Lo Yemen e il silenzio del "civile" Occidente: storia di un'apocalisse umanitaria
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Lo Yemen e il silenzio del "civile" Occidente: storia di un'apocalisse umanitaria

La guerra in Yemen, in oltre 7 anni e mezzo ha causato centinaia di migliaia di vittime, di cui oltre 14.500 civili solo dal 2017 e più di 4 milioni di sfollati.

Lo Yemen e il silenzio del "civile" Occidente: storia di un'apocalisse umanitaria
La guerra in Yemen.
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4 Ottobre 2022 - 12.41


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Tragedia umanitaria. Guerra civile. Definizioni che hanno accompagnato il conflitto in Yemen dal suo inizio, febbraio 2015, a oggi. Definizioni al ribasso. In qualche modo fuorvianti. Perché quella che si sta consumando, nel silenzio complice della comunità internazionale e di una stampa mainstream (la lobby delle armi pesa, e tanto, nell’orientare l’informazione), è una guerra per procura che ha provocato un’apocalisse umanitaria. Come in Siria e, se possibile, peggio della Siria. 

La denuncia di Oxfam

La fragile tregua in vigore da 6 mesi in Yemen tra le parti in conflitto, scaduta domenica 2 ottobre, non è stata rinnovata. Una notizia che toglie ogni speranza alla popolazione di poter arrivare ad una pace duratura e poter così iniziare a ricostruire il Paese.  Lo stesso lavoro delle organizzazioni umanitarie, essenziali per la vita di milioni di yemeniti, è compromesso.

È l’allarme diffuso da Oxfam, di fronte al forte rischio di ripresa di un conflitto che in oltre 7 anni e mezzo di guerra ha causato centinaia di migliaia di vittime, di cui oltre 14.500 civili solo dal 2017 e più di 4 milioni di sfollati.

“Il popolo yemenita è di nuovo sull’orlo della catastrofe, in questo periodo già messo in ginocchio dall’enorme aumento dei prezzi del cibo nel contesto della crisi alimentare globale. Con 19 milioni di persone che stanno rimanendo senza cibo e 7,5 milioni che potrebbero ritrovarsi in una condizione di carestia nei prossimi mesi. – rimarca Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia – La vita di milioni di persone sarà di nuovo messa a rischio con la ripresa degli attacchi aerei, dei bombardamenti e degli attacchi missilistici da terra. Gli ultimi sei mesi avevano ridato speranza alla popolazione. Il numero di vittime si era ridotto del 60%, erano calati gli episodi di violenza e milioni di persone potevano essere raggiunte molto più facilmente dagli aiuti internazionali da cui dipende la sopravvivenza dell’80% della popolazione. In questo contesto lanciamo quindi un appello urgente alle parti in conflitto perché si riapra il dialogo il prima possibile. Senza il rinnovo della tregua, una delle peggiori crisi al mondo si trasformerà presto in una vera e propria catastrofe”.

La risposta di Oxfam in Yemen

Oxfam sta aiutando la popolazione per metterla in condizione di poter contare su un reddito, cibo, acqua pulita, servizi igienico-sanitari e energia a basso costo attraverso l’uso di panelli solari, sia in casa che al servizio delle comunità. Dal 2021 ha soccorso oltre 23 mila famiglie.

Guerra per procura: gli attori regionali

Di grandissimo interesse è il quadro tratteggiato, in ogni dettaglio, da Eleonora Ardemagni per l’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale)

“Dopo il 2015 il crescente ruolo degli attori regionali ha trasformato il conflitto, aggiungendo un ulteriore livello di scontro. Dunque, per risolvere la guerra è necessario anche il coinvolgimento delle potenze mediorientali, ma non basta: i gruppi yemeniti hanno agende politiche interne e, in diversi casi, rimangono assai autonomi dagli sponsor esterni, come nel caso degli houthi. 

Arabia Saudita: Riyadh credeva, nel 2015, che l’intervento militare in Yemen sarebbe stato una “guerra lampo”. Invece, i sauditi non sono riusciti a ottenere una vittoria militare, nonostante la superiorità strategica rispetto agli houthi. In più, dopo il 2015 gli houthi hanno rafforzato i legami politico-militari con l’Iran e avviato una snervante campagna asimmetrica, con missili e droni, contro il territorio saudita: la sicurezza nazionale del regno è oggi più a rischio che nel 2015. Riyadh sta cercando una via d’uscita politica dal conflitto, ma l’estrema debolezza del governo riconosciuto offre prospettive cupe. Nel novembre 2021 i militari sauditi si sono ritirati da alcune postazioni strategiche nel sud (base di Burayqah ad Aden; l’aeroporto di Ataq in Shabwa; ritiro dalle basi in al-Mahra e ridispiegamento ad al-Ghayda). Fintanto che gli houthi saranno una minaccia per il confine saudita e le regioni meridionali del regno (Jizan, Asir, Najran), i sauditi saranno obbligati a mantenere una presenza militare in Yemen, anche al di là dell’eventuale cessazione dei bombardamenti.

Iran: grazie all’alleanza con Ansar Allah (gli houthi), Teheran è riuscita a guadagnare un significativo spazio strategico in Yemen (accesso al Mar Rosso tramite la presenza houthi nel porto di Hodeida), con ridotti investimenti finanziari e militari. Gli iraniani non sono in grado di condizionare le scelte politiche di Ansar Allah, che rimane l’anello più esterno della galassia delle milizie transnazionali sciite pro-Iran. La differenza dottrinale fra houthi (sciiti zaiditi) e iraniani (sciiti duodecimani), nonché la differenza fra agenda locale (houthi) e agenda transnazionale volta all’esportazione della rivoluzione islamica (Iran), vanno tenute in considerazione. Tuttavia, entrambi gli attori sono stati fin qui abili nell’utilizzare l’alleanza come strumento di rafforzamento e legittimazione reciproca, in chiave anti-saudita. Al momento, gli iraniani possono contare su un alleato stabile nello Yemen nordoccidentale.

Emirati Arabi Uniti: Abu Dhabi è riuscita a costruire uno spazio di influenza geostrategica lungo le coste meridionali e le isole dello Yemen, partendo da zero e riducendo il potere dei sauditi nell’area. Ciò è stato possibile grazie all’impegno militare, soprattutto di terra, delle forze armate emiratine, nonché all’organizzazione e addestramento di milizie yemenite (soprattutto nel sud e nell’ovest costiero) dalle simpatie secessioniste. La fitta rete di alleanze locali forgiata dagli Eau ha permesso al paese di ritirarsi ufficialmente dallo Yemen nel 2019 (quando i costi, anche d’immagine, della presenza emiratinaerano diventati più alti dei benefici), pur mantenendo intatta la propria influenza nel paese, specie nelle aree portuali e costiere.

Oman: Muscat continua a giocare il ruolo del mediatore informale nella crisi yemenita, come nell’intero scenario mediorientale. In più occasioni, il sultanato ha ospitato colloqui riservati fra sauditi, statunitensi, Nazioni Unite e houthi. Nel 2021 la diplomazia dell’Oman si è fatta però inusualmente più visibile: una delegazione capeggiata dal ministro degli Esteri ha persino visitato Sana’a e i vertici di Ansar Allah. L’attivismo del sultanato si spiega, oltreché con il nuovo corso del sultano Haitham bin Tariq al-Said (succeduto a Qaboos nel 2020), con la necessità di contenere l’espansionismo emiratino e saudita nel governatorato yemenita di al-Mahra, proprio al confine (permeabile) con l’Oman. Infatti, Mahra e il Dhofar omanita ospitano tribù legate per lignaggio, dialetto ed economia informale; un’area della quale gli omaniti sono sempre stati, finora, i registi indiscussi, prima che arrivassero emiratini e sauditi.

Qatar: Doha ha partecipato alla Coalizione a guida saudita, ma ne è stata espulsa nel 2017, quando Riyadh ruppe le relazioni diplomatiche con l’emirato. In Yemen l’influenza dei qatarini è meno spiccata che in altri paesi. Tuttavia, il Qatar ha rapporti con entrambe le parti in conflitto. Doha mediò la tregua fra governo e insorti houthi nel 2010 mantenendo, da allora, un canale di comunicazione con Ansar Allah; inoltre, l’emirato sostiene il partito Islah, specialmente la componente, anche tribale, legata alla Fratellanza musulmana.

Turchia: dal 2020 le voci sul ruolo di Ankara in Yemen si sono intensificate ma non vi sono tuttavia certezze, a parte la penetrazione geostrategica della Turchia nel vicino Corno d’Africa-Golfo di Aden. Il sostegno dei turchi alla Fratellanza musulmana rende verosimili i report sull’appoggio della Turchia al partito Islah, incluso l’invio di combattenti siriani nelle fila delle forze filo-governative. In particolare, la Turchia sarebbe attiva nel governatorato di Shabwa e avrebbe investito nella riattivazione del porto di Qena, sul Mar Arabico, anche per contrastare il predominio emiratino nell’area.

Israele: dal 2020 le autorità israeliane studiano con crescente preoccupazione le mosse degli houthi tra nord dello Yemen e Mar Rosso. Ansar Allah ha sempre manifestato ostilità verso la comunità ebraica yemenita (ormai minuscola), attaccando ebrei, sinagoghe e librerie storiche; “maledizione sugli ebrei” è parte dello slogan che gli houthi sono soliti scandire. Le capacità missilistiche di Ansar Allah (raffinate dagli iraniani) destano inquietudine a Tel Aviv, anche perché gli houthi hanno moltiplicato le minacce verbali contro Israele. Nel 2021 Tel Aviv ha dispiegato Iron Dome (sistema antimissilistico) a protezione della città di Eilat (Golfo di Aqaba); nel gennaio 2022 gli houthihanno sequestrato una nave emiratina (con carico “civile” per gli Eau; “militare” per gli houthi) a largo di Hodeida: Ansar Allah ha affermato che il gesto è un avvertimento per Israele. Nel Mar Rosso le prime esercitazioni navali congiunte fra Eau-Israele-Bahrein e Stati Uniti (novembre 2021) e le tensioni marittime fra Israele e Iran sono il contesto in cui l’antagonismo fra houthi e Israele sta crescendo, con prospettive da non sottovalutare.

Gli attori internazionali

Stati Uniti: l’interesse principale degli statunitensi in Yemen rimane il contrasto alle formazioni jihadiste, Aqap in primis. Come dichiarato dalla National Intelligence Usa nel 2021, il gruppo jihadista dello Yemen è considerato ai primi posti fra le minacce alla sicurezza nazionale americana: lo confermano le campagne di bombardamento con i droni, in corso dal 2002. Dal 2015 Washington ha appoggiato l’intervento della Coalizione saudita contro gli houthi, fornendo appoggio logistico e d’intelligence; nel 2021 il presidente Joe Biden ha nominato un inviato speciale per lo Yemen e ha annunciato la fine del sostegno americano alle operazioni offensive nel paese, a esclusione di quelle contro Aqap. Sebbene gli Stati Uniti abbiano provato a slegare il dossier Yemen dal nodo irrisolto dei rapporti con l’Iran, le due partite rimangono intrecciate e, dunque, diplomaticamente bloccate.

Unione europea: il ruolo dell’UE in Yemen si è finora caratterizzato per l’accento su diplomazia umanitaria e aiuti allo sviluppo. Tra i paesi europei, la diplomazia della Gran Bretagna è la più attiva, anche in virtù degli storici legami con il sud e il ritorno “a est di Suez”, con epicentro il Golfo, nell’era post-Brexit. Danimarca, Germania, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia e Italia partecipano dal 2019 alla missione civile di monitoraggio del cessate il fuoco a Hodeida (United Mission to support the Hodeidah Agreement, Unmha). Data la crescente interdipendenza fra le dinamiche del Mar Rosso-Bab el-Mandeb e quelle del Mar Mediterraneo, lo Yemen può essere considerato il “confine sud” dello spazio d’interesse europeo (come il Sahel lo è, analogamente, per le dinamiche nordafricane e libiche).

Russia: sin dal 2015 Mosca ha mantenuto rapporti con tutti gli attori yemeniti. Infatti, la Russia riconosce la presidenza Hadi e il governo rilocato ad Aden, ma ha contatti con gli houthi. Nell’aprile 2015 i russi si astennero sulla Risoluzione Onu n. 2216 chiedendo che tutte le parti in conflitto, non solo gli insorti sciiti, dichiarassero il cessate il fuoco; inoltre, i russi mantennero l’ambasciata nella Sana’a occupata fino a fine 2017. Mosca ha buone relazioni anche con i secessionisti del Stc (ricevuti nella capitale russa nel febbraio 2021) e con il gruppo di Tareq Saleh, che ha incontrato l’ambasciatore russo in Yemen. Da una prospettiva geopolitica, la Russia ha buoni rapporti con tutti gli attori regionali coinvolti nel paese: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran. E può vantare legami storici con lo Yemen, che ospitò una base militare sovietica (ad Aden) negli anni della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (Pcry). Oggi che il quadrante del Mar Rosso-Corno d’Africa torna centrale anche per la Russia, Mosca può giocare numerose carte diplomatiche e strategiche in (e attraverso) lo Yemen.

Cina: anche Pechino, come Mosca, ha mantenuto una posizione d’equilibrio fra le parti in conflitto, pur reiterando la necessità di preservare la sovranità dello Yemen. Allo stesso modo, i cinesi possono far leva sui rapporti politico-economici con Arabia Saudita, Iran ed Emirati Arabi. Per Pechino, ancor di più che per Mosca, la stabilità dello Yemen è cruciale. Intorno alle coste e ai porti yemeniti (per la gran parte controllati da milizie, non dalle forze regolari), passa la Via della Seta marittima, dunque gli interessi economico-commerciali della Cina fra Oceano Indiano, Mar Rosso e Mediterraneo: non a caso Gibuti, di fronte allo Yemen, ospita la prima base militare cinese all’estero. Da non dimenticare poi che l’ormai scarso petrolio estratto in Yemen ha come prima meta la Cina: nel 2019 l’export petrolifero yemenita è salito del 40% rispetto al 2018 (55.000 barili di greggio esportati al giorno), greggio destinato soprattutto alla Cina (29.000 barili in media al giorno dal 2016, estratti in Hadhramaut e in partenza dal terminal di Ash Shihr)”.

Così l’analista dell’Ispi.

Se un giorno dovesse esserci una “Norimberga yemenita”, tutti i Paesi e istituzioni sovranazionali citati da Ardemagni dovrebbero sedere sui banchi degli imputati. Per rispondere dei crimini contro l’umanità che hanno permesso, finanziato, coperto, armato. E facendo affari (leggi vendita di armi) sulla vita e la morte di un popolo. Il popolo yemenita. 

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