In Libia i respingimenti crescono anche grazie ai finanziamenti italiani
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In Libia i respingimenti crescono anche grazie ai finanziamenti italiani

Secondo i dati Oim, 32.425 migranti sono stati intercettati e riportati in Libia, tra cui 28.528 uomini, 2.428 donne, 877 minori e 431 ragazze minori, oltre ad altri 151 di cui non si conosce il genere.

In Libia i respingimenti crescono anche grazie ai finanziamenti italiani
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5 Gennaio 2022 - 19.25


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Non sono numeri. Sono esseri umani. Che fuggivano da guerre, pulizie etniche, regimi sanguinari, disastri ambientali, povertà assoluta. 32.425 esseri umani intercettati e riportati nei lager libici.  L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha pubblicato il suo rapporto per l’anno 2021 sui rifugiati e i migranti in Libia. Secondo i dati Oim, 32.425 migranti sono stati intercettati e riportati in Libia dal Mediterraneo, tra cui 28.528 uomini, 2.428 donne, 877 minori e 431 ragazze minori, oltre ad altri 151 di cui non si conosce il genere. Il rapporto menziona anche la morte di 655 migranti e la scomparsa di altri 897 nello stesso periodo.

Escalation di persone rinchiuse nei centri di detenzione libici

E’ quanto emerge anche dal Report 2021 sul diritto d’asilo che la Fondazione Migrantes ha presentato il 14 dicembre scorso, a Roma.

Nel 2021, fino al 6 novembre la Guardia costiera “libica” ha intercettato in mare e riportato in territorio libico 28.600 rifugiati e migranti, un dato senza precedenti (dal 2016, il totale supera ormai le 100 mila persone). Da inizio anno all’8 novembre, i rifugiati e migranti che sulla rotta del Mediterraneo centrale sono riusciti ad arrivare in Italia o a Malta sono circa 56.700: quindi, meno del doppio di quelli intercettati e riportati in Libia, spesso con metodi brutali. Il 2021 – mette in evidenza ancora l’indagine – ha visto una nuova escalation delle persone rinchiuse arbitrariamente nei centri di detenzione libici: i soli centri “ufficiali” della Direzione per il contrasto dell’immigrazione illegale ne stipavano ai primi di ottobre circa 10 mila fra uomini, donne e minori contro i 1.100 scarsi di gennaio.

“Al 17 ottobre risultano trattenute nei centri di detenzioni in Libia 7.055 persone, di cui almeno 2,500 ci riguardano direttamente come agenzia”, spiega a Today Caroline Gluck, alto funzionario addetto alle Relazioni esterne di Unhcr Libya Operation. “Tuttavia l’Unhcr e i suoi partner hanno solo un accesso limitato ad alcuni centri e nessun accesso a quelli creati recentemente nella parte occidentale della Libia. Riteniamo che altre migliaia di richiedenti asilo, rifugiati e migranti siano ancora tenuti prigionieri da diverse forze di sicurezza, contrabbandieri o trafficanti in luoghi imprecisati.”

“Le condizioni nei centri di detenzione sono disastrose”, denuncia la funzionaria. “Spesso sovraffollati e privi di strutture igienico-sanitarie di base, sono luoghi in cui le violazioni dei diritti umani sono state ben documentate – più recentemente, ad esempio, dalla Missione d’inchiesta indipendente sulla Libia”. Ecco perché l’Unhcr chiede “il rilascio di tutti i rifugiati e richiedenti asilo trattenuti in stato di detenzione, la fine della detenzione arbitraria in Libia e la creazione di alternative alla detenzione”.

Sono trascorsi tre mesi da questa denuncia, e la situazione è ulteriormente peggiorata.

La parola a Rupert Colville, portavoce dell’United Nations Office High Commissioner for Human Rights (Ohchr): “Siamo profondamente preoccupati per una serie continua di espulsioni forzate di richiedenti asilo e altri migranti in Libia, inclusi due grandi gruppi di sudanesi nell’ultimo mese, con un altro gruppo di 24 eritrei apparentemente a rischio imminente di trattamento simile”..

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Secondo le informazioni provenienti dal team dell’Ohchr in Libia, il 6 dicembre un gruppo di 18 sudanesi è stato espulso senza un giusto processo dopo essere stato trasferito dal centro di detenzione di Ganfouda a Bengasi al centro di detenzione di al-Kufra nel sud-est della Libia.  Si tratta di persone fuggite da un paese nel quale recentemente c’è stato il secondo colpo di stato militare in pochi anni e il governo ad interim libico – appoggiato, finanziato e armato anche dall’Italia – ha grosse responsabilità, visto che come denuncia Colville, “Entrambi i centri sono sotto il controllo del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (Dcim) del ministero dell’interno». A quanto pare, i richiedenti asilo sudanesi sono stati trasportati attraverso il deserto del Sahara fino alla zona di confine tra Libia e Sudan scaricati lì senza nessuna assistenza.

L’Ohchr ricorda che “Un mese prima, il 5 novembre, un altro gruppo di 19 sudanesi era stato deportato in Sudan, sempre da Ganfouda attraverso il centro di detenzione di al-Kufra. Negli ultimi mesi, anche altri migranti provenienti da Sudan, Eritrea, Somalia e Ciad, compresi bambini e donne incinte, sono stati arrestati e sono già stati espulsi o potrebbero esserlo in qualsiasi momento. Tali espulsioni di richiedenti asilo e altri migranti in cerca di sicurezza e dignità in Libia senza il giusto processo e le garanzie procedurali necessarie, violano il divieto di espulsioni collettive e il principio di non respingimentoai sensi del diritto internazionale dei diritti umani e dei rifugiati”.

Per esempio, lo staff Ohchr in Libia evidenzia che i sudanesi espulsi una settimana fa “Sono stati arrestati, detenuti ed espulsi arbitrariamente senza che fosse stata loro offerta una valutazione individuale delle loro circostanze e dei loro bisogni di protezione, come il rischio di persecuzione, tortura e maltrattamenti o altri danni irreparabili nel loro Paese d’origine. Non hanno avuto accesso all’assistenza legale e non hanno potuto contestare la legittimità del provvedimento di espulsione. Inoltre, durante il periodo di detenzione non hanno avuto accesso alle pertinenti organizzazioni delle Nazioni Unite, incluso l’Human Rights Service il Servizio per i diritti umani dell’United Nations Support Mission in Libya (Unsmil)”..

Quello che preoccupa di più ora è la sorte di un gruppo di 24 eritrei che erano detenuti nello stesso centro di detenzione di Ganfouda e che si ritiene siano  a rischio di imminente espulsione. Colville  ha sottolineato che «Il 3 dicembre, siamo stati informati che, in uno schema che rispecchiava l’esperienza dei sudanesi espulsi, erano stati trasferiti al centro di detenzione di al-Kufra in preparazione della loro espulsione».

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Il 25 novembre l’Ohchr ha pubblicato il rapporto  “Unsafe and Undignified: The forced expulsion of migrants from Libya” nel quale evidenziava che «I richiedenti asilo e altri migranti in Libia sono abitualmente a rischio di espulsione arbitraria o collettiva dalle frontiere terrestri esterne della Libia in un maniera che non rispetta il divieto di espulsione collettiva e il principio di non respingimento» e Colville fa notare che “Inoltre, il rapporto documenta come «le espulsioni dalla Libia pongano spesso i migranti in situazioni estremamente vulnerabili, compresi lunghi e pericolosi viaggi di ritorno su veicoli sovraffollati attraverso tratti remoti del deserto del Sahara, uno dei deserti più aspri del mondo, senza adeguati dispositivi di sicurezza, cibo, acqua e cure mediche”.

Quanto alla narrazione fallace della Libia porto sicuro, il portavoce dell’Ohchr lla liquida così: Le persone espulse sono già sopravvissute a una serie di altre gravi violazioni e abusi dei diritti umani in Libia per mano di attori sia statali che non statali, tra cui detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, tratta, violenza sessuale, tortura e maltrattamenti. Chiediamo alle autorità di proteggere i diritti di tutti i migranti in Libia, indipendentemente dal loro status, di indagare su tutte le denunce di violazioni e abusi e di consegnare i colpevoli alla giustizia con processi equi. E chiediamo alla Libia di agire con urgenza per adempiere ai suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani, compreso il principio di non respingimento e il divieto di espulsioni collettive”.

Altrettanto duro è il giudizio sui finanziamenti dell’Italia alla cosiddetta Guardia costiera libica:  “Esortiamo inoltre la comunità internazionale a garantire la due diligence  nella fornitura di supporto operativo, finanziario e di sviluppo delle capacità al governo libico nelle aree della migrazione e della gestione delle frontiere, per garantire che questi sforzi non pregiudichino i diritti umani”.

Colville conclude così: “L’Ohchr chiede alle autorità di proteggere i diritti di tutti i migranti in Libia, indipendentemente dal loro status, di indagare su tutte le denunce di violazioni e abusi e di consegnare i colpevoli alla giustizia con processi equi. L’ufficio sta inoltre esortando lacomunità internazionale a sostenere il governo libico nelle aree della migrazione e della gestione delle frontiere, per garantire che questi sforzi non pregiudichino i diritti umani”..

Un manifesto di lotta e di denuncia

“Siamo persone rifugiate che vivono in Libia.
Veniamo dal Sud Sudan, Sierra Leone, Ciad, Uganda, Congo, Ruanda, Burundi, Somalia, Eritrea, Etiopia e Sudan. Stiamo fuggendo – si legge in un manifesto politico diffuso dal missionario comboniano padre Alex Zanotelli – da guerre civili, persecuzioni, cambiamenti climatici e povertà nei nostri paesi di origine. Siamo state tutte spinte da circostanze al di là della sopportazione umana.
Volevamo raggiungere l’Europa cercando una seconda possibilità per le nostre vite e siamo dunque arrivate in Libia. Qui siamo diventate la forza lavoro nascosta dell’economia libica: poniamo mattoni e costruiamo case libiche, ripariamo e laviamo auto libiche, coltiviamo e piantiamo frutta e verdura per i/le contadini/e libici/he e per le mense libiche, montiamo satelliti su tetti alti, schermi etc. A quanto pare questo non basta alle autorità libiche. La nostra forza lavoro non è sufficiente. 

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Vogliono il pieno controllo dei nostri corpi e della nostra dignità. Quello che abbiamo trovato al nostro arrivo è stato un incubo fatto di torture, stupri, estorsioni, detenzioni arbitrarie.
Abbiamo subito ogni possibile e inimmaginabile violazione dei diritti umani, non solo una
volta. Siamo stati intercettati con la forza in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica – finanziata dalle autorità italiane ed europee – e poi riportate nelle carceri e nei disumani campi di concentramento. Alcune di noi hanno dovuto ripetere questo ciclo di umiliazione due, tre, cinque, fino a dieci volte. 

Abbiamo cercato di alzare la voce e diffondere le nostre storie. Le abbiamo raccontate a istituzioni, politici, giornalisti ma, a parte pochissimi interessati, le nostre storie sono
rimaste inascoltate. Siamo stati deliberatamente messi a tacere e abbiamo deciso di rompere questo silenzio.

Dal 1° ottobre 2021, il giorno in cui la polizia e le forze militari libiche sono venute nelle nostre case nel quartiere di Gargaresh e hanno compiuto repressioni spietate e raid di massa contro di noi, migliaia di persone sono state arbitrariamente arrestate e detenute in disumani campi di concentramento. Il giorno dopo, siamo venuti come individualità e ci siamo riuniti presso la sede dell’Unhcr. Qui abbiamo capito che non avevamo altra scelta che iniziare ad organizzarci.
Abbiamo alzato la nostra voce e quella dei rifugiati che sono stati costantemente messi a tacere.
Non possiamo continuare a restare silenti mentre nessuno difende noi e le nostre vite . Ora siamo qui per rivendicare i nostri diritti e cercare protezione in paesi sicuri.

Perciò ora chiediamo con fermezza con le nostre voci:
– Evacuazioni verso terre sicure dove i nostri diritti possano essere tutelati e rispettati.
– Giustizia e uguaglianza tra rifugiati e richiedenti asilo registrati presso l’Unhcr in Libia.
– L’abolizione dei finanziamenti alle guardie costiere libiche che hanno, costantemente e
violentemente, intercettato le persone in fuga dall’inferno libico e le hanno portate in Libia dove sono vittime di ogni tipo di atrocità.
– La chiusura di tutti i centri di detenzione in Libia, che sono interamente finanziati dalle autorità italiane ed europee.
– Che le autorità consegnino alla giustizia i/le colpevoli che hanno sparato e ucciso i nostri fratelli e le nostre sorelle sia dentro che fuori dai centri di detenzione.
– Che le autorità libiche interrompano la detenzione arbitraria delle persone prese in carico
dall’Unhcr.
– Forzare la Libia a firmare e ratificare la costituzione della Convenzione di Ginevra del 1951 sui/lle rifugiati/e.

FREEDOM, HURRIYA, LIBERTÀ!”.

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