La messa fuorilegge di 6 Ong palestinesi da parte d’Israele è parte di quel regime di apartheid instaurato de facto dalla potenza occupante in Cisgiordania. Una politica che nega non solo i più elementari diritti umani ma che fa spregio del Diritto internazionale, delle Risoluzioni Onu sulla Palestina e della stessa Convenzione di Ginevra sulla guerra.
L’Italia batta un colpo.
La coalizione italiana AssisiPaceGiusta, che rappresenta un ampio arco di associazioni, reti e sindacati della società civile italiana, il cui obiettivo è il riconoscimento dello stato di Palestina, come pre-condizione per la costruzione della pace giusta tra le due comunità ed impegnata per la difesa dei diritti umani, contro ogni forma di violenza, guerra e terrorismo, esprime forte preoccupazione ed allarme per la recente decisione del Ministero della Difesa israeliano Benny Gantz, successivamente ratificata dal Comando militare israeliano in forza in Cisgiordania, di designare come “terroriste”, sei organizzazioni della società civile palestinese:
Addameer, che sostiene i diritti dei prigionieri politici palestinesi
Al-Haq, membro della Federazione Internazionale per i Diritti Umani
Defense for Children International – Palestine, che promuove e difende i diritti dei minori palestinesi
Uawc, Unione dei Comitati dei lavoratori agricoli
Upwc, Unione dei Comitati delle donne palestinesi
Bisan, Centro indipendente per la ricerca e lo sviluppo
Nonostante sia noto che queste sei organizzazioni da decenni sono impegnate ad altissimi livelli nella promozione dei diritti umani e la cui reputazione e stima è comprovata da numerosi riconoscimenti internazionali, incluso l’accesso diretto che è garantito ad alcune di loro agli organi delle Nazioni Unite in virtù dello stato consultivo speciale presso l’Ecosoc, e dalla cooperazione diretta anche con agenzie di cooperazione europee ed internazionali, tra cui programmi di cooperazione dell’Unione Europea e dei suoi stati membri. Il grave provvedimento preso, si basa sulla legge israeliana contro il terrorismo adottata nel 2016, con la quale vengono dati al Ministero della Difesa ampi poteri riguardo all’adozione di misure amministrative, con gravi ripercussioni di natura penale, come l’arresto del personale, la chiusura delle sedi e la confisca dei beni a persone ed organizzazioni con sede in Israele, e sulla competenza del comando militare israeliano per quanto riguarda le organizzazioni palestinesi con sede in Cisgiordania, in quanto territorio occupato.
Ribadendo la condanna di ogni atto di terrorismo e di violenza, da qualsiasi parte ciò avvenga, rifiutiamo la criminalizzazione della società civile e delle organizzazioni che denunciano le violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani in modo pacifico e nonviolento. Per queste ragioni è fondamentale che le accuse, contro le sei Ong palestinesi, mosse dal Ministero della Difesa israeliano e successivamente ratificate dal Comando militare israeliano in forza nei territori palestinesi occupati, siano motivate con prove ed evidenze tali da consentire il diritto di difesa ed il giusto processo, come previsto dalle norme internazionali, cosa che invece, a tutt’oggi, non è avvenuto.
Purtroppo, le modalità con cui sono state prese queste gravissime decisioni sono parte di una lunga campagna diffamatoria, denigratoria, di delegittimazione e intimidazione che il governo israeliano da anni sta portando avanti, contro le organizzazioni della società civile palestinese ed israeliana impegnate nella difesa e promozione dei diritti umani e della convivenza tra le due comunità. Una minaccia incombente sui difensori per i diritti umani che produce un danno significativo e concreto per la popolazione civile, in particolare donne e minori, che si vengono privati di uno dei pochi strumenti di protezione contro le violazioni commesse da entità sia israeliane che palestinesi.
Come denunciato in diverse sedi internazionali, questo agire, fuori dalla sfera dello stato di diritto e dalla chiara natura persecutoria è di dubbia legittimità, poiché tende a criminalizzare, fino a mettere fuori legge, chi difende i diritti umani, chi è impegnato per costruire pace e convivenza tra le due comunità, chi riconosce il diritto dei Palestinesi ad avere un loro Stato al fianco dello Stato d’Israele, con l’accusa di agire contro la sicurezza d’Israele e di essere organizzazioni terroriste.
Per queste ragioni, esprimiamo il nostro sostegno all’interrogazione parlamentare presentata da un gruppo di parlamentari, capofila l’On. Boldrini, e chiediamo alle istituzioni italiane di non riconoscere la decisione del governo d’Israele contro le sei Ong palestinesi in attesa che sia presentato un atto d’accusa documentato e siano garantiti l’esercizio di difesa ed il giusto processo nel rispetto di quanto previsto dal diritto internazionale, in assenza del quale si deve esigere il ritiro di tale decisione che ancora una volta pone ostacoli alla costruzione della pace giusta e della convivenza tra le due comunità.
I firmatari danno conto di un mondo solidale ricco di idealità, di determinazione. Un mondo plurale nelle sue radici culturali ma unito da un principio superiore: la difesa degli oppressi.
Cgil; Cisl; Uil; Acli; Anpi; Arci; Agesci; Legambiente; Fondazione Giorgio La Pira; XxIii Giovanni XXIII; Fondazione Lelio e Lisli Basso; Libera; Pro Civitate Christiana; Rete Italiana Pace e Disarmo; Centro internazionale studenti Giorgio La Pira Firenze; Paxchristi; Piattaforma Ong italiane Mediterraneo e Medio Oriente.
“Un atto caratteristico dei regimi totalitari”
Human Rights Watch e Amnesty International, che lavorano a stretto contatto con la maggior parte di questi gruppi, hanno emesso questa dichiarazione congiunta:
“Questa sorprendente e ingiusta decisione è un attacco del governo israeliano al movimento internazionale per i diritti umani. Da decenni, Israele cerca costantemente di impedire il monitoraggio sulle violazioni dei diritti umani e punisce chi critica le sue leggi repressive contro i palestinesi. Il nostro personale e le nostre organizzazioni hanno subito espulsioni e divieti di viaggio ma sono i difensori dei diritti umani palestinesi a sopportare il peso maggiore della repressione. Il decreto del 19 ottobre rappresenta un’allarmante escalation che minaccia di mettere il bavaglio ai più importanti gruppi della società civile palestinese. Decenni di mancate prese di posizione della comunità internazionale hanno incoraggiato le autorità israeliane ad agire in questo modo. Da come reagirà a questo decreto, si capirà se e come la comunità internazionale vorrà proteggere i difensori dei diritti umani. Siamo orgogliosi di lavorare da decenni con i nostri partner palestinesi che rappresentano il meglio della società civile globale. Stiamo dalla loro parte contro questa oltraggiosa decisione”.
“Per decenni – rimarcano AI e Hrw – le autorità israeliane hanno cercato sistematicamente di mettere a tacere chi vigila sui i diritti umani e di punire chi critica il suo dominio repressivo sui palestinesi. Mentre il personale delle nostre organizzazioni ha affrontato espulsioni e divieti di viaggio, i difensori dei diritti umani palestinesi hanno sempre sopportato il peso maggiore della repressione. Questa decisione è un’escalation allarmante che minaccia di chiudere il lavoro delle più importanti organizzazioni della società civile palestinese. Il fallimento decennale della comunità internazionale nel contestare le gravi violazioni dei diritti umani israeliane e imporre sanzioni significative ha incoraggiato le autorità israeliane ad agire in questo modo sfacciato”.
Le due Ong internazionali hanno poi espresso il loro orgoglio di lavorare con le organizzazioni della società civile palestinese, dicendo: “siamo al loro fianco nello sfidare questa decisione oltraggiosa”.
Il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, che è stato anch’esso più volte preso di mira dal governo israeliano per il suo lavoro, ha definito la decisione “un atto caratteristico dei regimi totalitari, con il chiaro scopo di chiudere queste organizzazioni”.
“B’Tselem è solidale con i nostri colleghi palestinesi, è orgoglioso del nostro lavoro congiunto nel corso degli anni ed è risoluto a continuare così”, ha affermato il gruppo.
Anni di attacchi
“Israele – sottolinea Yumna Patel in un report per Mondoweiss – ha una lunga storia nel prendere di mira le organizzazioni della società civile palestinese ritenendole organizzazioni “terroristiche”. Nel 2019, Al-Haq è stato uno dei numerosi gruppi presi di mira in una campagna diffamatoria dall’allora ministro israeliano per gli affari strategici Gilad Erdan, che accusava i gruppi di ‘terrorismo’.
L’anno prima, Erdan aveva invitato l’Unione Europea e gli Stati europei a interrompere il loro sostegno finanziario e i finanziamenti ad Al-Haq e a una serie di altre istituzioni per i diritti umani che “hanno legami con il terrorismo e promuovono il boicottaggio contro Israele”.
La protesta
Di seguito la lettera che J-Link, la rete che unisce le organizzazioni progressiste dell’ebraismo europeo e mondiale, ha recentemente inviato a Gantz, di cui Globalist ha preso visione:
“Gentile Ministro Benny Gantz,
J-Link, una rete internazionale di organizzazione ebraiche progressiste, si rivolse a Lei in qualità di Presidente della Knesset nel maggio 2020 al fine di manifestare la ferma opposizione ai piani di annessione di parti della Cisgiordania. Tali piani sono stati annullati. Siamo orgogliosi di avere concorso per parte nostra a tale esito.
Analogamente, siamo ora sorpresi dal fatto che importanti organizzazioni della società civile palestinese siano dichiarate terroristiche, in assenza di un processo aperto ed equo. Ci affianchiamo alla protesta manifestata da molte Ong israeliane che condannano un tale atto in quanto ‘misura draconiana che criminalizza un importante lavoro nel campo dei diritti umani’. Una decisione del genere non distingue fra coloro che usano violenza contro lo stato e il popolo di Israele da un lato e quelle organizzazioni dall’altro che difendono i diritti umani nei territori palestinesi occupati.
Membri dello stesso governo israeliano hanno espresso sconcerto, apprensione e dubbi circa la legittimità e razionalità di una tale misura.
Il momento dell’annuncio coincide inoltre con l’aumento allarmante di violenze da parte dei coloni e dall’incapacità evidente dell’esercito israeliano di proteggere i civili palestinesi. La preoccupazione di J-Link è che tali azioni mettano in pericolo lo status internazionale di Israele e compromettano le prospettive di pace.
J-Link e le organizzazioni ebraiche progressiste che ne fanno parte Le chiedono di revocare tale decisione o di fornire una prova pubblica e credibile delle imputazioni
Il Comitato di coordinamento di J-Link
Kenneth Bob (Ameinu, USA); Giorgio Gomel (Jcall Europa, Italia); Barbara Landau (JSpaceCanada); Alon Liel (PWG, Israele); Pablo Lumerman (J-Amlat, Argentina); Gabriella Saven (JDI, Sud Africa)”.
E alla fine…torniamo all’inizio. Le organizzazioni del mondo solidale italiano hanno lanciato un appello al Governo, al Parlamento, alle forze politiche. Perché prendano posizione su un atto, l’ennesimo, arbitrario imposto da Israele. Domanda finale: Ministro di Maio, non ha niente da dire in proposito?
E’ vero che in politica la memoria è labile e le conversioni sono all’ordine del giorno. Lei un tempo, quando era a capo dell’opposizione pentastellata, usò parole durissime per stigmatizzare la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati. Ora, non le chiediamo di essere un ministro con la kefyah, ma neanche con la kippah…E, per favore, ci risparmi lo stanco mantra dell’essere a favore della soluzione a due Stati. Sa bene che la colonizzazione ebraica della Cisgiordania, con annessa pulizia etnica della popolazione araba di Gerusalemme Est, ha di fatto cancellato questa prospettiva negoziale. E allora mostri la schiena diritta, e si faccia promotore di un atto simbolico, certo, ma di grandissimo valore politico: il riconoscimento unilaterale da parte dell’Italia dello Stato indipendente di Palestina sui territori pre Guerra dei Sei giorni. Un atto di giustizia. Un atto di pace. Ma di una pace vera, giusta, tra pari. Le costerebbe così tanto?