La repressione di Al Sisi zittisce le voci libere con il carcere ma anche con le maxi-multe
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La repressione di Al Sisi zittisce le voci libere con il carcere ma anche con le maxi-multe

Se non è il carcere, sono le sanzioni pecuniarie. Cambiano gli strumenti repressivi ma l’obiettivo è sempre lo stesso: silenziare ogni voce libera.

La repressione di Al Sisi zittisce le voci libere con il carcere ma anche con le maxi-multe
Proteste contro Al Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Novembre 2021 - 18.04


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Se non è il carcere, sono le sanzioni pecuniarie. Cambiano gli strumenti repressivi ma l’obiettivo è sempre lo stesso: silenziare ogni voce libera. E’ l’Egitto di Abdel Fattah-al Sisi,

Niente detenzione, ma una multa di 10mila sterline egiziane (circa 564 euro) per aver “insultato l’autorità elettorale” è la sentenza comminata in Egitto al noto attivista per i diritti umani, Hossam Bahgat, direttore della Ong Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr), con cui collabora anche il giovane Patrick Zaky.

L’attivista era finito alla sbarra per un tweet di denuncia contro presunti brogli contro il presidente della commissione elettorale, durante le parlamentari del 2020. Rischiava fino a tre anni di carecere e 30 mila sterline egiziane di multa. Di fronte a quanto rischiava, commenta all’Agi Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, “si può tirare un sospiro di sollievo”. “Resta comunque il fatto che un esercizio del tutto legittimo della libertà d’espressione sia stato portato in tribunale e che il suo autore sia stato sanzionato”. Eipr è finita più volte nel mirino delle autorità negli ultimi anni: oltre a Bahgat, altri tre membri sono stati incarcerati nel 2020. Zaky è al ventiduesimo mese di detenzione e il 7 dicembre è prevista la prossima udienza del processo a suo carico per “diffusione di notizie false”. Patrick era stato arrestato in circostanze controverse il 7 febbraio del 2020ed è stato detenuto per quasi tutto il tempo a Torah, il famigerato carcere alla periferia sud del Cairo. La custodia cautelare in Egitto può durare due anni e dopo una prima fase di cinque mesi di rinnovi quindicinali ritardati dall’emergenza Covid il caso è stato a lungo in quella dei prolungamenti di 45 giorni. 

“Qualsiasi egiziano che ha pubblicato notizie, comunicazioni o indiscrezioni sulla situazione interna in modo tale da danneggiare lo Stato e gli interessi nazionali sarà condannato al carcere tra i 6 mesi e 5 anni e a una multa tra 100 a 500 sterline egiziane ai sensi dell’articolo 80 della legge”, avevano ricordato all’Ansa nel giugno scorso fonti giudiziarie riferendosi al caso di Patrick. A causa dell’inflazione altissima in Egitto soprattutto negli anni passati, ormai 100-500 sterline egiziane valgono tra 5 e 27 euro.

Repressione infinita

La comunità egiziana per i diritti umani sta soffrendo un “annientamento” da parte del governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi: più di 100 importanti organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo lanciano l’allarme in una lettera ai ministri degli Esteri dei Paesi membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.  

I gruppi hanno invitato i governi a guidare e sostenere la creazione di un meccanismo di monitoraggio e segnalazione sulla situazione dei diritti umani in continuo deterioramento in Egitto. L’istituzione di un meccanismo di monitoraggio e segnalazione rappresenterebbe un passo importante per incrementare la visibilità sulle violazioni e sui crimini commessi, fornire rimedi giuridici ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime, scoraggiare ulteriori abusi e stabilire sistemi per la definizione delle responsabilità.

“I governi del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite dovrebbero dichiarare al governo egiziano che gli abusi sono e saranno monitorati e segnalati e che gli egiziani che con coraggio affrontano l’oppressione quotidianamente non sono soli nella loro lotta”, afferma John Fisher, Direttore di Ginevra dell’Human Rights Watch.

Dieci anni dopo la rivolta nazionale egiziana del 2011 che ha destituito il presidente Hosni Mubarak, gli egiziani vivono sotto un governo repressivo che soffoca ogni forma di dissenso e di espressione pacifica. Le ultime settimane hanno dimostrato che l’azione collettiva è possibile e può avere un impatto. “Solo attraverso un’azione internazionale sostenuta e impegnata possiamo garantire la sopravvivenza del movimento egiziano per i diritti umani nel prossimo futuro”, scrivono i gruppi nella loro lettera.

Secondo i gruppi che hanno aderito alla lettera, la lotta per i diritti umani in Egitto è in “un momento critico”. L’inazione dei partner egiziani e degli Stati membri del Consiglio dei diritti umani ha incoraggiato il governo egiziano “nei suoi sforzi per mettere a tacere il dissenso e schiacciare la società civile indipendente”.

I recenti arresti e le indagini scioccanti condotti nei confronti di alti funzionari dell’Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) e il congelamento dei loro beni attraverso procedimenti di fronte al tribunale penale – in un vero e proprio circuito del terrore – rappresentano un “attacco aberrante e inaccettabile” contro una delle più importanti organizzazioni per i diritti umani nel paese, hanno detto i gruppi. Questi fatti dimostrano la determinazione del governo egiziano a intensificare i suoi attacchi continui, diffusi e sistematici contro i difensori dei diritti umani e lo spazio civico.

Dopo la destituzione dell’ex presidente Mohammed Morsi dal potere nel luglio 2013, le autorità egiziane hanno intrapreso una repressione sempre più brutale nei confronti dei difensori dei diritti umani e dei diritti civili e politici più in generale. Migliaia di egiziani, tra cui centinaia di difensori dei diritti umani, giornalisti, accademici, artisti e politici, sono stati detenuti arbitrariamente, spesso con accuse penali abusive o attraverso processi iniqui.

Le forze di sicurezza egiziane li hanno sistematicamente sottoposti a maltrattamenti e torture. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno avvertito che condizioni di detenzione catastrofiche hanno messo in pericolo la vita e la salute dei detenuti. Altri attivisti pacifici sono stati fatti sparire con la forza. Quello che è successo ad alcuni di loro non è mai stato rivelato.

“Il popolo egiziano ha vissuto in passato sotto governi dispotici, ma gli attuali livelli di repressione in Egitto non hanno precedenti nella sua storia moderna”, rimarca Bahey El-din Hassan, direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies. “Le conseguenze sono potenzialmente terribili sia per i diritti umani che per la stabilità del Paese”. Nell’agosto 2020 il signor Hassan è stato condannato a 15 anni di carcere in contumacia da un tribunale per terrorismo in relazione al suo lavoro di difesa dei diritti umani nel paese.

In un contesto così severamente repressivo, molte organizzazioni per i diritti umani sono state costrette a chiudere, ridimensionare le loro operazioni, operare dall’estero o lavorare sotto il costante rischio di arresti e molestie.

Il governo in genere invoca l’”antiterrorismo” per giustificare questi abusi e per criminalizzare la libertà di associazione e di espressione. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno messo in guardia dall’uso da parte dell’Egitto di “circuiti terroristici” dei tribunali penali per prendere di mira i difensori dei diritti umani, mettere a tacere il dissenso e rinchiudere gli attivisti durante la pandemia Covid-19.

Di fronte a questi ripetuti avvertimenti, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha la responsabilità di agire e garantire un solido monitoraggio e controllo internazionale sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, hanno affermato i gruppi.

“La sopravvivenza del movimento per i diritti umani in conflitto in Egitto è in gioco”, avverte Kevin Whelan, rappresentante di Amnesty International alle Nazioni Unite a Ginevra. “I membri della comunità internazionale hanno la responsabilità di sostenere gli sforzi per istituire un meccanismo di monitoraggio e segnalazione presso il Consiglio dei diritti umani sulla situazione in Egitto, dando il chiaro segnale che il disprezzo dell’Egitto per i diritti umani non sarà più ignorato e tollerato”.

Più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).   Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi. 

I diritti secondo il “faraone”

Sostiene al-Sisi, presidente-carceriere d’Egitto, che voler imporre all’Egitto una tutela dei diritti umani considerata valida in altri Paesi, accelerando i tempi rispetto alle esigenze di sviluppo economico-sociale, è un “approccio dittatoriale”. Il capo di Stato egiziano ha fatto la dichiarazione parlando alla cerimonia per il varo della prima “Strategia nazionale per i diritti umani” egiziana, svoltasi nella nuova capitale amministrativa che sta sorgendo a est del Cairo. 

Notando che ad assistere all’evento c’erano “stranieri” (tra cui molti ambasciatori), Sisi ha ricordato che “ognuno crede di essere migliore degli altri a livello di capacità intellettuali o culturali e vuole imporlo ad altre società”.

Rivolgendosi a “quelli che la pensano così”, il presidente egiziano ha detto: “Per favore tenete a mente che questo potrebbe essere un approccio dittatoriale”. 
“Potete applicarlo e considerarlo il massimo per le vostre società, ma non per le nostre”, ha aggiunto Sisi. “Perché volete imporcelo? Perché non volete che le nostre società seguano il loro processo naturale di sviluppo e si prendano il loro tempo?”, ha insistito durante una tavola rotonda.

Nel presentare la strategia nazionale, il Rappresentante permanente dell’Egitto alle Nazioni unite a Ginevra, Ahmed Gamal El-Din, ha elencato come diritti umani da tutelare quelli alla salute, istruzione, lavoro, sicurezza sociale, cibo, acqua potabile, casa, identità culturali e religiose (donne, bambini, disabili e anziani saranno particolari obbiettivi della tutela). 
Questa “visione egiziana per i diritti umani” da attuare nel quinquennio 2021-2026 “è basata su pilastri fondamentali” tra cui “lo stretto legame fra democrazia e diritti umani” e il “bilanciamento” fra “diritti individuali” e “sociali” (fra gli altri anche “i servizi sanitari” sono “un diritto”), ha detto Sisi in un discorso tenuto in una sala congressi. 
“Questa è la prima strategia nazionale prodotta da un’autonoma filosofia egiziana che è basata sulla società”, ha sottolineato il presidente il quale ha sostenuto che “lo Stato egiziano afferma il proprio impegno a promuovere e proteggere il diritto all’integrità fisica, libertà personale, esercizio dei diritti politici, libertà di espressione” e altro. 
Sisi – intervenendo alla tavola rotonda – ha ammesso che il varo della strategia nazionale “non è altro che un passo iniziale di migliaia di passi verso un moderno Stato democratico che rispetta e promuove i diritti umani del suo popolo”.

Roma, c’è un problema

Cosa sia la “giustizia” nel regno del presidente-carceriere, Globalist lo ha raccontato con decine di articoli e interviste. Il problema non è al Cairo. Il problema è a Roma. Perché solo un Paese senza spina dorsale avrebbe potuto accettare la sequela infinita di provocazioni, schiaffi in faccia, umiliazioni a getto continuo ricevute dal regime egiziano. L’Italia questa schiena dritta ha dimostrato di non averla. Non l’ha il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e, spiace dirlo, non l’ha neanche il presidente del Consiglio, Mario Draghi. All’Egitto che fa sfregio di legalità, nel caso Zaky e in quello Regeni, l’Italia ha risposto con una versione miserabile di realpolitik. All’Egitto abbiamo concesso tutto e di più: invece di sanzionarlo, gli abbiamo venduto pure le fregate. Un cedimento continuo. Non abbiamo neanche avuto il coraggio di fare il minimo sindacale: richiamare il nostro ambasciatore al Cairo. Proni, succubi, ambigui, ipocritamente realisti, doppiogiochisti. Così l’Italia si è mostrata nella vicenda Zaky come in quella Regeni. E il titolare della Farnesina ha anche l’ardire di rivendicare un ruolo di primo piano dell’Italia nel Mediterraneo. La linea rossa della spudoratezza è stata ampiamente superata. In questo facciamo a gara con la Francia.  

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