L’orrore della guerra è racchiuso in quegli occhi perduti nel vuoto di un’infanzia negata. In quel mitra più grande di lui. O di lei. Sono i bambini-soldato.
A dar conto di una tragedia dimenticata è Henrietta Fore, Direttore Generale dell’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia. Questa è la sua dichiarazione tratta dal Dibattito di apertura del Consiglio di Sicurezza su Bambini e conflitti armati
Orrore e morte
“La pandemia da Covid-19 è stata devastante per i bambini di tutto il mondo, ma soprattutto per i bambini che vivono gli orrori dei conflitti. I bambini intrappolati in queste emergenze hanno pagato un prezzo molto alto.
Secondo l’ultimo Rapporto annuale del Segretario Generale dell’Onu su minorenni e conflitti armati, nel 2020 le Nazioni Unite hanno verificato gravi violazioni contro più di 19.000 bambini in situazioni di emergenza umanitaria, molti dei quali hanno subito più di una violazione dei loro diritti. Migliaia di bambini sono stati uccisi o mutilati, reclutati e utilizzati nei combattimenti, rapiti, vittime di abusi sessuali e sfruttati. In media, negli ultimi cinque anni, le Nazioni Unite hanno verificato che ogni giorno almeno 70 bambini hanno subito gravi violazioni dei loro diritti. I numeri reali sono molto più alti. Ogni ulteriore caso si aggiunge alle oltre 250.000 violazioni registrate dall’inizio del meccanismo di monitoraggio.
Per i bambini che vivono nei 21 conflitti indicati nel rapporto, le sfide della vita quotidiana con il Covid-19 vengono amplificate: chiusura delle scuole, aumento dei rischi di violenza e abusi durante i periodi di chiusura, impatti sulla salute mentale e la separazione dai loro amici e coetanei, meccanismi di risposta negativi come i matrimoni precoci e lavoro minorile. Il tutto sullo sfondo di conflitti prolungati e di una crisi socio-economica globale che minaccia di far retrocedere decenni di progresso e di aumentare il rischio di reclutamento e utilizzo dei bambini.
Speravamo che le parti in conflitto avrebbero spostato la loro attenzione dal combattimento l’una contro l’altra, alla lotta contro il virus. Ecco perché l’Unicef si è unito al Segretario Generale nel chiedere un cessate il fuoco globale.
Purtroppo, come dimostra questo rapporto annuale, questo appello è rimasto inascoltato. Le parti in conflitto non hanno deposto le armi. Non hanno smesso di combattere. Non hanno permesso un livello sufficiente di accesso umanitario in modo che le nostre agenzie e i nostri partner possano raggiungere questi bambini in difficoltà. E le chiusure e i limiti agli spostamenti hanno reso ancora più difficile il già complesso lavoro di sostegno a questi bambini.
Mentre le nostre agenzie stanno facendo tutto il possibile per prevenire queste violazioni e proteggere i bambini, chiediamo agli stati e a tutte le parti in conflitto di evitare l’uso di armi esplosive nelle aree popolate. L’anno scorso, le armi esplosive e i residuati bellici sono stati responsabili di quasi la metà delle vittime accertate tra i bambini. Sono state usate per attaccare scuole, ospedali e strutture idriche e igieniche. Tutti sistemi vitali da cui le persone dipendono. Tutti vitali per prevenire epidemie, fame e malattie, e particolarmente importanti per i bambini. E sono un enorme motore di sfollamento – causando la fuga di bambini e famiglie dalle loro case a causa del pericolo costante.
Chiediamo inoltre agli Stati membri di investire nelle donne e nelle ragazze e di prevenire la violenza di genere nei conflitti.
Il rapporto del Segretario Generale mostra un aumento sconcertante dei casi verificati di stupro, violenza sessuale e rapimento. Le ragazze non sono state solo le vittime di un quarto di tutte le violazioni – hanno rappresentato il 98% delle vittime di stupro e violenza sessuale. Mentre le nostre organizzazioni stanno facendo tutto il possibile per prevenire e rispondere a queste orribili violazioni contro le ragazze, abbiamo bisogno che gli Stati membri intraprendano tutte le azioni possibili, compreso un aumento considerevole degli investimenti nelle capacità di chi risponde in prima linea – specialmente le donne e le organizzazioni guidate dalle ragazze. Chiediamo anche agli Stati membri di aiutarci ad aumentare la capacità di protezione dei bambini a tutti i livelli. I conflitti sono più lunghi, sono sempre più complessi e gli impatti su bambini e giovani continuano a devastare il futuro.
Ogni violazione contro i bambini – segnalata o non segnalata – rappresenta una macchia sulla nostra umanità. E sulla nostra capacità, a livello mondiale, di adempiere a una funzione fondamentale: proteggere e prendersi cura delle persone più giovani e vulnerabili del nostro mondo. E di eguagliare il loro coraggio e la loro resilienza con i nostri maggiori sforzi.
I bambini e i giovani non sono responsabili dei conflitti. Eppure, portano le cicatrici più profonde. Pagano il prezzo più alto. Attraverso un’azione politica decisiva e maggiori investimenti negli eroi umanitari che sostengono queste giovani vite nel mezzo di violenza e guerre, possiamo iniziare a ribaltare la situazione – attraverso e oltre la pandemia da Covid-19”.
Le Nazioni Unite hanno verificato 26.425 gravi violazioni, di cui 23.946 commesse nel 2020 e 2.479 commesse in precedenza ma verificate solo nel 2020.
Le violazioni più numerose sono state: il reclutamento e l’uso di 8.521 bambini, seguiti da 8.422 bambini uccisi (2.674) e mutilati (5.748) e da 4.156 casi di negazione dell’accesso umanitario. 3.243 bambini sono stati detenuti per associazione con gruppi armati reale o presunta, compresi quelli designati come gruppi terroristici dalle Nazioni Unite, o per motivi di sicurezza nazionale.
Il maggior numero di gravi violazioni è stato verificato in Afghanistan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, in Siria e nello Yemen.
Sono 18 i Paesi nei quali, dal 2016 ad oggi, è stato documentato l’impiego di bambini soldato in conflitti armati: Afghanistan, Camerun, Colombia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, India, Iraq, Mali, Myanmar, Nigeria, Libia, Filippine, Pakistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Siria e Yemen. Nonostante gli sforzi per contrastare questo fenomeno, il numero di casi registrati è costantemente aumentato dal 2012 al 2020. Il 40% dei minori arruolati sono bambine, spesso vittime di violenza di genere.
Ogni anno, il 12 febbraio, in occasione della Giornata Mondiale contro l’uso dei bambini soldato, l’organizzazione umanitaria italiana Intersos dedica la campagna #STOPBAMBINISOLDATO all’impegno delle organizzazioni, degli operatori e degli attivisti della società civile per reintegrare gli ex bambini soldato nella società e consentire loro una vita normale.
Ma chi sono i “bambini soldato”?
Per “bambino soldato” si intende qualsiasi persona di età inferiore ai 18 anni che è, o che è stata, reclutata o utilizzata da una forza armata o da un gruppo armato. Bambini, bambine, ragazzi e ragazzi vengono arruolati non solo per combattere anche sono anche utilizzati come spie, messaggeri, cuochi, sguatteri, assistenti di campo e per fini sessuali.
Non esiste una statistica ufficiale, solo stime, per un fenomeno volutamente nascosto, considerato illegale dalle convenzioni internazionali ma ancora largamente diffuso. Sono decine, forse centinaia di migliaia, in questo momento, i bambini arruolati nei gruppi armati e coinvolti nei conflitti.
I bambini diventano parte di una forza armata o di un gruppo per vari motivi. Alcuni vengono rapiti, minacciati, costretti o manipolati psicologicamente. Altri sono spinti dalla povertà e dal bisogno di sopravvivenza. Indipendentemente dal loro coinvolgimento, il reclutamento e l’utilizzo di bambini nei conflitti rappresenta sempre una grave violazione dei diritti dei bambini e del diritto internazionale umanitario.
Intersos conduce, con il sostegno di Unicef, un progetto di reintegrazione di ex bambini soldato nella Repubblica Centrafricana, uno dei paesi più colpiti da questo fenomeno, dove i bambini sono usati da tutti principali attori del conflitto interno in corso dal 2013 e dove il fenomeno ha ormai assunto i contorni di un’emergenza umanitaria. L’organizzazione nel corso del 2020 ha preso in carico 214 ex bambini soldato liberati dai gruppi armati e ad oggi 180 di loro stanno completando il percorso di reinserimento sociale e lavorativo.
La storia di Sefaka
Sefaka si è arruolata al gruppo Anti-Balaka dopo che un membro del gruppo armato Seleka ha ucciso i suoi genitori e l’aveva costretta a un matrimonio combinato. Poi, al termine di alcuni incontri di sensibilizzazione organizzati da Unicef per i gruppi armati di Kagabandoro, il suo generale ha deciso di lasciarla andare per prendere parte al programma di reinserimento. “Mi sono unita al gruppo armato solo per rabbia”, racconta Sefeka. “La vita con i ribelli è stata difficile, non sempre avevamo da mangiare – ricorda – ma io pensavo a un unico obiettivo: vendicare i miei genitori”. Grazie al programma di reinserimento, Sefaka ha imparato a cucire e adesso lavora nel suo villaggio, Bakongo, dove ha già diversi clienti. In questi giorni è in attesa di una macchina per cucire e altri materiali che le verranno forniti dal progetto.
“La piena reintegrazione di un ex bambino soldato è un percorso lungo e complesso, ma possibile” spiega a Vita Federica Biondi, operatrice di Intersos che ha lavorato insieme agli ex bambini soldato. “Significa dare a un minore la possibilità di reinserirsi nella società, accettando di riconoscersi in un nuovo ruolo e in una nuova identità, venendo accettato in questa nuova veste dalla famiglia e dalla comunità in cui va a vivere. E significa anche – racconta – avere condizioni materiali per vivere dignitosamente, attraverso la partecipazione a percorsi di educazione formale e informale e l’acquisizione di nuove competenze”
Recuperarli alla vita. Dar loro un sorriso e una speranza. Bambini. Non più soldati.