Sabato i pacifisti a San Giovanni. Che nessun "diserti". Europe for peace
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Sabato i pacifisti a San Giovanni. Che nessun "diserti". Europe for peace

I pacifisti sono, ogni giorno, a sostenere i più indifesi tra gli indifesi: i migranti, quelli che l’Europa continua a respingere. Sono nel Mediterraneo sulle navi salvavita. Sono a dar voce a una umanità sofferente che fugge dalle guerre

Sabato i pacifisti a San Giovanni. Che nessun "diserti". Europe for peace
Manifestazione per la pace
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Marzo 2022 - 16.05


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Nessuno si permetta ancora di dire “dove sono i pacifisti”. I pacifisti sono, ogni giorno, a sostenere i più indifesi tra gli indifesi: i migranti, quelli che l’Europa continua a respingere. Sono nel Mediterraneo sulle navi salvavita. Sono a dar voce a una umanità sofferente che fugge da guerre, pulizie etniche, stupri di massa, povertà assoluta, sfruttamento bestiale, disastri ambientali. I pacifisti sono in piazza. Sabato a Roma, in una grande manifestazione nazionale contro la guerra. Per fermare la guerra in Ucraina.

In piazza

A indire la manifestazione (partenza 13,30 Piazza della Repubblica, conclusione in piazza San Giovanni in Laterano) è quel mondo solidale – associazioni, Ong, sindacati, gruppi di base, il meglio della società civile –  che si riconosce e fa parte della Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd).

“Bisogna fermare la guerra in Ucraina. Bisogna fermare tutte le guerre del mondo. Condanniamo l’aggressione e la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Vogliamo il “cessate il fuoco”, chiediamo il ritiro delle truppe. Ci vuole l’azione dell’Onu che con autorevolezza e legittimità conduca il negoziato tra le parti.
Chiediamo una politica di disarmo e di neutralità attiva.
Dall’Italia e dall’Europa devono arrivare soluzioni politiche e negoziali. Protezione, aiuti umanitari, diritti alla popolazione di tutta l’Ucraina, senza distinzione di lingua e cultura.
Diamo segnali concreti di solidarietà. Ognuno contribuisca all’accoglienza e al soccorso degli Ucraini in fuga.
Costruiamo ponti e solidarietà tra i popoli con la democrazia, i diritti, la pace. Basta armi, basta violenza, basta guerra!
Vogliamo un’Europa di pace”, recita l’appello di convocazione dell’iniziativa.

L’invito a scendere in piazza sabato prossimo da parte della Rete Italiana Pace e Disarmo si apre con una citazione del poeta cileno Pablo Neruda: “Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi…per gli interessi di persone che si conoscono ma che non si uccidono.” Questa frase prende vita ricordandoci che in Ucraina la popolazione civile si trova a combattere un conflitto voluto dalle alte cariche dello Stato, quando non è “così fortunata” da poter fuggire dal proprio Paese. Per questo la Rete Italiana Pace e Disarmo ribadisce che anche noi, pur trovandoci in un altro Paese, “dobbiamo esserci”.

Sabato in piazza “dobbiamo esserci” contro chi fa la guerra, contro chi l’ha preparata e contro chi la desidera. La condanna arriva chiaramente al governo di Putin che ha compiuto l’attacco il 24 febbraio scorso e che ha riaperto una nuova guerra in Europa che va fermata subito: “Su questo non ci possono essere ambiguità e chi pensa ancora che “il nemico del mio nemico è mio amico”, arrampicandosi sugli specchi per giustificare l’ingiustificabile, continua a non capire nulla della storia e del presente.”

L’attacco arriva anche nei confronti nei Paesi occidentali che non hanno rispettato gli accordi previsti da ripetute dichiarazioni pubbliche e documenti ufficiali desecretati secondo i quali era assicurato l’impegno dei leader dei paesi occidentali a non estendere la Nato verso est “nemmeno di un pollice”, come dichiarato dal Segretario di Stato Usa Joseph Baker nel 1990: “Tra il 2004 e il 2020 l’alleanza militare atlantica è passata da 16 a 30 Paesi membri, schierando armamenti offensivi in Romania, Polonia e nei Paesi Baltici, ai confini con la Russia – specifica, però, la Rete Nazionale Pace e Disarmo – I governi che oggi parlano di pace e democrazia contrapposte all’autoritarismo e all’oligarchia dovrebbero avere il coraggio di guardarsi allo specchio.”

Infine, l’ultimo riferimento è per il governo Draghi che ha stabilito un nuovo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2022 e che si appresta ad inviare armi e mezzi militari. “Sarebbe questo il fondamentale apporto del nostro Paese al ripristino della pace e della diplomazia?”, si chiede l’associazione.

Il compito delle cittadine e dei cittadini

La Rete Italiana per la Pace e il Disarmo, infine, conclude l’invito spiegando le ragioni per cui ogni cittadino e cittadina dovrebbe prendere parte a questo genere di mobilitazioni: “Per stare a fianco dei popoli ucraino e russo che non vogliono nessuna guerra, ma solo una vita dignitosa; per disertare la cultura della guerra, trasversale all’arco parlamentare, che ci vorrebbe arruolare per poterci silenziare, per abituarci a vivere nel pensiero unico del mercato e del dominio, per farci considerare normale che esistano vite degne e vite da scarto – continuano nel comunicato – Per dire a gran voce che un modello sociale capace solo di generare crisi eco-climatica, diseguaglianza sociale, pandemia e guerra va dichiarato insostenibile e radicalmente trasformato per garantire vita, dignità e futuro agli abitanti del pianeta.”

Una neutralità attiva. E’ quello che il fronte pacifista chiede al Governo italiano sul fronte russo-ucraino.

A darne conto, prim’ancora dell’inizio delle ostilità sul campo, era stata sempre Ripd. “Come italiani e come europei stiamo assistendo ad una preoccupante escalation della tensione tra la Russia, gli Stati Uniti e la Nato ai confini dell’Europa.
Una escalation nella quale, allo stato attuale, nessuno dei contendenti esclude l’eventualità del ricorso alle armi e rispetto alla quale nessun osservatore esclude che possa evolvere in conflitto armato, anche nucleare, che potrebbe coinvolgere la stessa Europa.Ciò avviene, inoltre, in un clima di esasperatoriarmo con il quale gli eserciti sembrano cercare la supremazia invece che un equilibrio strategico che sia garanzia di pace futura.

È forse dall’epoca della crisi dei missili a Cuba che il rischio di un nuovo conflitto globale non è stato così palpabile. È un rischio che non ci possiamo permettere, come denunciato la settimana scorsa dall’allarmante “100 secondi a mezzanotte” dell’Orologio dell’Apocalisse del Bulletin of Atomic Scientist. Per scongiurare questo rischio ogni paese ha il dovere di operare.
Al nostro Paese innanzi tutto, a cominciare dal Ministro degli Esteri, e all’Europa tutta chiediamo di prendere iniziative urgenti e significative da una posizione di neutralità attiva, per ottenere una de-escalation immediata della tensione e avviare la ricerca di un accordo politico negoziato nel rispetto della sicurezza e dei diritti di tutte le popolazioni coinvolte, chiarendo la propria indisponibilità a sostenere avventure militari.
A tutti i Paesi coinvolti diciamo: fermatevi. Deponete le armi e le minacce e trattate”.

Due preziosi contributi.

Il primo è di Cecilia Strada, in una bella intervista a firma Niccolò Carratelli su La Stampa.

“Ex presidente di Emergency, ora impegnata con la ong ResQ People Saving People e le missioni di soccorso ai migranti nel Mediterraneo, Cecilia ricorda bene una frase di Albert Enstein, che il padre citava sempre, tanto da diventare il motto di Emergency: «La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire. Lo ha ripetuto per più di 30 anni – ricorda – ma tutti quelli che l’hanno vista con i loro occhi sanno che la guerra non è mai la soluzione».

C’è chi ha ironizzato anche sui pacifisti distratti, che erano finiti chissà dove…

«Ho letto, anche alcuni giornalisti si sono chiesti dove fossero finiti i pacifisti: magari potrebbero intervistarli più spesso, perché sono sempre lì, lavorano tutto l’anno per promuovere il disarmo. Anche prima di questa guerra, visto che c’erano già altri conflitti nel mondo, di cui non si parla. Bisogna affrontare certi temi prima che cadano le bombe, non mentre la gente muore».

Quanto all’Europa, rimarca ancora Cecilia, “se vuole essere un continente di pace, certo non può continuare a vendere armi in tutto il mondo. Vale anche per l’Italia, scommetto che tra i mezzi che i russi stanno usando per invadere l’Ucraina ci sono anche nostri blindati Iveco, magari anche armi prodotte nel nostro Paese. Del resto, ai tempi del governo Berlusconi, ma anche con il governo Renzi, si sono moltiplicate le esportazioni di armi e materiale bellico verso la Russia».

“Il realismo dei pacifisti contro il machiavellismo dei politici”

E’ il titolo di un breve ma succoso saggio scritto da Tomaso Montanari su MicroMega.

Di seguito, un passaggio di particolare pregnanza: : E così, da ‘pacifista’, vorrei provare dare tre risposte a quella domanda: che fare ora?

La prima cosa. Rifiutare il veleno del nazionalismo: distinguere tra i popoli e i governi. Ho sentito una donna ucraina che vive in Italia parlare con toni sororali dei giovanissimi soldati russi che si arrendono dicendo che non sapevano di essere stati mandati in guerra, e argomentare con empatia circa la difficoltà di una opinione pubblica russa tenuta in ostaggio dalla censura e dal controllo dei media. E sentire un’ucraina che in questo momento non si fa trascinare dall’odio del sangue, ma è capace di distinguere, dovrebbe insegnarci qualcosa. Insegnarci a stare accanto alle donne e agli uomini che vivono in Ucraina, sotto le bombe di un’invasione mostruosa: senza per questo sposare la politica dei governi ucraini e dell’Occidente che li ha sostenuti. Stare fermamente contro Putin, contro la sua lucida (?) follia di tiranno sanguinario: ma non stare contro i russi. Diffondere senza sosta anche in Occidente, in Italia, le voci dei russi che, coraggiosamente, si oppongono con forza al tiranno: come quelle del poeta Lev Rubinštejn e della scrittrice Ljudmila Petruševskaja. Perché, come canta Leonard Cohen, «There is a crack in everything, That’s how the light gets in».

La seconda cosa. Rifiutare l’idea di gettare benzina sul fuoco, per quanto possa sembrare giusto farlo dalla parte degli oppressi, degli invasi. Se è giusto, oltre che compatibile con la nostra Costituzione, inviare in Ucraina «equipaggiamenti militari non letali di protezione», e cioè mezzi di difesa e non di offesa, sarebbe invece un grave azzardo mandare armi vere e proprie. I capi dell’Occidente pensano di cavarsela più a buon mercato, e senza rischiare direttamente: senza, cioè, terremotare più di tanto un’economia globale legata mani e piedi alla Russia di Putin. È un calcolo cinico, che rischia di essere anche drammaticamente sbagliato: perché prolungare e aggravare una guerra dall’esito purtroppo scontato, può aprire la strada a esiti che non lo sono per nulla. Buttare benzina su questo fuoco, infatti, può condurre – quasi meccanicamente, cioè senza che nessuno davvero si renda conto di ciò che sta innescando, e in tempi brevissimi – a un’apocalisse nucleare.

La terza cosa. Premere sui nostri governi perché le sanzioni economiche contro la Russia siano veloci, veramente dure, mirate sull’oligarchia. Sapendo bene che, per fare male a chi le subisce, le sanzioni devono fare male anche a chi le commina. Il prezzo sarà alto, per le nostre economie, e i governi dovranno evitare che a pagarlo sia chi già è sommerso, sia in Russia che in Occidente. Ma non c’è altra strada, ora.

Ripudiare la guerra significa lavorare per non crearne le premesse, per allontanarla, per annullare le possibilità che si verifichi. Come Occidente, come Italia, non lo abbiamo fatto. Ripudiare la guerra significa, quando comunque scoppia, non accettarne la logica infernale: cioè rifiutarsi di prendere le armi.
Sappiamo bene che, oltre un certo limite, può essere impossibile rimanere coerenti con la pace: la guerra di liberazione partigiana ne è un esempio. Così doloroso da far scrivere ai vincitori che non avrebbe mai dovuto ripetersi: perché quella guerra era stata combattuta sotto una terribile costrizione, combattuta perché fosse l’ultima.

Ma sappiamo anche che, in questa situazione, la minaccia nucleare cancella radicalmente anche questa estrema ipotesi di guerra giusta: semplicemente perché nessuno potrebbe vincerla.

Una delle cose più terribili della guerra è che, quando scoppia, incanala i pensieri di tutti nel suo schema nazionalista binario. Scrivendo nel 1938, Virginia Woolf opponeva a questa morsa una radicale alterità, quella di chi era fuori dalla logica del potere, e dunque degli schieramenti e delle ‘patrie’. Rivolgendosi a un ideale interlocutore maschio membro della classe dirigente dell’Impero britannico che si diceva pronto alla guerra antifascista diceva: «Tu stai combattendo per conquistare vantaggi che io non ho mai condiviso né mai condividerò: in quanto donna, non ho patria, in quanto donna la mia patria è il mondo intero». Era un pensiero radicale, che guardava lontano e puntava al cuore del problema, cioè contro la volontà di potenza che è genesi di tutte le guerre: un pensiero più o meno realista del maschio realismo che produce guerre a getto continuo?”.

Così Montanari

Tragedia umanitaria

A darne conto è l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) Filippo Grandi: “In soli sette giorni – denuncia Grandi – un milione di persone sono fuggite dall’Ucraina, sradicate da questa guerra insensata.
Ho lavorato nelle emergenze dei rifugiati per quasi 40 anni, e raramente ho visto un esodo così rapido come questo.
Ora dopo ora, minuto dopo minuto, sempre più persone stanno fuggendo dalla terrificante realtà della violenza. Innumerevoli persone sono sfollate all’interno del paese.
E a meno che il conflitto non termini istantaneamente, è probabile che altri milioni saranno costretti a fuggire dall’Ucraina.

All’interno dell’Ucraina, il nostro personale – e altri attori umanitari – stanno lavorando dove e quando possono in condizioni spaventose. Noi restiamo, anche in presenza di grandi pericoli, perché sappiamo che i bisogni nel paese sono enormi.
Nonostante la situazione in rapida evoluzione e le sfide straordinarie, la risposta dei governi e delle comunità locali nell’accogliere questo milione di rifugiati è stata notevole. Il personale dell’Unhcr è già dislocato in tutta la regione e sta rafforzando e ampliando i nostri programmi di protezione e assistenza per i rifugiati, a sostegno dei governi ospitanti.
La solidarietà internazionale è stata commovente. Ma niente – niente – può sostituire la necessità che le armi siano messe a tacere; che il dialogo e la diplomazia abbiano successo. La pace è l’unico modo per fermare questa tragedia”.

Ecco perché sabato pomeriggio occorre riempire Piazza San Giovanni.

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