Israele, la caduta del Governo: la vendetta di Netanyahu
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Israele, la caduta del Governo: la vendetta di Netanyahu

. Dopo poco più di un anno al potere, il composito governo anti Netanyahu di Naftali Bennett e Yair Lapid ha deciso di gettare la spugna, prima di farsi definitivamente sfiancare dallo stillicidio di abbandoni da parte di deputati della stessa maggioranza

Israele, la caduta del Governo: la vendetta di Netanyahu
Benjamin Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Giugno 2022 - 16.55


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Il “cambiamento” non è più al governo in Israele. Dopo poco più di un anno al potere, il composito governo anti Netanyahu di Naftali Bennett e Yair Lapid ha deciso di gettare la spugna, prima di farsi definitivamente sfiancare dallo stillicidio di abbandoni da parte di deputati della stessa maggioranza. Era da settimane  infatti che la fragile maggioranza di governo (che comprende partiti di destra, centro, sinistra e anche il partito arabo Raam) era messa in crisi da frequenti abbandoni da parte di parlamentari. La settimana scorsa, ad esempio, ad andarsene è stato il deputato conservatore Nir Orbach, del partito di Bennett, in polemica contro il mancato rinnovo della legge che regola gli insediamenti israeliani nella West Bank. Dopo l’ultimo forfait – anch’esso di una deputata di Yamina, Idit Silman – l’alleanza era arrivata a contare solo sessanta seggi, equivalenti a quelli dell’opposizione. Le nuove elezioni – dati i tempi imposti dalla legge e le festività ebraiche, che partono a fine settembre – dovrebbero tenersi alla fine di ottobre: sarà la quinta volta che gli israeliani verranno chiamati al voto in meno di quattro anni. “Abbiamo riportato alla ribalta l’onestà e dimostrato che è possibile mettere da parte i dissensi per un obiettivo comune. Non ho mai accettato che considerazioni di partito avessero il sopravvento su quelle nazionali”, ha detto il premier dimissionario. 

Negli ultimi sondaggi di opinione i partiti che orbitano attorno al Likud – fra cui i nazional-religiosi e gli ortodossi – raccolgono circa sessanta seggi sui 120 della Knesset. La loro sensazione è che sia adesso a portata di mano la costituzione di un governo omogeneo di destra. “Questo governo fallimentare è arrivato al capolinea ed è una grande notizia per milioni di cittadini israeliani”, esulta infatti Netanyahu, promettendo che insieme agli alleati formerà “un governo allargato guidato dal Likud che ridurrà le tasse, condurrà Israele verso successi enormi, inclusa l’estensione dell’area della pace. Un governo che restituirà l’orgoglio nazionale“, promette. Una promessa che sa di minaccia.

Annota in proposito su Haaretz Amos Harel, tra i più autorevoli analisti politici israeliani. “Il briefing a cui il Primo Ministro Naftali Bennett ha convocato i giornalisti politici lunedì si è rivelato una riunione di riepilogo e di addio. La prossima settimana Yair Lapid sarà il primo ministro del governo di transizione e Bennett sarà il premier supplente e “titolare del portafoglio Iran”, qualunque cosa significhi. Bennett completerà un anno e quasi due settimane di mandato, più di quanto previsto dall’opposizione, ma ovviamente molto meno di quanto sperasse.

Lo scioglimento della Knesset è una cattiva notizia, per una lunga serie di motivi. Il più importante è che ci si aspetta che una vittoria di Benjamin Netanyahu porti con sé un rinnovo della sua jihad contro il sistema giudiziario, e di fatto contro l’intero sistema democratico dello Stato. Se dovesse nascere un governo di stretta destra, con Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir come ministri anziani, Israele potrebbe presto essere trascinato in pericoli strategici, che lo porranno in rotta di collisione con l’amministrazione Biden e forse con la maggior parte della comunità internazionale.

Un’altra tornata elettorale, la quinta in due anni e mezzo, causerà ancora una volta un’immensa agitazione nei sistemi di governo israeliani. È difficile non provare compassione per i professionisti dei ministeri, che ancora una volta dovranno destreggiarsi in un mondo di piani e bilanci a breve termine, con un’attenzione minima da parte della leadership politica.

Tuttavia, bisogna tenere conto di un’altra possibilità, per quanto al momento sembrino scarse: Netanyahu può ancora chiedere un voto di sfiducia al governo, solo dopo il quale la Knesset si scioglierebbe. Se riuscirà a ottenere i voti, sarà Netanyahu a guidare il governo di transizione – e questa è tutta un’altra opera. C’è un’altra triste notizia: Il governo uscente è stato costituito attorno al coraggioso tentativo di unire i partiti di destra, centro e sinistra per rimuovere Netanyahu come primo ministro e fermare la paralisi politica che la sua situazione giuridica ha imposto all’intero sistema. Ma non meno importante è stato l’esperimento di portare un partito arabo, la Lista Araba Unita, nella coalizione di governo. Se anche questo esperimento venisse considerato un fallimento, il pessimismo potrebbe incombere sulla futura cooperazione ebraico-araba e sull’integrazione degli arabi nella leadership. A lungo termine, ciò è pericoloso anche per le relazioni tra le nazioni che vivono all’interno della Linea Verde…”.

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Cosi Harel.

Le domande cruciali. Gli interrogativi da sciogliere.

A scriverne, sempre sul quotidiano progressista di Tel Aviv, è Jonathan Lis.

“A 379 giorni dalla sua nascita, il cosiddetto “governo del cambiamento” è giunto al termine, dopo che il Primo Ministro Naftali Bennett e il Ministro degli Esteri Yair Lapid hanno annunciato di voler sciogliere la loro neonata coalizione di governo.

Mentre Israele si prepara a recarsi alle urne per la quinta volta in quasi tre anni, diversi interrogativi incombono sul panorama politico del Paese in rapida evoluzione.

C’è un modo per evitare le elezioni?

Non è certo che Bennett o Lapid vogliano, possano o vogliano rimangiarsi il loro drammatico annuncio di lunedì sullo scioglimento della Knesset e sull’attuazione della rotazione del primo ministro tra di loro. Entrambi sono consapevoli che, anche se dovesse sopravvivere, il governo sarà un’anatra zoppa fino alla prossima crisi – entro poche settimane – che in ogni caso porterà alla sua caduta. I loro discorsi di lunedi  sera hanno dimostrato che questa decisione è definitiva. Almeno sulla carta, esistono diverse possibilità che potrebbero ribaltare la situazione, stabilizzare la coalizione di governo ed evitare le elezioni: Le dimissioni di alcuni deputati ribelli o la loro permanenza nella coalizione per timore del proprio futuro politico, la formazione di un governo alternativo guidato da Netanyahu o da un altro candidato che non sia né Lapid né Bennett nell’attuale Knesset – anziché le elezioni – o un accordo politico che tenga i deputati dell’opposizione fuori dalla Knesset durante specifiche votazioni critiche sulla legge di scioglimento della Knesset, in modo che la legge venga bocciata e congelata per metà anno.

Cosa succederà a Bennett?

Bennett si ricandiderà alle prossime elezioni? Lascerà la politica? Dalla sua nomina a primo ministro, Bennett non è riuscito a far leva sul suo nuovo status nei sondaggi. Yamina, un partito con una chiara linea ideologica di destra, si sta disintegrando nella Knesset, è logorato nell’opinione pubblica e a questo punto non è quasi più considerato un vantaggio elettorale. Le possibilità di Bennett di tornare come primo ministro dopo le elezioni non sono buone e non è chiaro se vorrà investire le energie necessarie a candidarsi per servire come ministro o MK sui banchi dell’opposizione. Se Bennett decidesse di candidarsi, potrebbe decidere di mettere insieme una nuova lista di centro-destra, in collaborazione con Nuova Speranza o Yisrael Beiteinu.

Bennett e Lapid continueranno la loro collaborazione?

Nel corso dell’ultimo anno, Bennett e Lapid hanno dato prova di una rara alleanza tra i leader dei due schieramenti politici. Tra i due si è creata una profonda amicizia. Bennett ha sempre chiarito che avrebbe mantenuto la sua promessa di rotazione con Lapid, e ieri sera ha consegnato a Lapid la premiership su un piatto d’argento. La loro amicizia sarà sicuramente messa alla prova quando decideranno quale percorso politico intraprendere. Una delle voci che si sono sentite nelle ultime settimane, mentre Yamina cominciava a crollare, è che Bennett si unirà alla lista di Lapid per la Knesset.

Ammesso che Bennett decida di candidarsi e non si ritiri, l’ipotesi più probabile è che si candidi a capo di un nuovo partito di destra, insieme ad altri partiti come Nuova Speranza o Yisrael Beiteinu. Un passo del genere potrebbe servire all’asse creato da Bennett e Lapid nell’ultimo anno: Un partito Bennett-Sa’ar-Lieberman potrebbe sottrarre voti preziosi al Likud o al Sionismo religioso e aumentare le possibilità del campo “chiunque ma non Bibi”, compreso Lapid, di formare il governo il giorno dopo le elezioni.

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Anche la campagna elettorale di Bennett e Lapid per le prossime elezioni sarà interessante: I due possono essere rivali politici, ma hanno accumulato successi comuni. Sicuramente parleranno in modo elogiativo del governo polarizzato che hanno costituito, ed entrambi potrebbero dichiarare l’intenzione di formare nuovamente un governo di questo tipo in futuro.

Cosa succederà ad Ayelet Shaked?

L’annuncio congiunto di Bennett e Lapid sulla convocazione di elezioni anticipate ha scosso il futuro politico di Ayelet Shaked. Shaked, alleata di lunga data di Bennett e membro del partito, non è stata timida nell’esprimere le sue riserve morali sull’attuale coalizione di governo. Da un lato, ha flirtato con la possibilità di candidarsi alle prossime elezioni in un altro partito. Ma dall’altro lato, nelle ultime settimane ha lavorato per rafforzare Yamina ed evitare ulteriori infiltrazioni nell’opposizione. Il suo status politico di persona che, solo pochi anni fa, era considerata un possibile candidato alla premiership, si è eroso a destra durante questo mandato. I deputati hanno detto che sarebbe felice di far parte della lista del Likud, ma Shaked è un fattore scatenante per Netanyahu e i membri anziani del Likud stanno facendo pressione su di lui per non garantirle un posto nella lista.

Labor e Meretz correranno insieme?

Nelle ultime settimane, proprio come durante l’ultima campagna elettorale, gli attivisti politici dei partiti di sinistra hanno iniziato a discutere sul modo migliore di candidarsi: Gli alti dirigenti di Meretz stanno valutando la possibilità di correre con i laburisti in una lista unica, come hanno fatto sotto Amir Peretz.

Meretz ha subito un duro colpo nelle ultime settimane a causa della legislatrice Ghaida Rinawie Zoabi, considerata il catalizzatore dell’atmosfera che ha travolto la coalizione nelle ultime settimane. Allo stesso tempo, i membri del Labour hanno parlato dell’opzione di correre insieme a Kahol Lavan (guidato da Benny Gantz), meglio conosciuto per la sua linea di sinistra-rabinista. Gli ultimi sondaggi prevedono che se il partito laburista correrà da solo, otterrà un numero di seggi simile a quello attuale (sette seggi). In questo senso, la presidentessa del partito Merav Michaeli è certamente riuscita a infondere nuova vita a un partito che era visto come una reliquia di ciò che era un tempo, anche dai suoi stessi elettori.

Che effetto avrà lo spostamento delle elezioni sui partiti arabi?

La prossima campagna elettorale sarà un importante banco di prova per la fiducia del pubblico arabo nella sua leadership alla Knesset. La decisione della Lista Araba Unita, guidata da Mansour Abbas, di far parte del governo e di promuovere i propri obiettivi dall’interno del ramo esecutivo è stata una mossa storica, in contrasto con la tradizionale linea di opposizione guidata dai membri della Lista Comune. Nonostante i suoi sforzi, i recenti sondaggi indicano che il partito di Abbas non otterrà un sostegno significativo, e i sondaggi mostrano che potrebbe non superare la soglia elettorale.

La questione chiave della prossima campagna elettorale sarà l’affluenza alle urne della comunità araba. All’apice della sua forza, la Lista Comune contava 15 deputati.

La mancanza di entusiasmo, che si riflette chiaramente nei sondaggi, mostra il bisogno disperato dei partiti di sinistra di rianimare i propri elettori per rimanere rilevanti e impedire al blocco di destra di raggiungere la maggioranza alla Knesset. Il disperato bisogno di voti potrebbe portare a una rottura prima delle elezioni e costringere i partiti a correre insieme sotto due liste separate, con la speranza che, alla fine, qualcuno ottenga abbastanza voti per costruire un governo stabile”.

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Così Lis.

Del “governo del cambiamento” faceva parte la leader del Labor, Mirav Michaeli, anch’ella ministra nell’esecutivo guidato da Naftali Bennett: “Non vi è dubbio che in questi anni, e ancor più con la crisi pandemica, quella che è emersa in tutta la sua drammatica incidenza nella vita di milioni di israeliani, è una irrisolta ‘questione sociale’ – annotava Michaeli in una nostra conversazione di qualche mese fa  –  La crisi pandemica ha messo in ginocchio centinaia di aziende, portato decine di migliaia di famiglie sotto la soglia di povertà. E’ il grande tema delle disuguaglianze sociali, all’ordine del giorno a livello globale, e non solo in Israele. A questo malessere siamo chiamati a dare risposte concrete, praticabili. Oggi, non in un futuro che tanti israeliani è fatto solo di ombre e di una incertezza sempre più opprimente, insopportabile. La risposta che la destra israeliana ha dato non si discosta da quella di quell’universo sovranista di cui Trump, non a caso un modello per Netanyahu, è stato il faro, per fortuna spento il 3 novembre. Molti si dimenticano che in Israele si è votato l’anno scorso anche per rinnovare le amministrazioni locali delle più importanti città. Ebbene, in diverse di esse, come Tel Aviv e Haifa, solo per citarne alcune, a vincere sono stati candidati progressisti, uomini e donne che quel malessere sociale lo hanno affrontato e, per quanto possibile, portato a soluzione. Hanno frequentato le periferie, hanno ricostruito un rapporto con le fasce più deboli della società, quelle che un tempo erano un pezzo forte dell’elettorato laburista. Questo rapporto è andato sempre più scemando, divenendo quasi inesistente. Ma io non mi rassegno a questo. Quello che mi impensierisce di più non è l’essere visti come quelli del ‘campo per la pace’ e basta, ma di essere percepiti come quelli delle “èlite benestanti”, dei salotti buoni di Tel Aviv. Da qui bisogna ripartire, da un recupero di credibilità tra i ceti socialmente più indifesi, promuovendo anche una nuova classe dirigente. Sì lo so, ogni segretario appena eletto ripete questo mantra. Stavolta, però, non sarà così. E non perché io sia più coerente e tosta di quelli che mi hanno preceduto, ma perché o si rinnova o si muore. Lo dico con uno slogan che deve tradursi in politica: ‘Tra l’Israele delle start up, che costruisce il futuro, e l’Israele degli ultraortodossi, proiettai nel passato, la nostra scelta è chiara e netta. Quella di Netanyahu, no’”. So bene che lo spostamento a destra del paese non è qualcosa che nasce con quest’ultimo governo, ma che viene da lontano, e da cambiamenti strutturali, in primo luogo demografici e sociali, che la sinistra, e in primis il mio partito, non sono stati all’altezza di cogliere, come invece ha dimostrato di saper fare la destra. Non siamo stati all’altezza delle sfide del cambiamento. Di questo ebbi modo di discutere in uno dei nostri ultimi incontri, prima della sua scomparsa, con Shimon Peres. “’e non sai leggere i cambiamenti intervenuti, sei destinato alla marginalità o a vivere in un passato che non c’è più’, mi disse Shimon. Ed è una lezione che non dimenticherò mai”.

Non dubitiamo della sua memoria. Né, conoscendola personalmente, della sua onestà intellettuale. Resta il fatto, però, che il “governismo” sta logorando ciò che resta della sinistra israeliana. Il governo come fine e non come strumento. Buono per mantenere in vita una nomenclatura ma non per risollevare la china. E la schiena. Si può condizionare, un pochino, ma non incidere. Si può stare in un governo senza “governare”.  E questo, alla fine, lo si paga. A caro prezzo. 

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