Chissà se nell’enfatizzato vertice di Roma tra Mario Draghi ed Emanuel Macron è stato mai pronunciato il nome di Giulio Regeni. O se si è parlato della corsa tra Roma e Parigi a chi vende più armi al regime egiziano che quelle armi le usa per reprimere la protesta popolare o per acquisire spazi di manovra e di potere in Libia. O all’assoluta marginalità dei diritti umani nell’agenda italo-francese. Ne dubitiamo fortemente. Tanto più alla luce delle rivelazioni contenute negli Egypt Papers.
Verità scomode
Scrivono Giliano Foschini e Anois Ginori su Repubblica: «L’affaire Regeni è stato un abuso, interpretato da alcuni come il risultato di una rivalità tra il Mid, il dipartimento di Intelligence militare e la National security». C’è un cablo dell’ambasciata francese datato 30 ottobre del 2017 che mette nero su bianco quello che tutti immaginavano ma che, fino a questo momento, nessuno era stato in grado di provare: e cioè che sin dal principio le diplomazie dei grandi paesi europei non avevano alcun dubbio sul fatto che il ricercatore italiano Giulio Regeni fosse stato sequestrato, torturato e ucciso da uomini del governo di Al Sisi. E che i silenzi, e i tentativi di portare le indagini altrove perpetrati dal governo egiziano altro non erano che tentativi maldestri di depistare. Ciò nonostante tutti i Paesi, a partire dalla Francia, hanno continuato ad avere rapporti politici e d’affari con l’Egitto di Sisi. Come se Giulio Regeni non fosse mai esistito. Questa rivelazione è una delle tante contenute negli Egypt Papers, i documenti riservati che in queste ore sta pubblicando il sito investigativo francese Disclose, che ha lanciato un’inchiesta sui rapporti segreti tra Parigi e il regime di Al Sisi. A partire dalla vendita da parte di tre aziende francesi di alcuni software che hanno permesso di intercettare miliardi di comunicazioni telefoniche e internet, localizzando le posizioni degli utenti: un sistema di sorveglianza di massa che il Cairo avrebbe sfruttato per arrestare migliaia di oppositori politici e dissidenti. Il software è stato utilizzato proprio nel momento in cui Giulio Regeni era al Cairo. E che – come hanno accertato incontrovertibilmente le indagini della procura di Roma – fosse spiato illegittimamente dalla National security, il servizio segreto civile egiziano. Prima di essere rapito il 25 gennaio del 2016. E poi ucciso, dopo dieci giorni di torture subite, secondo quanto sostengono i pm italiani, nelle celle di sicurezza che si trovavano all’interno del ministero degli Interni.
Dai cablo diplomatici emersi dall’inchiesta di Disclose – e che Repubblica è in grado di rivelare – emergono ora due circostanze: che la Francia dava per certa da subito nell’affaire Regeni la responsabilità diretta della sicurezza nazionale che «gioca un ruolo nella politica repressiva del regime». «Un servizio di intelligence estremamente opaco – veniva definito – che beneficia di una rete di informatori estremamente densa e che utilizza queste informazione come strumento di pressione». Esattamente quello che è accaduto con Giulio che fu “tradito” da un ambulante che aveva contattato per la sua ricerca universitaria che lo vendette agli apparati di sicurezza egiziani, per quello che invece non era: una spia. Ma c’è di più. Negli stessi cablo emerge come il presidente francese Emmanuel Macron abbia parlato sì con l’Egitto in alcuni casi di diritti umani, sollevando per esempio (senza fortuna) il caso di 15 dissidenti. Ma nel documento non si fa mai cenno all’omicidio Regeni nonostante nel marzo del 2016 il Parlamento europeo avesse approvato una risoluzione durissima sulla vicenda.
D’altronde che la Francia giocasse una partita propria è chiaro anche da altri elementi: secondo i cablo Macron propone ad Al Sisi un lavoro operativo e di intelligence comune con Haftar, mentre l’Italia era con il governo di Tripoli, unico riconosciuto dall’Onu..”. Fin qui le rivelazioni di Disclose rilanciate da Repubblica.
Le armi francesi in Egitto
Per Parigi, l’Egitto è un partner centrale nei difficili equilibri nella regione. Tra il 2013 e il 2017, secondo Amnesty, la Francia è diventata il principale fornitore di armi del Paese: “Solo nel 2017 ha venduto più di1,4 miliardi di euro di attrezzature militarie di sicurezza”, tra cui anche tecnologie di sorveglianza usate contro gli oppositori. Amnesty ricorda le “informazioni credibili sull’uso delle armi francesi nella repressione violenta delle manifestazioni” e “delle operazioni di antiterrorismo nel Sinai, tra cui esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e arresti arbitrari”.
Annota Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:” Un rapporto di Amnesty International mette in evidenza il ruolo della Francia, sostenendo che veicoli blindati forniti da Parigi sono stati usati con esiti mortali dalle forze di sicurezza egiziane per disperdere ripetutamente e violentemente le proteste e stroncare il dissenso. Tra il 2012 e il 2016 la Francia ha fornito all’Egitto più armi di quante gliene aveva inviate nei 20 anni precedenti. Nel 2017 ha trasferito al paese nordafricano forniture militari e di sicurezza per un valore di oltre un miliardo e 400.000 euro. Il 14 agosto 2013 blindati Sherpa forniti dalla Francia vennero usati dalle forze di sicurezza egiziane per i sopra citati massacri delle piazze cairote..”.
Il rapporto, intitolato “Egitto: come le armi francesi sono state usate per stroncare il dissenso”, si basa su oltre 20 ore di immagini open source, centinaia di fotografie e 450 gigabyte di ulteriore materiale audiovisivo fornito da organi d’informazione e gruppi per i diritti umani egiziani. La chiara conclusione è che veicoli Sherpa e Mids sono stati usati durante alcuni dei peggiori episodi di repressione interna da parte delle forze di sicurezza egiziane.
“Che la Francia abbia continuato a inviare all’Egitto forniture militari dopo che erano state usate in uno dei peggiori attacchi contro i manifestanti del XXI secolo, è un fatto agghiacciante”, rimarca Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International.
“Il fatto che questi trasferimenti siano stati effettuati e ancora proseguano sebbene le autorità egiziane non abbiano intrapreso alcuna azione per accertare le responsabilità e per porre fine al loro sistema di violazioni dei diritti umani, rischia di rendere la Francia complice nell’attuale crisi dei diritti umani in Egitto”, ha continuato Bounaim.
“Abbiamo fatto presente più volte alle autorità di Parigi l’abuso fatto delle forniture militari e abbiamo ripetutamente chiesto di chiarire completamente l’ammontare e la natura di questi trasferimenti, così come chi fosse l’utilizzatore finale. Finora il governo francese non ha dato risposte adeguate”, conclude Bounaim.
Le autorità francesi hanno dichiarato ad Amnesty International di aver autorizzato forniture all’esercito egiziano destinate solamente alla “lotta al terrorismo” in Sinai e non a operazioni di ordine pubblico.
Tuttavia, nelle immagini e nei filmati analizzati da Amnesty International, le insegne delle Forze operative speciali del ministero dell’Interno e delle Forze centrali di sicurezza appaiono sulla carrozzeria dei blindati forniti dalla Francia. La parola “Polizia”, a sua volta, si vede benissimo sulle targhe dei veicoli impiegati per il mantenimento dell’ordine pubblico nella capitale egiziana.
Repressione infinita
La comunità egiziana per i diritti umani sta soffrendo un “annientamento” da parte del governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi: più di 100 importanti organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo lhanno lanciato l’allarme in una lettera ai ministri degli Esteri dei Paesi membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
I gruppi hanno invitato i governi a guidare e sostenere la creazione di un meccanismo di monitoraggio e segnalazione sulla situazione dei diritti umani in continuo deterioramento in Egitto. L’istituzione di un meccanismo di monitoraggio e segnalazione rappresenterebbe un passo importante per incrementare la visibilità sulle violazioni e sui crimini commessi, fornire rimedi giuridici ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime, scoraggiare ulteriori abusi e stabilire sistemi per la definizione delle responsabilità.
“I governi del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite dovrebbero dichiarare al governo egiziano che gli abusi sono e saranno monitorati e segnalati e che gli egiziani che con coraggio affrontano l’oppressione quotidianamente non sono soli nella loro lotta”, afferma John Fisher, Direttore di Ginevra dell’Human Rights Watch.
Dieci anni dopo la rivolta nazionale egiziana del 2011 che ha destituito il presidente Hosni Mubarak, gli egiziani vivono sotto un governo repressivo che soffoca ogni forma di dissenso e di espressione pacifica. Le ultime settimane hanno dimostrato che l’azione collettiva è possibile e può avere un impatto. “Solo attraverso un’azione internazionale sostenuta e impegnata possiamo garantire la sopravvivenza del movimento egiziano per i diritti umani nel prossimo futuro”, scrivono i gruppi nella loro lettera.
Secondo i gruppi che hanno aderito alla lettera, la lotta per i diritti umani in Egitto è in “un momento critico”. L’inazione dei partner egiziani e degli Stati membri del Consiglio dei diritti umani ha incoraggiato il governo egiziano “nei suoi sforzi per mettere a tacere il dissenso e schiacciare la società civile indipendente”.
I recenti arresti e le indagini scioccanti condotti nei confronti di alti funzionari dell’Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) e il congelamento dei loro beni attraverso procedimenti di fronte al tribunale penale – in un vero e proprio circuito del terrore – rappresentano un “attacco aberrante e inaccettabile” contro una delle più importanti organizzazioni per i diritti umani nel paese, hanno detto i gruppi. Questi fatti dimostrano la determinazione del governo egiziano a intensificare i suoi attacchi continui, diffusi e sistematici contro i difensori dei diritti umani e lo spazio civico.
Dopo la destituzione dell’ex presidente Mohammed Morsi dal potere nel luglio 2013, le autorità egiziane hanno intrapreso una repressione sempre più brutale nei confronti dei difensori dei diritti umani e dei diritti civili e politici più in generale. Migliaia di egiziani, tra cui centinaia di difensori dei diritti umani, giornalisti, accademici, artisti e politici, sono stati detenuti arbitrariamente, spesso con accuse penali abusive o attraverso processi iniqui.
Le forze di sicurezza egiziane li hanno sistematicamente sottoposti a maltrattamenti e torture. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno avvertito che condizioni di detenzione catastrofiche hanno messo in pericolo la vita e la salute dei detenuti. Altri attivisti pacifici sono stati fatti sparire con la forza. Quello che è successo ad alcuni di loro non è mai stato rivelato.
“Il popolo egiziano ha vissuto in passato sotto governi dispotici, ma gli attuali livelli di repressione in Egitto non hanno precedenti nella sua storia moderna”, rimarca Bahey El-din Hassan, direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies. “Le conseguenze sono potenzialmente terribili sia per i diritti umani che per la stabilità del Paese”. Nell’agosto 2020 il signor Hassan è stato condannato a 15 anni di carcere in contumacia da un tribunale per terrorismo in relazione al suo lavoro di difesa dei diritti umani nel Paese.
In un contesto così severamente repressivo, molte organizzazioni per i diritti umani sono state costrette a chiudere, ridimensionare le loro operazioni, operare dall’estero o lavorare sotto il costante rischio di arresti e molestie.
Il governo in genere invoca l’”antiterrorismo” per giustificare questi abusi e per criminalizzare la libertà di associazione e di espressione. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno messo in guardia dall’uso da parte dell’Egitto di “circuiti terroristici” dei tribunali penali per prendere di mira i difensori dei diritti umani, mettere a tacere il dissenso e rinchiudere gli attivisti durante la pandemia Covid-19.
Un funzionario francese ha ammesso ad Amnesty International che mentre le forniture di sicurezza all’Egitto erano destinate all’esercito, le autorità egiziane hanno trasferito alcuni veicoli blindati alle forze di sicurezza.
Desaparecidos
Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia, oltre 35mila, ed è una cifra in difetto. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni). Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre 60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato.
E a questo regime di polizia la Francia ha venduto armi e sistemi di spionaggio. Giulio Regeni ne è stato vittima. Presidente Draghi se lo ricordi la prossima volta, prima di stringere la mano al presidente dei fratelli-coltelli francesi.