Gli italiani in Russia rivelano: "A noi le sanzioni non hanno cambiato la vita"
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Gli italiani in Russia rivelano: "A noi le sanzioni non hanno cambiato la vita"

Tgcom24 ha intervistato sei italiani che vivono in Russia. Problemi pratici con le banche a causa delle sanzioni. C'è chi è deluso e vorrebbe andare via, e chi pensa che le notizie in Italia siano gonfiate

Gli italiani in Russia rivelano: "A noi le sanzioni non hanno cambiato la vita"
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11 Aprile 2022 - 10.51


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Tgcom24 ha chiesto a sei italiani che vivono e lavorano tra Mosca e San Pietroburgo come viene vissuta la guerra. Tra questi c’è chi è contrario al conflitto, chi dice che in Italia vengono gonfiate le notizie, chi si sente tradito e chi “sta” con Putin. Al di là delle opinioni, tutti concordano su un fatto: in Russia la vita non è cambiata, non ci sono i problemi degli scaffali vuoti o delle code ai supermercati ma ce ne sono invece con le banche. Ecco i loro racconti.

Roberto (nome di fantasia), 52enne originario di Milano, vive a San Pietroburgo da dieci anni. Lì dirige un’agenzia di marketing. “La vita quotidiana non è praticamente cambiata. Non c’è la percezione che stia succedendo qualcosa. Certo, notiamo che KFC, McDonald’s e Starbucks hanno chiuso. Però al di là di quello, è tutto come prima”, spiega. Mi sento come se l’amore della mia vita mi avesse tradito.

Il 52enne conferma che, in seguito alle sanzioni, trasferire denaro in Italia è diventato complicato. “Anche lavorando con banche non sanzionate ci possono essere delle difficoltà”. Su social e media giravano video di persone che si azzuffavano per accaparrarsi lo zucchero, così come foto di scaffali vuoti e lunghe code fuori dai supermercati. “Io non ho avuto di questi problemi. Posso dire, però, che i prezzi di alcuni prodotti sono aumentati. Banalmente, le cartucce per la stampante costavano 2mila rubli e ora costano 8mila. Stesso discorso per i farmaci”.

Roberto non nasconde la sua profonda delusione per la guerra scatenata da Putin: “Nel momento in cui A invade B, il torto di A è palese. Non dimentichiamo che stiamo parlando di una nazione tecnicamente fascista dove non hai libertà di parola, c’è la stessa persona al potere da vent’anni, sono conculcati i diritti delle minoranze, degli LGBTQ e tanto altro. E dopo le ultime leggi approvate, per cui non si possono addirittura usare certe parole, siamo ai livelli di Orwell. Io veramente non me ne faccio una ragione eppure è così”.

Se potessi andarmene me ne andrei. “Parlo con la morte nel cuore: mi sono trasferito qui perché volevo vivere a San Pietroburgo e adesso mi sento come se l’amore della mia vita mi avesse tradito e fosse andato a letto con un altro. Mi chiedo: ‘Sono sicuro di voler vivere ancora qui oppure voglio tornare in un Paese in cui non rischio anni di galera per una parola?’. Se potessi andarmene me ne andrei perché non sono contento della situazione, però la mia vita è qui. Sto cercando di capire se tra un po’ ne avrò la possibilità”, conclude.

In Italia, la percezione di ciò che sta accadendo è molto gonfiata. Io guardo un po’ tutto, quello che dicono i media italiani, quello che dicono in Germania e le fonti ufficiali russe. C’è una propaganda pazzesca da parte dell’Europa e dell’America. Ho anche discusso con alcuni parenti. Mi dicono: ‘Torna subito in Italia. Là c’è caos, code nei bancomat, manifestazioni in piazza, non c’è da mangiare’. Non c’è da mangiare? File ai supermercati, scaffali vuoti? Non è vero. Non è cambiato nulla. E nemmeno mi credono quando lo dico. Non so perché i giornali o le televisioni dicano cose che non sono vere”. È questo invece il racconto di Rocco, 35 anni, originario della Sicilia, che vive a Mosca da un anno e mezzo.

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Per quanto riguarda la situazione in Ucraina, dice: “Sapevamo di questo conflitto già da molto tempo. La pancia del popolo è con Putin. Ho amici di diverse classi sociali e non ho mai sentito nessuno dire ‘Putin è un killer’. Così come non è un dittatore. Ho un po’ di vergogna a essere europeo perché sto vedendo quello che viene dichiarato lì. E non ho nessun motivo per difendere Putin o la Russia, ma questa è la mia percezione. Mi spiace dirlo ma siamo gli schiavi di Biden, è umiliante perché Italia e Russia hanno sempre avuto rapporti stupendi. Noi ancora oggi siamo visti come delle persone in gamba, nonostante tutto. Siamo trattati bene. Le persone capiscono che la colpa non è dei cittadini italiani ma di chi ci governa”.

Rocco dice di sentirsi abbandonato dalle istituzioni italiane. “Le transazioni sono bloccate. Io lavoro qua e ho un piccolo credito in Italia. Lì ho una famiglia che voglio aiutare, come faccio a mandare soldi? La maggior parte degli italiani che lavora in Russia ha dei conti qua e dei conti in Italia. E non possiamo fare nessuna operazione. Ci hanno tagliato i ponti. Non sono stato io, cittadino, a fare la guerra, perché state punendo me?”, spiega Rocco.

“A livello pratico non è cambiato nulla, ma la situazione impatta dal punto di vista psicologico” – Manlio Casagrande ha 41 anni e vive in Russia da 16, dove gestisce un’agenzia turistica e un ristorante italiano a San Pietroburgo. È tornato da poco in città, dopo aver trascorso un periodo fuori, a 40 chilometri di distanza. “Dopo l’invasione, non ho percepito niente di diverso né dove mi trovavo né qui”. La sua vita continua “tranquillamente. L’unica differenza è che ha smesso di funzionare Apple Pay. Più che altro, la situazione impatta dal punto di vista psicologico”.

L’imprenditore non ha notato particolari problemi relativi al reperimento di alimenti nei supermercati. “Posso dire però che ci sono stati dei picchi di inflazione su certi prodotti. In famiglia, per sicurezza, abbiamo deciso di fare un po’ di scorta”. Discorso diverso per quanto riguarda le banche. “Qualche settimana fa abbiamo ricevuto un bonifico dai nostri partner di Roma, da una banca non soggetta a sanzioni. Tuttavia, è arrivato con un notevole ritardo perché era stato bloccato in Italia, non sappiamo per quale motivo”.
Non posso dire che la nostra vita qui sia stata eccessivamente toccata, è stato però difficile dal punto di vista psicologico

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Manlio dice di essere rimasto “molto scosso dal conflitto, onestamente non me l’aspettavo. Credo che tante persone stiano sperando che si trovi una soluzione il prima possibile anche per alzarsi la mattina e non leggere news legate a episodi di violenza, armi e guerra”. Un liceale, figlio di una donna russa, picchiato dai compagni a Brescia. Il corso su Dostoevskij cancellato dall’Università Bicocca di Milano. Episodi che potrebbero preannunciare una tensione crescente tra italiani e russi. Tuttavia, l’imprenditore non pensa che i rapporti si inaspriranno. “Penso che si tratti di una risposta di pancia – anche comprensibile – però sbagliata. Tutto viene messo nello stesso calderone. Qui non c’è questa reazione nei confronti dei cittadini degli ‘Stati nemici'”, conclude.

A San Pietroburgo si trovano anche la sarda Laura e la campana Francesca (nomi di fantasia), 21 e 22 anni, studentesse dell’Alta Scuola di Mediatori Linguistici e Culturali di Pisa. Si sono recate nella città russa a inizio febbraio per svolgere l’Erasmus, poco prima dell’invasione in Ucraina. “Quando è iniziato il conflitto eravamo preoccupate, le nostre famiglie anche, poi abbiamo deciso di restare perché non volevamo interrompere questa esperienza. Inoltre, la situazione qui è tranquilla, si vede che la gente è provata, ma si continua a vivere normalmente”, raccontano.

“Abbiamo messo una cifra da parte (che dovrebbe bastarci fino a maggio-giugno) perché, a causa delle sanzioni, ricevere denaro è difficile. Anche se un modo si trova. Così come per i social: è vero che non funzionano, ma con la Vpn si riesce aggirare il blocco. I McDonald’s? Cinque sono ancora aperti. Ma la maggior parte ha chiuso”. Sul conflitto in Ucraina, le giovani dicono che nell’ambiente universitario che frequentano sono tutti contrari: “Veramente poche persone appoggiano la decisione di Putin. Perché ha causato tagli di comunicazione con l’Europa, problemi con le banche, prezzi in aumento. Inoltre, non arrivano i prodotti dall’Ue. Anche per l’economia russa non è una bella situazione… non giova a nessuno”, dice Laura.

Di recente, parlavo del conflitto con una ragazza ed era mortificata perché era sicura che in Europa ormai tutti odiano i russi. Ma loro che colpa ne hanno? “I ragazzi russi si scusano per la situazione, sono imbarazzati”, spiega Francesca. Le fa eco Laura: “Di recente, parlavo del conflitto con una ragazza ed era mortificata perché era sicura che in Europa ormai tutti odiano i russi. Ma loro che colpa ne hanno?”. “La politica è politica, i governi sono governi. Io non capisco il bisogno di seminare odio infondato nei confronti di una popolazione che non ha colpe. Con le sanzioni, con la cattiva comunicazione e parlando di ‘nemico’ si inaspriscono ulteriormente i rapporti”, aggiunge Francesca. Mentre sulla narrazione del conflitto, le giovani dicono: “Ciò che a noi ha lasciato allibite è che i media italiani purtroppo facciano vedere solo una faccia della medaglia. Sempre e solo dalla parte dell’Ucraina, mentre non viene esaminato il contesto, il ‘perché’ la Russia abbia iniziato questa guerra. Dai media una persona si aspetta neutralità, neutralità che non c’è”.

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“Ho amici ucraini e russi dissidenti, ma sono anche a contatto con l’ambiente di governo per via del mio lavoro. Quindi, ho una visione abbastanza ampia della situazione”, racconta invece il romano Stefano Capilupi, professore associato presso l’Accademia Russa Cristiana di Scienze Umanistiche di San Pietroburgo e visiting professor presso l’Università Statale LETI, che vive nel Paese da 22 anni e da 15 cura scambi di docenti e studenti fra le università di Italia e Russia. “Ho visto le manifestazioni a San Pietroburgo. Non ho partecipato perché se voglio rimanere in questo Paese è meglio non farlo. Qui la gente se non è autorizzata prima non può scendere in piazza e praticamente non è autorizzato nulla. Se lo fa rischia di essere malmenata e incarcerata. Ecco perché dico che San Pietroburgo ha mostrato grande dignità. I cittadini hanno avuto il coraggio di protestare. Vedendo una reazione simile, l’Europa dovrebbe dire: ‘Continuiamo a tenere dei canali di scambio con questo popolo’. E invece…”, dice.

“L’Unione europea ha deciso che isolare la Russia fosse la scelta migliore – aggiunge il professore -. Non trovo corretto aver annullato ogni trasporto, ogni canale, tutti gli accordi, i festival di arte e di cinema… Cosa pensavano gli europei? Di provocare la ribellione in Russia? Era necessario unire alle sanzioni l’isolamento? Aver annullato ogni trasporto e congelato ogni accordo danneggia la gente, quella borghesia aperta che è quella più critica verso il regime. Significa lasciare soli i dissidenti, abbandonarli alla disperazione. Per non parlare degli studenti. Ci sono giovani che magari ancora l’Europa non l’hanno vista e che col passare del tempo si convinceranno che i cattivi sono gli europei, che li hanno isolati, lasciati soli”.

La scelta del governo di invadere l’Ucraina ha colto il professore di sorpresa. “Nonostante la propaganda governativa, non pensavo si arrivasse a questo. Tanti non se l’aspettavano – ammette – Personalmente sono a dir poco distrutto dalla decisione che è stata presa. Putin sapeva che facendo quello che ha fatto avrebbe messo in crisi i rapporti con l’Europa, tutto quel mondo di relazioni culturali che con fatica abbiamo costruito in 30 anni. Per me è una sofferenza inaudita perché il senso della mia vita è sempre stato quello di lavorare affinché questi due mondi si conoscessero a vicenda”. Sul caso Dostoevskij, Stefano – che tra l’altro ha scritto diverse monografie su Manzoni e sullo scrittore russo – infine commenta: “Il pensiero che mi tormenta di più è proprio questo: il rischio che si crei una ‘guerra tra civiltà’ che in realtà non dovrebbe esserci”.

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