Putin e Kirill, la guerra in Ucraina come restaurazione nazionalista che si nutre di nostalgie imperiali
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Putin e Kirill, la guerra in Ucraina come restaurazione nazionalista che si nutre di nostalgie imperiali

La tragedia in atto è tutta in questo disegno che vuole riunire i russi della Russia, della Bielorussia e dell’Ucraina in un unico popolo, senza tener conto che la terza testa, quella dei Piccoli russi ha scelto la via dell’Occidente

Putin e Kirill, la guerra in Ucraina come restaurazione nazionalista che si nutre di nostalgie imperiali
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Antonio Rinaldis Modifica articolo

25 Aprile 2022 - 16.33


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In questi giorni convulsi e drammatici, nella selva di informazioni che arrivano dal fronte di una guerra che si annuncia lunga e crudele, c’è una notizia che a molti è sfuggita, ma che merita di essere commentata. 

Una statua di Lenin è stata eretta dai russi in una cittadina ucraina nella provincia di Kherson a pochi chilometri dal confine con la Crimea a circa 290 chilometri da Mariupol. La statua originale era stata rimossa dal Consiglio comunale della cittadina ucraina nel 2015, all’interno della campagna di demolizione dei monumenti del regime sovietico. Un funzionario ucraino ha commentato con parole molo dure la scelta delle autorità russe, come un tentativo di tornare indietro nel tempo, usando bandiere rosse e simboli dell’Urss per giustificare l’aggressione in corso. È singolare che accanto alla statua, sul tetto di un edificio pubblico, sia stata issata una bandiera russa. Perché questa notizia appare così sorprendente?  Perché denota lo stato confusionale in cui si trova, in questo momento la Russia di Putin, in bilico tra troppi passati e nella totale assenza di futuro. Lenin da una parte, Kiril, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, dall’altra parte, rappresentano i due lemmi dell’anima russa, divisa tra Occidente e Oriente, in un’oscillazione che non produce alcuna identità, perché se Lenin è il pensiero marxista, l’Europa, la filosofia moderna, Kiril è la Chiesa ortodossa, la tradizione, la Santa madre russa, la Rus’, come la chiamava Esenin, il poeta contadino, che coltivava il mito di un mondo rurale e ancestrale, che sapeva di antimoderno. Mosca e San Pietroburgo sono le due città simbolo di questo dilemma, la prima posta nel cuore dell’Impero, la seconda, abbellita dagli architetti italiani, che si affaccia da sempre sull’Europa. 

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È possibile stabilire un collegamento tra Lenin e la Chiesa ortodossa? 

Nella visione putiniana il nesso esiste. 

La statua di Lenin non deve essere interpretata come nostalgia del comunismo, ma dell’impero sovietico, che Putin vorrebbe restaurare, senza però il collante politico e ideologico che permise ai bolscevichi di unificare il grande paese in una confederazione di stati indipendenti, l’Urss, appunto.  Nostalgia imperiale e identità russa che si ritrae di fronte a un mondo Occidentale che ama e odia, da cui è attratta e che nello stesso tempo vuole respingere. L’ideologia comunista aveva conferito un’identità al mondo russo, contrapponendolo al mondo capitalista, ma una volta crollato il muro, l’anima russa, che in un primo momento, ai tempi di Eltsin, si era rivolta a Ovest, è diventata capitalista solo nei suoi gruppi dirigenti, che da zelanti funzionari del Pcus si sono trasformati in spregiudicati uomini d’affari e di potere, diventando una casta, gli oligarchi che regnano incontrastati sulle macerie di un paese che ha il Pil più basso dell’Italia, ma quasi tre volte la popolazione italiana, con un reddito personale pari a circa 11 mila dollari annui. Ma la conversione al capitalismo non garantiva all’anima russa alcuna identità e la Rus’ rischiava di essere omologata al sistema occidentale, ed è questa la ragione per cui un oscuro e anonimo ex colonnello del Kgb ha potuto pensare che si doveva restituire alla Russia un ruolo autonomo, dal momento che la caduta dell’Urss è stata, a suo giudizio, una delle più grandi catastrofi del XX secolo. Fallito il disegno egemonico all’ombra delle bandiere rosse è tornata di moda l’aquila imperiale, che ha disseppellito il sarcofago dei Romanov ed ha restituito all’ansia russa di essere una Patria un solido fondamento. Putin è un nuovo zar e non è un caso che KIril lo abbia sostenuto, soprattutto nella sua missione di riconsacrare l’anima russa e di riunire i popoli slavi in un’unica grande Patria sotto l’ombrello protettivo della Chiesa ortodossa. 

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La guerra contro l’Ucraina si configura nella propaganda putiniana come una restaurazione, il riscatto di un’identità che in questo momento si nutre di un coacervo di nostalgie imperiali, afflati religiosi e orgoglio nazionalistico. 

La tragedia in atto è tutta in questo disegno che vuole riunire i russi della Russia, della Bielorussia e dell’Ucraina in un unico popolo, senza tener conto che la terza testa, quella dei Piccoli russi ha scelto la via dell’Occidente e non vuole consegnarsi all’abbraccio mortale dei fratelli che sono entrati in casa con la prepotenza di chi pensa di possedere un diritto storico e secolare che è in realtà una tremenda mistificazione. 

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