La quarta guerra di Gaza: Hamas cavalca la rabbia palestinese e i falchi di Tel Aviv ringraziano
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La quarta guerra di Gaza: Hamas cavalca la rabbia palestinese e i falchi di Tel Aviv ringraziano

Alla pioggia di razzi arrivati da Gaza - oltre mille di cui 850 intercettati dal sistema di difesa Iron Dome e 200 esplosi nella Striscia - l'esercito israeliano ha risposto con decine e decine di attacchi

Attacchi israeliani a Gaza
Attacchi israeliani a Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Maggio 2021 - 15.46


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La polveriera è esplosa. Divampa la guerra tra Israele e Hamas, con lo Stato ebraico deciso a proseguire “senza limiti di tempo” un conflitto “esteso”. Alla pioggia di razzi arrivati da Gaza – oltre mille di cui 850 intercettati dal sistema di difesa Iron Dome e 200 esplosi nella Striscia – l’esercito ha risposto con decine e decine di attacchi contro obiettivi di Hamas e della Jihad islamica. E il sangue scorre anche in Cisgiordania.  I soldati israeliani hanno sparato e ucciso un uomo palestinese identificato come Hussein Atiyyeh Titi, 26 anni, durante un raid del campo profughi di Fawwar, a sud della città di Hebron, in Cisgiordania meridionale. Lo scrive l’agenzia di stampa Wafa, che cita il ministero della Salute di Hamas mentre il sistema di difesa Iron Dome ha “intercettato un drone di Hamas” entrato nello spazio aereo di Israele dalla Striscia di Gaza. Lo confermano su Twitter le forze israeliane (Idf), ribandendo che non tollereranno “violazioni della sovranità israeliana”. Secondo il Times of Israel non è chiaro se il drone, più grande di quelli comunemente diffusi, fosse armato. Jeep colpita da razzo anticarro.

Escalation di morte

Il risultato di questa nuova escalation di sangue israelo-palestinese sono già decine di vittime: 43 i palestinesi uccisi a Gaza, tra i quali 12 bambini e tre donne, e più di 300 persone ferite, mentre la controparte israeliana conta sette vittime. Un bilancio destinato ad aggravarsi. 

Tensione altissima anche a Lod, dove ieri un arabo israeliano è stato ucciso durante le proteste: il presidente israeliano Reuven Rivlin ha denunciato quello che è arrivato a definire il pogrom di Lod” da parte di “una folla di arabi assetati di sangue ed esaltati”, condannando “il vergognoso silenzio della leadership araba su questi tumulti” e il “sostegno al terrorismo”. 

Il numero delle vittime cresce di ora in ora. L’ultima è un ragazzo di 16 anni, Rashid Abu Arreh, colpito a morte da soldati israeliani oggi durante gli incidenti avvenuti a Tubas (Cisgiordania). L’85% dei razzi lanciato da Hamas è stato intercettato, fanno sapere fonti israeliane, mentre circa 200 sono esplosi all’interno della Striscia, e il movimento islamico ha anche cercato di colpire l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. In mattinata la tensione si è ulteriormente aggravata quando un razzo anticarro sparato da Gaza ha centrato un veicolo israeliano che si trovava nei pressi della linea di demarcazione, provocando un morto e due feriti gravi. Nelle vicinanze gli abitanti del Kibbutz Netiv a Assarà hanno ricevuto ordine di entrare nei rifugi. Altri attacchi sono stati segnalati nel sud di Israele, dove le scuole restano chiuse, mentre il traffico ferroviario verso Ashkelon e il sud del Paese è interrotto. In risposta l’esercito ha compiuto oltre 500 attacchi contro personale, armamenti e infrastrutture di Hamas e Jihad Islamico nella Striscia, uccidendo altri due capi militari. Si tratta, fanno sapere le forze di difesa israeliane (Idf), di Hassan Kaogi, capo del dipartimento di sicurezza dell’intelligence militare di Hamas, e del suo vice, Wail Issa, capo del dipartimento di controspionaggio dell’intelligence militare. A questi, ha poi fatto sapere Israele, si aggiungono anche il comandante della Brigata di Gaza City, Bassem Issa, il capo dell’apparato cyber e del perfezionamento dei missili, Jamal Tahaleh, ed il responsabile della produzione degli armamenti, Jamal Zabadeh. Oltre a loro sono stati uccisi anche Hazem Khatib, un altro responsabile della produzione degli armamenti, Sami Radwan, del dipartimento tecnico dell’intelligence militare, e Walid Shemali, un altro addetto alla produzione di armi. “Tahale – spiegano – è il braccio destro di Mohammed Deif (il comandante militare di Hamas, ndr) e figura di primo piano nel potenziamento di Hamas. Bassem Issa è il coordinatore delle operazioni di combattimento di Hamas. La sua eliminazione influenzerà in modo significativo il comportamento della Brigata di Gaza City ed il progetto di armamento di Hamas”.

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soldati israeliani hanno sparato e ucciso questa mattina un ragazzo palestinese identificato come Hussein Atiyyeh Titi, 26 anni, durante un raid del campo profughi di Fawwar, a sud della città di Hebron, in Cisgiordania meridionale. La controffensiva israeliana si è abbattuta anche su un edificio di 12 piani a Gaza, dentro il quale si trovavano appartamenti residenziali,  aziende mediche e una clinica odontoiatrica, ma per le forze israeliane ospitava gli uffici dell’intelligence di Hamas   il comando del gruppo responsabile della pianificazione di attacchi contro obiettivi israeliani nella Cisgiordania occupata. Subito dopo il bombardamento, Hamas ha annunciato che avrebbe ripreso i suoi attacchi e ha puntato 100 razzi contro la città israeliana di Beer-Sheva. E a tarda notte di ieri ha detto di aver lanciato una raffica di 130 razzi verso Tel Aviv in risposta alla distruzione del grattacielo.

Riunione d’emergenza al Palazzo di Vetro

L’escalation delle ultime 48 ore porterà oggi a una seduta di emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiesta da diversi Paesi, tra i quali Cina, Tunisia, Norvegia, Francia, Estonia, Irlanda. Durante la riunione l’inviato speciale Onu per il Medio Oriente, Tor Wennesland, farà un rapporto a porte chiuse sulla situazione. Il vertice di oggi arriva dopo che in un precedente incontro lunedì il Consiglio di Sicurezza non era riuscito a raggiungere l’accordo per una dichiarazione congiunta. Ieri la Casa Bianca ha condannato gli attacchi di Hamas contro Israele ed sottolineato che Joe Biden ha chiesto ai suoi funzionari di inviare sia da israeliani che a palestinesi “un chiaro messaggio teso a far rientrare l’escalation”. Sugli scontri è intervenuta la Procuratrice capo della Corte penale internazionale Fatou Bensouda, che su Twitter ha scritto: “Noto con profonda preoccupazione l’escalation della violenza in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, così come dentro e intorno a Gaza, e la possibile commissione di crimini ai sensi dello Statuto di Roma“.

Sono 151 le persone arrestate per gli incidenti da parte di dimostranti arabi avvenuti l’altra notte nel centro di Israele. I maggiori scontri si sono avuti a Lod, a Ramle, Acco e Jisr az-Zarqa. In particolare a Lod il sindaco ha parlato di”’Notte dei cristalli” contro ebrei del posto evocando i pogrom nazisti della Germania del 1938. Il premier Benyamin Netanyahu ha dichiarato lo ‘stato di emergenza’ e poi si è recato in visita sul posto dove, secondo i media, sono state date alle fiamme sinagoghe e negozi. 

Il primo ministro israeliano ha chiuso la riunione del consiglio di sicurezza avvertendo che i bombardamenti si intensificheranno: “Hamas sta per subire una botta che non si aspettava, la pagheranno cara, la campagna va avanti”.  Invita gli israeliani a prepararsi a un lungo periodo di combattimenti. Le scuole nel Paese oggi restano chiuse, la vita normale interrotta.

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Non si placano i disordini nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme, nel corso delle preghiere del mattino. Lo ha riferito la televisione pubblica israeliana secondo cui sette palestinesi sono stati arrestati dalla polizia dopo una fitta sassaiola contro gli agenti. Gli incidenti si sono verificati alla vigilia dell’Id al-fitr, la festa che conclude il digiuno del Ramadan. In Cisgiordania intanto l’esercito israeliano sta arrestando nelle ultime ore dirigenti locali di Hamas. Retate sono avvenute, secondo i media, a Jenin e a Tubas nel tentativo israeliano di impedire che le violenze palestinesi si estendano anche alla Cisgiordania.  

Nella Striscia è tornata l’atmosfera cupa delle guerre del 2012 e del 2014, mentre Hamas e la Jihad hanno esaltato la loro “Operazione Spada di Gerusalemme” – con un chiaro riferimento agli scontri sulla Spianata delle Moschee – che ha visto la cittadina costiera di Ashdod colpita da una scarica di 40 razzi Grad. Su Ashkelon poi Hamas ha rivendicato il tiro dei muovi missili Sijeel, in grado a suo dire di evitare l’intercettamento dell’Iron Dome: “È una risposta – ha spiegato Hammed a-Rakeb, un dirigente di Hamas – ad attacchi lanciati in precedenza da Israele contro appartamenti dove si trovavano comandanti militari”. Non a caso, visto che come ammesso dallo stesso Netanyahu e da Kochavi Israele vuole colpire innanzi tutto l’élite di comando dei bracci militari delle fazioni palestinesi. Tra questi è stato ucciso Iyad Fathi Faik Sharir, comandante delle unità anticarro di Hamas. 

Appare remota al momento una possibile tregua, mediata dall’Egitto: Israele ha seccamente smentito che sia questa l’ora. “Scopo dell’operazione in corso – ha precisato il ministro della Difesa Benny Gantz – è colpire Hamas duramente, indebolirla e farle rimpiangere la sua decisione di lanciare i razzi. Ogni bomba ha un indirizzo. Continueremo nelle prossime ore e giorni”. Nell’ultimo attacco sulla Striscia, lo Stato ebraico ha usato 80 velivoli e tra questi alcuni F-35. Ieri Israele ha richiamato i primi 5.000 riservisti, oggi ha iniziato a schierare a ridosso della Striscia alcuni carri Merkava e alcuni reparti della 7ª Brigata corazzata Saar Mi-Golani e la 1ª Brigata di fanteria Golan

Calcoli incrociati

Un primo ministro che cerca di sopravvivere politicamente allei inchieste giudiziarie che lo chiamano in causa direttamente, giocando l’unica carta a sua disposizione: la sicurezza minacciata di Israele. Un movimento che ha fallito la prova di governo e che cerca una nuova legittimazione cavalcando la rabbia e la sofferenza e cercando nella resistenza all’”occupante sionista” il recupero di una sua centralità.

Il sangue versato a Gaza” racconta una storia che non nasce ieri ma che si dipana nel corso di decenni e che ha nella Striscia uno dei suoi più tragici luoghi di attuazione. E’ la storia di quattro guerre, di bombardamenti, razzi, invocazione al diritto di difesa (Israele) e a quello della resistenza armata contro l’”entità sionista” (Hamas). E’ la storia di punizioni collettive, di quindici anni di assedio. Ma è anche la storia di un movimento islamico che, fallita l’esperienza di governo, cerca nuova legittimazione nell’indirizzare contro l’occupante con la Stella di David, la rabbia e la sofferenza di una popolazione ridotta allo stremo. Il sangue di Gaza chiama in causa i due “Nemici” che, ognuno per i propri tornaconti, hanno lavorato assieme per recidere ogni filo di dialogo e per distruggere ogni possibile compromesso. Perché “compromesso” è una parola che non esiste sia nel vocabolario politico della destra israeliana sia in quello di Hamas. Perché compromesso significa incontro a metà strada, il riconoscere le ragioni dell’altro. Compromesso significa rinuncia ai disegni della “Grande Israele” come della “Grande Palestina”. Compromesso è ammettere che non esiste né una scorciatoia militare né una terroristica per veder riconosciuti due diritti egualmente fondati: la sicurezza per Israele, uno Stato indipendente per i Palestinesi. Combattere costa meno che fare la pace. Perché “fare la pace”, tra Israeliani e Palestinesi, non è solo ridisegnare confini, cedere o acquisire territori. Significa molto di più: ripensare la propria storia e confrontarla con quella degli altri. Significa immedesimarsi nelle paure e nelle speranze dell’altro e, per quanto riguarda Israele, guardare ai Palestinesi come un popolo e non come una moltitudine ingombrante.  Nello schema di Hamas e in quello della destra israeliana non esiste il “centro”: chiunque si pone in questa ottica, altro non è che un ostacolo da rimuovere, con ogni mezzo, anche il più estremo. La destra israeliana ha bisogno di Hamas per coltivare l’insicurezza, per alimentare nell’opinione pubblica la sindrome di accerchiamento, divenuta psicologia nazionale. Quanto ad Hamas, può al massimo contemplare una “hudna” (tregua) con Israele ma mai un riconoscimento della sua esistenza.

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Riflette Pierre Haski, direttore di France Inter su Internazionale: “Ancora una volta la violenza diventa l’unica valvola di sfogo, in assenza della minima prospettiva politica. Il mondo intero resta a osservare, impotente ancora prima di porsi il problema. Certo, esistono massacri e guerre anche altrove, ma questo conflitto ha una carica simbolica particolare in una città dove convivono le tre grandi religioni monoteiste, e ha ripercussioni negative all’interno delle nostre società… Israele si sente troppo forte, la Palestina sa di essere troppo debole.

Ma la verità è che il mondo dovrebbe affrontare la crisi e agire. Troppe risoluzioni dell’Onu sono rimaste inascoltate e troppe responsabilità internazionali ignorate. Ogni giorno che passa, da trent’anni, rende la soluzione del conflitto più inestricabile, se non impossibile. Ma la situazione attuale è insopportabile. 

Ancora oggi solo gli Stati Uniti potrebbero influenzare gli attori di questo scontro perpetuo. Certamente, perché un pompiere arrivi, è necessario che ci sia un incendio, con il suo corollario di sofferenze. Fino alla crisi successiva. Oggi nessuno ha il coraggio di rompere questo circolo vizioso”.

E’ così. E’ la legge non scritta del Medio Oriente, confermata dalla storia: quando la diplomazia abbandona il campo, a riempire il vuoto è la violenza. E la guerra. 

 

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