, più di 8 mila persone hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale; 1.500 – di cui 43 bambini – nel 2021.

È il triste bilancio che Oxfam denuncia a cinque anni dalla firma dell’accordo Italia-Libia. «Un patto costato ai contribuenti italiani – aggiunge la Ong -, solamente per le missioni militari ad esso collegate, ben 962 milioni di euro (di cui 207,4 nel 2021), ma che non è servito a fermare le morti in mare. Anzi ha impedito alle associazioni umanitarie di prestare soccorso, mettendo ancora più a rischio la vita dei migranti».

«Il nostro Paese continua a rendersi complice, finanziando la Guardia Costiera o altre autorità libiche palesemente conniventi con i trafficanti di esseri umani. – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia.  Su 32 mila migranti riportati indietro dalla Guardia Costiera libica solo l’anno scorso, al momento si ha notizia di 12 mila persone che si trovano in 27 centri di detenzione ufficiali, mentre degli altri 20 mila  si sono perse le tracce».

In Libia si assiste a una macroscopica e perdurante violazione dei diritti umani, che come denunciato dalle Nazioni Unite, non avviene solo ad opera di gruppi armati o trafficanti libici e internazionali, ma con la complicità di funzionari della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (DCIM) del Ministero dell’Interno libico. Episodi di gravissime violenze e di stupri sono stati recentemente documentati nella struttura carceraria di Mitiga, così come in altri centri di detenzione ufficiali gestiti a Zawiyah, Tripoli e dintorni.

Quel digiuno da sostenere

Un digiuno contro ”il rinnovo del Memorandum Italia-Libia, che il Parlamento è convocato a rinnovare il 2 novembre”. E’ la protesta lanciata da padre Alex Zanotelli in un sit-in organizzato a Piazza SS. Apostoli, a Roma. L’appello del missionario è rivolto ai parlamentari: “Un accordo criminale colpevole di così tanti morti in Libia e nel Mediterraneo. Ci appelliamo alla coscienza di voi politici affinché ripudiate questo accordo per non macchiarvi del sangue di così tanti innocenti e impoveriti”. 

”Protestiamo con forza perché ci è stato di nuovo negato il permesso di collocarci davanti al Parlamento italiano per sottolineare la dimensione politica di quanti, quel giorno, digiunano nelle loro case  o nei monasteri, o nelle piazze di varie città”, dice Zanotelli.       

Attraverso la sua protesta, il missionario comboniano vuole riportare alla memoria il terribile e vergognoso naufragio del 3 ottobre 2013, quando ben 368 profughi persero la vita davanti alle coste di Lampedusa. “Quel giorno l’Europa ha perso definitivamente la sua innocenza. Oggi il Mediterraneo è diventato il cimitero di oltre 50.000 profughi. È il naufragio dell’Europa dei diritti”. 

Il movimento pacifista esige coerenza e non accetta “cappelli” partitici. E coerenza la si chiede ai parlamentari che pacifisti devono essere nei fatti. E non facendo bella mostra di sé in una manifestazione.

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