Da Mosca a Vladivostok: viaggio nel centralismo nazionalista e imperiale russo che ci fa capire l'Ucraina
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Da Mosca a Vladivostok: viaggio nel centralismo nazionalista e imperiale russo che ci fa capire l'Ucraina

Ho provato a tornare con ricordi non giornalistici, ma quelli che mi porto dentro da quando per turismo mi sono seduto su un treno per andare da Mosca a Vladivostok

Da Mosca a Vladivostok: viaggio nel centralismo nazionalista e imperiale russo che ci fa capire l'Ucraina
Una vecchia immagine della Russia imperialista
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14 Maggio 2022 - 14.00


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Questa guerra in Ucraina non è come le altre, per noi. Questo mi disturba perché le altre guerre regionali sono state altrettanto importanti per me. Non posso dirlo di tutte, ma di quelle del nostro mondo euro mediterraneo si. Dunque lo è anche questa ma provo a domandarmi cosa pensino i nostri vicini, perché tali sono, del nostro disinteresse per le loro guerre e quindi per le loro vite. Quanto meno una nostra estraneità, una nostra incuria per la loro vita. Poi penso però che questa guerra è anche loro, visto che dall’Ucraina partiva una quantità tale di grano che 50 milioni di persone si sono aggiunte a quelle che già soffrivano la fame da quando i silos ucraini sono pieni di grano che non può più partire da Odessa. Dunque questa guerra riguarda anche loro, non meno di quanto ci riguarda. 

E’ un primo elemento che mi induce a provare a tornare in Russia, ma non con i  ricordi lontani, di quando seguivo per lavoro la grande avventura di Gorbaciov. Ho provato a tornare con ricordi non giornalistici, ma quelli che mi porto dentro da quando per turismo mi sono seduto su un treno per andare da Mosca a Vladivostok. La prima cosa che mi ha colpito è stata la necessità di fare attenzione a non sbagliare la stazione nella quale  dovevo entrare per  partire. Su una stessa piazza se ne affacciano tante. Da una partono i treni che vanno a est, da una quelli che vanno a sud, da un’altra quelli verso l’Europa. Che idea c’è in questo? Frugando negli spazi di quella piazza ho visto una stella. La vecchia Unione Sovietica era così: una stella. Un paese faceva i bottoni, un altro le stoffe, un altro ancora le macchina per cucire. E tutto si assemblava in Russia. Il disegno stellare mi faceva capire in quella piazza che tutti saranno uguali ma alcuni sono più uguali nella loro indispensabilità. Che farsene dei bottoni senza camice? È per questo che Stalin mandò tanti russi a vivere nelle altre repubbliche: una stella è come un racconto, deve avere un filo conduttore. 

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Tutte le stazioni che si affacciano sulla stessa piazza dicono che che si arriva e parte dalla stessa piazza… È una scelta che riguarda l’unità  dello spazio, ma anche per il tempo a Mosca si è cercato di fare lo stesso. Il mio treno avrebbe attraversato un’infinità di fusi orari, ma sul biglietto gli orari di arrivo e partenza erano indicati sempre con l’ora di Mosca. E in ogni città ovunque vedevo l’ora locale, ma quando arrivavo in stazione il tempo cambiava; lì ogni orologio era regolato sull’ora di Mosca. Quanto conta il centro in quello spazio sconfinato? 

La dimensione sconfinata mi ha messo a contatto con un altro elemento russo, unificante. In ogni città che ho visitato al centro è piazza Karl Marx, alla quale si giunge percorrendo viale Lenin. Ovunque è così. Ho visto Lenin con il cappotto, senza cappotto, con il berretto, a capo scoperto, intento a marciare, mentre alza una bandiera e ancora. Questa costanza che perdura da allora di cosa parla? 

Durante quel viaggio, attraversando Russia e Siberia,  ho avuto la sensazione che parlasse molto di Unione, non di Soviet. E’ come un se un modello urbano fosse stato steso su territori difformi, tenuti insieme da un progetto centralista. Più che un mondo complesso emerge un mondo unificato, che deve essere tenuto insieme nell’unità. Forse è per questo che lo Stato è qualcosa di molto diverso da quel che è per noi. E la II Guerra Mondiale è molto importante in questo sforzo di unificazione. Da Mosca in avanti non si può non notare che la Cattedrale di ogni città è davanti al monumento ai caduti nella II Guerra Mondiale. Questa duplicità, chiesa e monumento ai caduti, è più profonda  dell’altra, piazza Marx e viale  Lenin, che però  rimane come idea di Stato centrale e “centrato” o, come spiegano tutti gli esperti, di Russia “imperiale”. Imperiale non vuol dire imperialista, ma che tutto questo spazio enorme è uno, indivisibile. Come a dire che l’orizzontalità sociale qui è impossibile, la realtà deve chiamare alla verticalità burocratica. 

Ma quei mausolei ai caduti nella Seconda Guerra Mondiale e le chiese con le cupole a cipolla , cosa uniscono? Girando per tutte le città russe  nelle quali ho potuto fermarmi ho costruito nel tempo intorno a questa domanda una sola risposta capace di convincermi: uniscono l’anima e l’identità dell’impero. L’anima è quella guerra in cui quasi tutte le famiglie russe hanno un morto, un caduto. Ma per loro si chiama la Grande Guerra Patriottica, non la Seconda Guerra Mondiale. Questo me lo hanno detto tutti quelli che in treno mi hanno chiesto perché seguitassi a leggere Dostoevskij invece di Puskin, per loro più “russo”. E quando portavo il discorso sulla Guerra ottenevo sempre la stessa risposta, sempre. Quella guerra è stata la guerra per la patria. Non la ricordano, come noi, come la guerra contro i totalitarismi, la Shoà. No, la ricordano come la guerra per la patria. Quindi i nazisti sono i nemici della patria, non i totalitari o i genocidi. La forza di questo bisogno di patria mi ha accompagnato per oltre 6mila chilometri in opinioni che allontanandosi da Mosca diventavano sempre meno pro-Putin, fino a un dissenso facilmente percepibile, ma raramente non patriottiche. 

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Ora ricordo queste soste per me troppo lunghe davanti ai memoriali per i caduti e mi chiedo se abbiamo capito cosa voglia dire denazificare l’Ucraina. Non penso voglia dire fare fuori i nostalgici di Hitler, ma i nazionalisti ucraini, perché il nazionalismo ucraino come bielorusso è contro la patria, che è l’impero. L’identità  è imperiale, ma ha bisogno di un fuoco, in breve di un’anima. Il nemico esterno è sempre potente, e qui gioca il suo peso la Chiesa ortodossa russa. Nel desiderio del vertice di nazionalizzare le masse essa svolge il ruolo indispensabile della comune, antica tradizione, che connette la leadership al popolo senza bisogno di corpi intermedi. Ecco perché qui il tentativo di chiama “democrazia sovrana”, molto simile a quella illiberar Tu di 

Arrivare a Vladivostok sorprende chiunque: perché appena scendi dal treno pensi di essere in una bella città portuale europea, ma intorno i turisti sono solo cinesi, o dai tratti orientali. Ma nel paesaggio urbano che ti ha accompagnato nel lunghissimo viaggio nulla ti ha detto che sei in Oriente. Lo stile, l’architettura, l’arte, i musei, sono stati dall’inizio alla fine sempre e solo in stile sovietico e occidentale. Nulla mi ha detto che abbiamo viaggiato sul fianco settentrionale della Cina, della Mongolia. Neanche un piatto di cucina locale. Tutto esplode negli alberghi di Vladivostok, improvviso, dove ho scoperto che ero a due passi dalla Corea. Solo lì mi sono reso conto che quella siberiana è stata almeno in termini di spazio la più grande impresa coloniale di sempre. Così mi venne in mente di chiedere: mi scusi, lei è siberiano? Mi hanno risposto tutti: “no, io sono russo”. E cominciava un lungo discorso sulla famiglia, su Mosca, sui parenti… E gli “indigeni”? Certo, ci sono delle loro Repubbliche giù, verso il confine, però…

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Sì, io penso che la denazificazione l’abbiamo fraintesa. Per strano che possa sembrare la Russia imperiale di Putin teme i nazionalismi, almeno a casa sua, e il rischio che corre è di creare in Bielorussia e Ucraina nazionalismi fondati non più sull’attrazione per la società occidentale ma sul sentimento anti-russo, che sarebbe il prezzo terribile di questa guerra. È inevitabile? Si poteva evitare?   Non credo che un viaggio turistico di pochi giorni consenta di capire la Russia, ma aiuta  a comprendere  che questa guerra va letta anche con i loro parametri: è su quelli che decide Putin, usando parole che dobbiamo capire non per quel che significano per noi, ma  per quel che lui vuole dire. Questa idea ha finito col prevalere ricordando che quel villaggio museo della Siberia pre-zarista. I cosacchi dello zar lo assalirono, uccidendo tutti quelli che rifiutarono la conversione. Mi colpì quello che vidi, ma anche di essere l’unico visitatore. 

Se questi sono i piccoli spunti che la memoria mi ha consentito di sviluppare in questi giorni di guerra non posso negare che l’attualità mi ha fatto ricordare l’atteggiamento predatorio dell’Occidente e dei boiari che spolparono la Russia in epoca eltziana. Se i problemi non cominciarono allora quelle scelte inequivocabili nessuno può pensare che non abbiano pesato. 

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