Afghanistan: voci di donne dal buio
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Afghanistan: voci di donne dal buio

I disturbi mentali, la depressione, soprattutto i suicidi , sono in forte aumento tra le donne afghane tornate sotto i talebani

Afghanistan: voci di donne dal buio
Donne in Afghanistan
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11 Agosto 2022 - 18.59


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di Cristiana Cella

E’ il  diritto di vivere che manca. Le donne scomparse dietro i  drappi neri e tra le pieghe del burka, lottano per riprenderselo. 

’Dovevo uscire a comprare  del filo, mi serve per il mio lavoro di sarta. Il primo ordine da molti mesi, devo approfittarne. La stoffa nera mi inghiotte, tutta coperta, un vecchio corvo, solo gli occhi respirano, vedono, li vedono. Avanzano dal fondo della strada, fermano la macchina, scendono , sono tre, armati. Puntano dritto su di me. Gridano , non si sa perché. La mia mente corre veloce, è tutto a posto? Sono in regola? sono coperta come vogliono loro, il cuore accelera… no, i guanti neri non li ho. Ci sono 45 gradi all’ombra. Sudo tanto che li vedo traballare in un immagine acquatica. Sono  sola, per strada. Ecco ho disobbedito. Gridano, mi spingono, sono una schifosa puttana, sì perché sono uscita a comprare del filo, senza un dannato uomo, senza i guanti…mi sento un pupazzo nelle loro mani. Nessuno mi proteggerà, tutti hanno paura. Mi accorgo che sto tremando. Mi malmenano, sempre senza smettere di urlare, mi danno un calcio, cado, se ne vanno garantendomi la loro punizione per la prossima volta. Mi arresteranno e mi frusteranno. Questo il programma. Ma per questa volta è andata bene. Avevano fretta. Mi asciugo il sudore, respiro, mi nascondo, aspettando che la macchina sparisca. Ora, finalmente, posso comprare il mio filo.’ 

Così racconta Amina, piccola, tenace, sarta di 16 anni. 

‘Qui si soffoca. La vita è diventata così pesante che non riesci nemmeno a respirare. Se i Talebani fossero capaci di portar via l’ossigeno da dentro i nostri polmoni, lo farebbero.’Shazia, quattro figlie femmine,  è esasperata. I divieti per le donne sono ovunque, non ci sono leggi, solo ordini, ogni volta diversi. Ogni giorno se ne inventano di nuovi. ‘Così ti tengono sempre sul chi vive, sull’orlo dell’errore, di una punizione possibile’.

I disturbi mentali, la depressione, soprattutto i suicidi , sono in forte aumento tra le donne.

‘Cerco in tutti i modi di essere forte- dice Samia, vedova, con una famiglia da mantenere-  ma la situazione di adesso è molto stressante, siamo sotto pressione, incerte, spaventate. A volte  non riesco nemmeno più a prendermi cura di me stessa in modo appropriato. Devo vendere ‘bolani’ ( focacce di pasta fritta ripiene di verdure) per strada, per poter nutrire la mia famiglia. E’ dura, la gente non ha niente,  non ha nemmeno soldi per mangiarsi un bolani. Ma  il peggio è che ogni giorno sono minacciata dai talebani. Mi gridano in faccia con il fucile puntato  perché non sto a casa come dovrei. Mi ripetono che sono una prostituta, che sotto la copertura dei bolani  cerco clienti. Devo sopportare tutto questo, non mi faccio colpire dalle loro parole e dai loro gesti, non li ascolto. Cambio ogni giorno strada. Ogni giorno cucino di nuovo i bolani che mi hanno rubato.  Se dovessi restare chiusa in casa, come vogliono loro, moriremmo tutti di fame.”

Si fa di tutto per non morire di fame. La maggior parte della gente non ha posto per altri pensieri.  L’inverno scorso ha decimato la popolazione, specialmente i bambini. 

Bambini in vendita. Vendere in sposa una piccola, anche di tre o quattro anni,  può significare la sopravvivenza degli altri figli. Anche i piccoli maschi si vendono. Anche parti del corpo, come i reni, 400 dollari, anche quelli dei bambini, i genitori cercano di convincere i medici riottosi. Anche loro possono vivere con un solo rene, ma nessuno può vivere senza mangiare. 

”Nonostante  i nostri stomaci siano vuoti e i nostri piedi pesanti come il piombo, io in questo orribile momento non voglio vendere i miei figli, come fanno molti.- racconta Laila -Ho imparato a combattere in questi tempi così duri e a sostenerli. Sono riuscita a iscrivere a scuola  i due maggiori e studiano sodo. Questi giorni terribili passeranno, i miei figli diventeranno grandi e io sarò finalmente felice.” Ha coraggio Laila, chissà fino a quando ancora. Chissà dove la speranza ferita perde forza, svanisce, si arrende. Ci deve essere un limite oltre il quale si dice basta.

Noshin era scappata due anni fa dal suo villaggio sotto il controllo talebano. Il capo dei miliziani voleva costringere il padre a dargliela in moglie  per saldare debiti inesistenti. Ma Noshin voleva studiare, essere medico, oculista per l’esattezza, questo era il destino che si era scelto. Scappa a Kabul tutta la famiglia, di notte, per evitare il disastro della sua vita. Ma a Kabul, da agosto, la situazione diventa troppo difficile. Non c’è lavoro, non c’è da mangiare. Tornano a vivere in campagna, dove suo padre può riprendere a fare il contadino, l’unica cosa che sa fare. “Mi sento circondata da un deserto. Niente lavoro, niente scuola, niente cibo. Non posso immaginare se e quando tutto questo potrà finire o se durerà per molti anni. Quello che mi spaventa è che i talebani costringano mio padre a vendermi a loro. Mio padre mi  ha sempre protetto e sostenuto e, per questo, per evitare di ritrovarci nella situazione dalla quale eravamo fuggiti, siamo andati in un villaggio in cui nessuno ci conosce. Ma, con i talebani dappertutto,  la stessa storia, che ho già vissuto,  potrebbe ricominciare. Cerco di stare nascosta il più possibile perché loro cercano ragazze da comprare o da rubare. Piccole schiave dei loro poveri capricci. Non sarò una di loro. Cerco di non esistere.”

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Ragazzi e ragazze non si devono vedere nemmeno da lontano. All’Università di Kabul, tre giorni alla settimana sono per le ragazze e tre per i maschi. Per le bimbe la scuola si ferma al 6° grado.

Anche nei parchi è lo stesso, tre giorni per uno. Nei ristoranti, le famiglie non possono mangiare insieme, le donne devono sedere nella parte destinata a loro, gli uomini dall’altra. Negli uffici amministrativi del Governo, le donne non possono entrare. Le cacciano via, nessuno dei loro problemi viene considerato. Non possono fare nessuna pratica, non le ascoltano.

“ Da quando ci sono i talebani al potere- racconta Sarah, che lavora ancora per una organizzazione umanitaria a fianco delle donne – la violenza contro donne e bambine non ha più limiti ed ha raggiunto il suo picco. Non esiste più nessuna autorità che possa  limitare questa tragedia. I suicidi di donne aumentano ogni mese. Nessuno può dire quanti siano, pochi sono registrati. ’ L’orrore è permesso. Ai talebani non dispiace. Le scuole per le bambine non ci sono più e i padri sono liberi di vendere le proprie figlie, sempre più piccole,  al miglior offerente.

‘Donne e bambine hanno invaso le strade per chiedere l’elemosina, che spesso è l’unica risorsa che rimane.- continua Sarah-  Vediamo code di uomini e donne davanti ai panettieri. Non aspettano di comprare il pane, non possono. Aspettano che qualcuno, più fortunato di loro, glielo regali , per svoltare un altro giorno. Ragazzi e uomini stanno ore fermi nelle piazze, in attesa di qualche caporale che li assuma per un giorno. Quasi sempre sono delusi.”

Dentro le scuole, quelle poche che ci sono, l’aria è pesante. 

Farzana è un’insegnante di Mazar-e-Sharif, nel nord del paese. Una delle poche città dove ancora ci sono scuole aperte per ragazze. Le regole sono strettissime. 

’Insegnanti e studentesse devono portare vestiti neri, guanti neri e coprire tutto il corpo e il viso, lasciando liberi solo gli occhi. Non possono levare il loro hijab nemmeno dentro la classe , tutta femminile. A noi insegnanti hanno consegnato tre libri islamici che dobbiamo imparare a memoria. Quando la squadra talebana arriva a controllare, se non rispondiamo correttamente alle domande perdiamo il posto di lavoro. Quando qualche studente ha avuto un buon risultato è severamente vietato applaudire. Dobbiamo solo gridare la parola: ‘Mashallah!’. Le loro spie sono dovunque, tra gli studenti e tra gli insegnanti. Soprattutto donne. Se qualcuno non segue alla lettera le loro regole vanno subito a denunciarli ai talebani. Due volte a settimana il team di controllo talebano visita la scuola e sono sempre pronti a trovare qualche cavillo cervellotico che permetta di chiudere  le porte alle ragazze.’

Nelle Università la vita è triste. Le giovani donne possono ancora andarci ma sono consapevoli di essere le ultime. Le aule del futuro saranno vuote. Mancano le scuole superiori. La catena del sapere si è interrotta.  Molte ragazze hanno perso la speranza, molte se ne sono andate. Quelle che resistono lo fanno per cercare di evitare un matrimonio forzato. 

Ogni donna in Afghanistan rischia, ogni giorno, nelle piccole cose della vita quotidiana. Quelle normalmente rassicuranti che si sono trasformate in trappole.

 Ma c’è chi rischia di più. Sono le attiviste che si sono esposte per combattere per i diritti delle donne, che hanno organizzato, negli scorsi 20 anni,  Centri legali, Case Protette, progetti di istruzione, presidi medici. Loro, che sono state un punto di riferimento per le donne della loro città e del loro paese, in pericolo anche prima dell’arrivo dei talebani a Kabul, oggi  camminano  su un filo sottile. Con le loro organizzazioni, sono rimaste a sostenere le donne in questi tempi del diavolo. Procedono sulla loro strada con fatica, con fantasia, con coraggio.  Inventano progetti, vie traverse, nuovi sistemi per aggirare i divieti talebani e continuare ad aiutare le donne. Ma la loro vita è diventata fragile.

‘Ormai è quasi un anno e la mia vita è stata completamente stravolta. – dice Zinab, assistente sociale e attivista- I problemi di sicurezza sono sempre al primo posto, ti ossessionano, ti lasciano addosso un disagio sottile, perfido. Tutti conoscono la mia attività passata. Abbiamo cambiato casa tre volte negli ultimi mesi, ogni volta in un diverso quartiere, in settori di Kabul lontani uno dall’altro, per  cancellare le tracce. Abbiamo perso i contatti con i nostri amici e parenti, con quelle persone che frequentavano spesso la nostra casa. Siamo un pericolo anche per loro. E soprattutto per i nostri figli. I miei figli maggiori, un ragazzo e una ragazza, studiavano all’Università. Non possono più farlo perché i loro compagni e i loro professori sanno bene chi siamo. Sanno che io mi occupavo di diritti delle donne, che avevamo case protette, che mio marito è laico e anti-talebano. La mia figlia più piccola a scuola non può più andarci. Non c’è spazio né luce per guardare il futuro, non ci sono strade. E’ così per tutti i nostri ragazzi. Ma nessuna di noi è disposta a cedere.’

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Zinab si  muove sempre con il burka, cambia ogni giorno l’ora in cui va in ufficio e torna la sera. Ha sempre paura di essere seguita, identificata, arrestata. Paura che trovino la sua casa, che minaccino la  sua famiglia a causa del suo lavoro per i  diritti delle donne.

‘Anche quando siamo in ufficio dobbiamo stare all’erta. Se dovessero arrivare i talebani, dobbiamo essere pronte a metterci l’hijab e a separarci dai nostri collaboratori maschi.’

Nonostante tutto, l’ufficio è diventato una scuola segreta, per le ragazze  dalla 7° classe in poi. C’è il corso di cucito a fare da paravento se dovessero arrivare i talebani. Ma la paura c’è, per le ragazze e per loro. Sono coraggiose, le allieve, forti, entusiaste. Non vogliono sentir parlare di talebani lì dentro, vogliono imparare tutto quello che possono, in fretta, il  cammino resta sospeso. La voglia di sorridere ritorna . In un mondo senza risate anche questo è rivoluzionario. Come lo sono i colori, banditi dai talebani. Le piccole valorose proteste variopinte combattono contro il nero. Alcune ragazze coraggiose escono senza hijab, portano foulards colorati, vestiti fiorati. Sfidano, rischiano. Ritrovano se stesse.  Alle conseguenze non vogliono pensare. Finché ce la fanno. 

Le giovani donne che protestavano per le strade nei mesi scorsi sono in silenzio. Le minacce, gli arresti, le torture hanno spento le voci. La tattica talebana è quella di non  aggredirle subito, durante la manifestazione, con gli occhi dei social addosso che  potrebbero riprenderli e mostrare al mondo la loro  faccia repressiva. Fotografano, pedinano, tracciano percorsi, arrestano. Dopo, quando nessuno vede, si regolano i conti.

Lena, un mese fa, ha partecipato a una protesta, per i diritti, per far parte del Governo, perché le venga restituito il suo lavoro. Le parole d’ordine sono sempre le stesse, semplici, essenziali: cibo, lavoro e libertà.

‘ Ce l’hanno messa tutta per disperderci. Ci hanno inseguito una per una con  i fuoristrada cercando di investirci. Per fortuna siamo riuscite tutte a scappare. Per ora dobbiamo fermarci.’ 

Le donne che circolano per le strade ormai sono poche e tutte coperte. Molte ragazze che hanno protestato, molti  giornalisti, sono spariti. Nessuno sa dove siano e se siano vivi. 

Ora i talebani , per punire le trasgressioni delle donne colpiscono e incriminano i parenti maschi. La punizione e il divieto sono   trasferiti direttamente dentro la famiglia. Anche se le donne non rispettano le regole dell’abbigliamento sono loro a pagare. Così sono i mariti, i padri, i cognati a chiudere a chiave  la porta. E la violenza familiare  aumenta.

Gli attentati continuano come prima, ovunque e in qualsiasi momento. La roulette russa di Kabul, da molti anni.  In genere colpiscono i civili, specialmente nella capitale. “ La tragedia- dice Manija di Rawa,  l’Organizzazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane- è che gli ospedali non funzionano, i medici sono fuggiti, il sistema è collassato, per cui le vittime restano senza cure, non ci sono equipaggiamenti sanitari. Funziona solo  l’ospedale di Emergency. Le uccisioni degli ex collaboratori del precedente governo, civili e militari, non si sono fermate.’ 

Altre volte gli attacchi colpiscono direttamente le macchine e i mezzi militari dei talebani. I nemici , anche per loro , non mancano. Le ostilità interne tra la Rete Haqqani e il gruppo di Kandahar, gli attacchi dell’Is- Khorasan che contende il terreno e gli uomini dell’Alleanza del Nord che rivogliono il potere perduto. Ma per la maggior parte sono regolamenti di conti interni.

 Nessun riflesso sulla stampa di questi ‘incidenti’. 

‘Qualche giorno fa- dice Hamed-  è scoppiato un ordigno magnetico attaccato a una macchina dei talebani, molti di loro sono stati uccisi. Questo succedeva accanto a casa mia, ho potuto vedere da vicino, ma le notizie in tv non ne parlavano affatto. Su questi attentati i talebani impongono una censura totale. E’ più facile, adesso, anche perché i social media, che sfuggivano al loro controllo,  sono meno usati. Non ci sono soldi per la connessione, pochi se la possono permettere.’ 

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I media  restano nel mirino dei talebani. Oggi la verità è troppo rischiosa. Tutti hanno paura di parlare. Un mondo di silenzio, di sospetto, di paura. E’ questo l’Afghanistan di adesso. Gli attivisti, i giornalisti, anche chi scrive un solo post sui social, vengono arrestati e spariscono.

‘In quest’anno non c’è stato nessun cambiamento tra i talebani. Non mi aspetto che questo governo collassi.- dice Nelab, militante di Rawa,-  Probabilmente stanno pensando, su pressione degli americani, di includere nel Governo attuale rappresentanti di quello passato. Era uno degli argomenti della Loja Girga del mese scorso. Un modo per arrivare al riconoscimento internazionale  di questo governo, includendo i war lords di prima con tutto il loro carico di delitti e denaro.  Un modo per ridare credibilità ai talebani , caldeggiato dagli Usa. Un altro passo verso un disastro ancora più irreversibile per il popolo afghano.’

Le militanti di Rawa, che non hanno abbandonato il paese,  hanno un vantaggio. Sono clandestine da 40 anni.’ Noi non siamo figure pubbliche, non siamo registrate, non conoscono la nostra faccia né la nostra vera identità e in qualche modo è più facile per noi.’  Possono muoversi più liberamente per costruire i loro progetti, seguendo i percorsi di sempre, dai tempi del primo governo talebano. Ma si muovono in un mondo irto di ostacoli. 

‘Sono tempi molto pesanti, forse più di quello che ci si aspettava. Non solo per la nostra sicurezza e sopravvivenza, ma anche perché è molto difficile coinvolgere le persone, trovare alleati. C’è un tempo per la rivoluzione in cui la gente è chiamata ad agire, a ribellarsi e un tempo in cui le cose sono così difficili che predomina la delusione, l’abbandono, la disperazione e non si vuole più continuare la lotta. Penso che questo momento sia arrivato anche nella nostra storia. Riuscire a vivere, in qualunque modo, è già un successo. Un’attività che esaurisce.’

Le militanti di Rawa non sono donne che si scoraggiano. 

‘Le scuole segrete per ragazze si moltiplicano, in molte province, Farah, Mazar, Jalalabad, Kabul. Le ragazze sono entusiaste. : inglese, scienze, matematica, informatica, materie vietate alle donne. Insegniamo soprattutto questo.’ 

Le ragazze rischiano molto in famiglia, potrebbero essere duramente picchiate se i familiari sapessero. Sania, è una di loro:’ Mio fratello è talebano e se sapesse che frequento la scuola segreta mi picchierebbe a morte. Ci obbliga ad andare alla madrasa la mattina ma il pomeriggio scappo a ritrovare la mia vita. Invento sempre nuove scuse, parto presto e faccio giri assurdi per non insospettire nessuno.‘ Sania ha trovato un posto sicuro per nascondere i suoi libri: la cucina, dove gli uomini non si avventurano mai.  Pentole e fornelli  proteggono il suo coraggio.

Le giovani donne si organizzano anche da sole. Chi sa, mette la sua preziosa istruzione a disposizione di altre donne, nel quartiere, con le vicine,  con le amiche, con le figlie, con le nonne. Un percorso di sapere condiviso, di resistenza, trasversale e difficile da fermare. Le ragazze lo sanno.

Manca il sapere ma manca soprattutto il cibo. Fin dai primi tempi dopo la presa del potere da parte dei talebani, Rawa si è data da fare per sostenere la popolazione. ‘Distribuiamo cibo alle famiglie,- dice Nelab- un progetto indispensabile ma senza futuro perché le cose non potranno che peggiorare. Anche qui dobbiamo sfuggire al controllo talebano. Se ci vedono ci portano via tutto.’ 

Continuano i progetti dei piccoli gruppi di donne che coltivano zafferano e i villaggi tra le montagne in cui ci sono scuole e presidi medici. Piccole oasi di libertà, insidiate dai talebani. L’unità mobile sanitaria di Rawa, ben attrezzata,  percorre le strade di tutto il paese, si avventura nei luoghi più sperduti. I medici sono soprattutto donne. 

‘Quando c’è stato il terremoto, abbiamo mandato laggiù un team medico di donne. La situazione era catastrofica, morti ovunque, macerie e feriti senza assistenza. I talebani ci hanno fermato perché eravamo donne e ci volevano impedire di lavorare. Sono state proprio le donne, per le quali non è prevista nessuna assistenza, e gli anziani dei villaggi a protestare e richiedere il nostro aiuto. Alla fine hanno vinto loro. E’ stato un lavoro massacrante ma ce l’abbiamo fatta. Per molte di queste donne era il primo incontro della loro vita con un medico.’

Intanto, mentre un paese intero sprofonda insieme alle sue donne, mentre viene annientato il suo futuro, gli occhi dell’Occidente  guardano altrove. Non c’è scandalo, né reazione, né clamore della comunità internazionale. Nessuno vuole sapere. Il governo talebano sembra un fatto compiuto, accettato. Forse si pensa a riconoscerlo come legittimo. Il disastro che chiuderebbe definitivamente la prigione afghana.

Distrazione, silenzio, indifferenza, oppure, semplicemente, complicità.

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