Quella del mare Mar Egeo non è una "tragedia" ma una strage annunciata
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Quella del mare Mar Egeo non è una "tragedia" ma una strage annunciata

Il ministro della navigazione grega Giannis Plakiotakis ha duramente attaccato le bande di trafficanti: “Sono loro i responsabili, sono indifferenti alla vita umana". Ma il ministro non dice che...

Quella del mare Mar Egeo non è una "tragedia" ma una strage annunciata
Migranti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Dicembre 2021 - 16.31


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Ora scriveranno di “tragedia di Natale. Parleranno di tragico incidente e tra una portata e l’altra forse avranno il tempo di versare le solite, insopportabili, lacrime di coccodrillo.

Crimini in mare

Non è stato un “incidente”. E’ stata una strage annunciata. Un crimine che non ha come unici responsabili i maledetti trafficanti di esseri umani.

Cronaca di stragi. È salito a 16 morti il bilancio dell’affondamento ieri di un’imbarcazione con migranti a bordo nel Mar Egeo, poche ore dopo un primo naufragio che aveva causato 11 morti.

Lo rende noto la guardia costiera greca. Si tratta del terzo incidente del genere da mercoledì. Le autorità hanno recuperato 16 corpi, tra cui 12 uomini, tre donne e un bambino, e sono riuscite a salvare 63 persone mentre la loro barca con a bordo 80 migranti affondava nei pressi dell’isola di Paros. Poche ore prima 11 corpi erano stati recuperati dopo l’affondamento di un’imbarcazione con un centinaio di migranti a bordo, arenata giovedì su un isolotto nel sud della Grecia. Circa 90 sopravvissuti, tra cui 52 uomini, 11 donne e 27 bambini, sono stati salvati ed evacuati ieri mattina da questo isolotto situato a nord dell’isola greca di Anticitera. L’imbarcazione, malgrado il tempo pessimo, era partita dalla Turchia, diretta verso l’Italia. Una rotta gestita dai trafficanti turchi e che nel 2021 ha avuto numeri record. Dall’inizio dell’anno sulle coste calabresi ioniche sono arrivate circa 7mila persone, tre volte quelle del 2020. Più di 2mila invece gli approdi sulle coste pugliesi, in particolare il Salento, quasi il doppio del 2020. E i drammi si ripetono. Lo scorso 26 ottobre nei pressi dell’isola di Chios era affondato un altro barcone. In quell’occasione erano morti quattro bambini, tra 3 e 14 anni, mentre 22 persone erano state salvate. 

E proprio oggi Papa Francesco nel messaggio di Natale ha parlato dell’inarrestabile dramma dei migranti e dei profughi, verso i quali non possiamo “girarci dall’altra parte”. 

Grecia, la vergogna continua

Il ministro della navigazione Giannis Plakiotakis ha duramente attaccato le bande di trafficanti: “Sono loro i responsabili, sono indifferenti alla vita umana,

Ma allo “smemorato” ministro ricordiamo quanto segue.

In Grecia la detenzione amministrativa dei migranti richiedenti asilo è diventata la regola e non l’eccezione, in aperta violazione con la normativa europea. Uomini, donne e bambini sono sottoposti a condizioni di detenzione degradanti e che negano i loro diritti fondamentali, come rilevato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.   E’ l’allarme lanciato le scorse settimane da Oxfam e Greek Refugees Council con un nuovo rapporto che fotografa una situazione a dir poco drammatica, che colpisce persone estremamente vulnerabili arrivate in Europa per trovare salvezza da guerre e persecuzioni in paesi come Afghanistan, Siria, Repubblica Democratica del Congo e molti altri.

Il dossier rileva come: già a giugno i migranti in detenzione amministrativa, quindi senza nessuna accusa penale a carico erano quasi 3 mila;  7 migranti irregolari su 10 sono posti in detenzione amministrativa e la maggior parte rimane detenuta anche una volta presentata la domanda di asilo.  1 persona su 5 viene detenuta per lunghi periodi in celle anguste concepite per poche ore di fermo; donne incinta, bambini e persone con gravi vulnerabilità, vengono detenute senza un’assistenza sanitaria e legale adeguata; quasi la metà (il 46%) dei migranti vi rimane per oltre 6 mesi.

“La volontà di usare la detenzione come prassi si riflette nelle recenti politiche adottate dalla Grecia. Nonostante la normativa europea indichi la detenzione amministrativa come ultima risorsa –  osserva Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Nel 2019 infatti le autorità greche hanno ampliato i motivi che portano alla detenzione anche alla verifica dell’identità della persona; hanno  eliminato la possibilità di prendere in considerazione misure alternative, in determinate circostanze;  e hanno introdotto la possibilità di estendere la detenzione fino a 3 anni. Un approccio che rappresenta una chiara violazione del diritto europeo e greco”.

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La detenzione amministrativa è solo un altro strumento perimpedire alle persone di cercare sicurezza e un futuro in Europa –aggiunge Vasilis Papastergiou, esperto legale del Greek Refugees Council –  Mentre le autorità greche si rifiutano di considerare altre opzioni, i tribunali greci spesso rifiutano i ricorsi e gli appelli contro la detenzione, anche da parte di donne in gravidanza. Uno status quo avvallato anche dall’Unione Europea che sta finanziando i nuovi centri di semi-detenzione in Grecia, luoghi chiusi e controllati dove i migranti vengono abbandonati a sé stessi e dimenticati. Tutto questo, la detenzione assunta come regola e non come eccezione, come non è solo contrario alle normative internazionali ed europee sulle migrazioni, ma implica anche un pesante costo morale ed economico”.

 “E’ necessario che la Grecia cambi approccio politico e prenda immediati provvedimenti legislativi che la riportino in linea con lo Stato di diritto. – continua Pezzati – I principali sono: porre fine alla detenzione prolungata nelle stazioni di polizia, evitare l’uso della detenzione senza che esista una decisione di un giudice e permettere la concreta possibilità di un sostegno legale alle persone straniere. E’ inoltre inaccettabile che le stazioni di polizia, centri di pre-allontanamento o espulsione e altri luoghi di detenzione amministrativa, siano diventati luoghi di detenzione anche per i bambini.  Questa pratica deve terminare quanto prima”.

 Voci dall’inferno delle carcerigreche

Le testimonianze raccolte nel rapporto, riportano le esperienze dirette di chi ha vissuto sulla propria pelle periodi di detenzione lunghi e durissimi senza nessun motivo.

 Detenuto perché non riusciva a presentare domanda d’asilo

Abdul (nome di fantasia) è un giovane afghano che dopo aver trascorso 2 anni in Grecia e aver tentato per più di tre mesi di presentare domanda di asilo, è stato arrestato per le mille difficoltà incontrate che gli hanno impedito di terminare la procedura.  “Sono qui da solo. È la prima volta che vengo arrestato e ho molta paura. – racconta – Ho bisogno di uscire di qui, di un mio spazio vitale, desidero solo che mi venga riconosciuta la possibilità di restare qui in modo legale”.

In fuga dalla Siria e richiuso per 9 mesi in cella

Omar (nome di fantasia), cittadino siriano è stato messo in detenzione al momento di presentare la richiesta di asilo. “Siamo stati rinchiusi in cella per 22 ore al giorno, senza poter fare telefonate, ricevere visite costretti a mangiare un cibo disgustoso.  – racconta – Spesso dovevamo pregare le guardie anche solo per andare in bagno e a volte non era nemmeno possibile”. 

Un ragazzo intrappolato dalla pandemia

Mohammed (nome di fantasia) era un ragazzo quando è arrivato in Grecia ed ha fatto subito domanda per ricongiungersi con la propria famiglia in un altro paese europeo. Stava per partire, ma il suo volo fu cancellato a causa della pandemia. In attesa della revoca delle restrizioni per il Covid-19, ha compiuto diciotto anni e perso la protezione riservata ai minori. Dopo un incidente, temendo per la sua sicurezza, ha chiamato la polizia, che invece di aiutarlo lo ha trattenuto in detenzione. Ci è rimasto per mesi perché l’ufficio per il ricongiungimento familiare non riusciva ad avere sue notizie a causa delle inefficienze amministrative greche. Lo stato di salute mentale di Mohammed è particolarmente grave. Ha tentato il suicidio ed è stato ricoverato in ospedale, ma poi le autorità – nonostante fosse ancora debole e provato – lo hanno rispedito in cella. Dopo otto mesi di detenzione e molti interventi da parte del Grc, gli è stato consentito di raggiungere la famiglia.

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 Negati farmaci salvavita a un richiedente asilo

Ad Amir-Ali (nome di fantasia), richiedente asilo iraniano, hanno negato i farmaci necessari per scongiurare il rigetto di un rene trapiantato, nonostante il parere del medico del centro di detenzione. Amir-Ali ha davvero temuto per la sua vita: dopo mesi di attesa oggi è fuori grazie a Grc e al difensore civico greco.

Sopravvissuta a violenza sessuale in Togo, ma detenuta a Kos

A Kos, le autorità mettono automaticamente in detenzione i richiedenti asilo se provengono da un paese con un tasso di riconoscimento delle domande di asilo inferiore al 33%. Gloria (nome di fantasia), per essere arrivata dal Togo, ha subito dunque questo trattamento, nonostante fosse ritenuta persona vulnerabile perché sopravvissuta a violenze sessuali e fisiche. Le autorità non le hanno offerto alcuna cura, le condizioni psicologiche sono peggiorate e anche Gloria ha tentato il suicidio. Dopo il ricovero in ospedale, di nuovo in un centro di detenzione dove è rimasta fino a quando il Grc non è riuscito a tirarla fuori.“Queste storie ci dicono quanto crudeli, scioccanti siano le condizioni di detenzione in Grecia. Le persone muoiono per malattie prevenibili, o si suicidano perché disperate. Tra i detenuti ci sono ragazzi e donne incinte. – conclude Pezzati – Tutti vivono un senso di abbandono e progressivamente perdono letteralmente la ragione. La detenzione non può essere la soluzione di default, la Grecia deve trovare alternative e smettere di punire migranti e richiedenti asilo che vogliono costruirsi una vita in Europa”.

La Grecia è firmataria della Convenzione europea sui rifugiati ed è quindi illegale rifiutarsi di accogliere una domanda d’asilo o rimpatriare dei richiedenti asilo in Paesi in cui corrono dei rischi. Secondo Eleni Takou, vicedirettore e responsabile della Ong HumanRights360, ogni giorno emergono testimonianze e vittime dei cosiddetti “push-back”, i respingimenti di migranti alla frontiera al di là del fiume Evros. 

Così stanno le cose. Storie di “pizzo”, di ricatti, di milioni di disperati utilizzati come “merce” di scambio – me li tengo se tu mi riempi di miliardi -. Storia di una Europa codarda, complice, ossessionata dalla falsa narrazione dell’”invasione” di migranti. Un’invasione che non c’è ma che i sovranisti agitano strumentalmente a fini elettorali e che le forze progressiste subiscono senza colpo ferire. Includere è un verbo inesistente nel vocabolario di Bruxelles. Mentre è presente, eccome, un imperativo categorico: esternalizzare. Esternalizzare le frontiere, a tutti i costi e ogni prezzo. Anche se questo vuol dire finanziare autocrati sanguinari, sultani, presidenti-generali, aguzzini in divisa. A Sud, l’Europa ha un unico interesse: sostenere i Gendarmi delle sue frontiere. Una complicità criminale.

Donne incinte e bambini detenuti nei campi

Al loro arrivo negli hotspot delle isole, i migranti – molti dei quali in condizione di particolare vulnerabilità, come bambini, donne incinta, disabili – vengono di fatto posti in stato di detenzione senza accesso alle necessarie cure e tutele. Il sistema rende poi incredibilmente difficile l’esame delle cause che spingono i richiedenti asilo a lasciare i propri paesi di origine, spesso attraversati da guerre e persecuzioni. Le testimonianze raccolte da Grc nel campo di Moria sono ancora una volta terribili. Rawan(nome di fantasia) arrivata dall’Afghanistan in Grecia da sola con due figli minorenni, vittima di violenza di genere, ha dovuto vivere sotto una tenda per 6 mesi in una zona del campo sovraffollata dove non ci sono nemmeno i bagni.  “La situazione nel campo era già spaventosa, ma con la pandemia è diventato peggio. Se il virus arriva qui – ci dicevamo – scaveranno una gigantesca fossa in cui seppellirci. Ci hanno dato due mascherine e un pezzo di sapone, di cui non sappiamo che farcene visto che non c’è acqua. Alla distribuzione dei pasti c’era talmente tanta gente che era impossibile mantenere la distanza”.

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Mesi e anni in cui si rimane intrappolati in condizioni disumane nei campi come Moria, con il bene placet dell’Unione europea; esposti a molestie e abusi, soprattutto se si è donne sole

I più indifesi tra gli indifesi

A pagarne il prezzo più alto sono i più indifesi tra gli indifesi: i bambini. La clinica pediatrica di Medici senza frontiere a Lesbo  conta più di 100 visite al giorno, tra cui bambini con gravi patologie cardiache, casi di epilessia, diabete. Soffrono di problemi respiratori, dermatologici, legati alla nutrizione e psicosomatici. Bambini “spaventati, esposti a situazioni pericolose e senza un posto sicuro dove stare – testimonia Marco Sandrone  già a  capo del progetto di Msf nell’isola. -. Si chiudono a guscio. Accogliamo genitori che ci dicono che i loro bambini non vogliono più uscire dalle tende, che hanno smesso di parlare. Oltre al trauma della guerra, della fuga, la sofferenza di vivere a Lesbo toglie ogni speranza ai nostri piccoli pazienti”. “Il diritto di essere bambini – dice il responsabile di Msf –  è qui fagocitato dalla miseria di un campo senza dignità, alle porte dell’Europa”. 

 “Ai rifugiati e ai richiedenti asilo va garantita l’assistenza e la protezione alla quale hanno diritto. I bambini in particolar modo, e tutte le persone vulnerabili, devono essere protetti ad ogni costo e non possono essere respinti ai confini come pedine in un gioco politico. Ora più che mai, i leader europei devono unire gli sforzi e convergere su meccanismi di responsabilità condivisa, aumentando i reinsediamenti e garantendo che gli aiuti umanitari possano raggiungere i più vulnerabili. I minori non accompagnati e le famiglie vulnerabili devono inoltre essere ricollocati con urgenza dalle isole greche ai Paesi dell’Ue e vanno accelerati i trasferimenti dei bambini che hanno diritto di ricongiungersi ai propri familiari in altri Paesi membri”, afferma Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children.

Gli Stati europei devono agire immediatamente per porre fine alle condizioni disumane in cui si trovano migliaia di bambini e adolescenti intrappolati sulle isole di approdo in Grecia, garantendo la loro accoglienza e protezione attraverso il ricollocamento, dando seguito all’appello del presidente del Parlamento europeo Sassoli sulla protezione dei minori più vulnerabili in condizioni di emergenza in Grecia. In una situazione che rischia di peggiorare ulteriormente di ora in ora, il richiamo alla responsabilità dei singoli stati del Presidente del Parlamento Europeo Sassoli non può rimanere inascoltato mettendo così a rischio la vita e il futuro di tanti minori”, incalza Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children. “Occorre immediatamente mettere in atto un meccanismo di responsabilità condivisa, che tuteli rifugiati e richiedenti asilo, anziché chiudersi in egoismi nazionali – prosegue Milano -. Anche di fronte alla grave emergenza umanitaria con migliaia di persone al confine di Edirne, dove secondo le stime il 40% sono donne e bambini, gli Stati europei non possono comportarsi come se la cosa non li riguardasse. Non si gioca con la vita dei bambini”. Save the Children ricorda che nelle isole greche “i bambini, vivono in condizioni disumane, dormendo anche all’aperto nei rigori invernali e sono esposti a rischi per la salute e a violenze e stanno  pagando un prezzo altissimo”.

E c’è ancora chi ha l’ardire di parlare di “tragici incidenti”?!

PS. A gestire quella “rotta della morte” sono trafficanti turchi, connazionale di quel Gendarme del Mediterraneo, il presidente della Turchia Recep Tayyp Erdogan, che l’Europa ha riempito di miliardi per esternalizzare le frontiere. Questi i risultati. 

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