Abu Rudeinah: "La comunità internazionale fermi i falchi israeliani prima di un nuovo bagno di sangue"

Parla il portavoce del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas: "Da giorni andavano avanti le provocazioni degli estremisti ebrei a Gerusalemme. E ora..."

Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente dell’Autorità nazionale palestinese,
Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente dell’Autorità nazionale palestinese,
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11 Maggio 2021 - 15.48


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“Questa nuova escalation di violenza ha sempre la stessa radice: l’occupazione israeliana. La comunità internazionale lo sa bene, ma non va oltre gli appelli alla moderazione. Ma non c’è niente di moderato nel marciare nei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est al grido  ‘morte agli arabi’.  Ci rivolgiamo in particolare al presidente degli Stati Uniti Joe Biden: Signor Presidente non segua la strada del suo predecessore che ha avallato ogni iniziativa unilaterale dei governanti israeliani, minando dalle fondamente la possibilità di una pace giusta, duratura, fondata sulla soluzione a due Stati”. 

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Ad affermarlo, in questa intervista in esclusiva concessa a Globalist, è Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas. Grazie al nostro prezioso collaboratore in Palestina, Osama Hamdan, riusciamo a strappare alcuni minuti al dirigente palestinese in una giornata drammatica.

Da Gerusalemme a Gaza: cronaca di guerra. Il bilancio delle vittime aumenta di ora in ora e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non ha escluso un’operazione di terra nella Striscia di Gaza.

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Se così dovesse essere, sarebbe un bagno di sangue. E’ a questo che punta il signor Netanyahu? E’ questo il prezzo da pagare per le sue ossessioni di potere? Da giorni andavano avanti le provocazioni degli estremisti ebrei a Gerusalemme. Hanno avviato una vera e propria caccia all’arabo, senza che le forze di sicurezza israeliane ponessero fine a queste aggressioni. La resistenza dei palestinesi di Gerusalemme Est è stata eroica. Hanno difeso il loro diritto a vivere in una città dalla quale chi governa Israele vorrebbe cacciarli via. Bisogna usare le parole appropriate alla realtà. Quella che Israele ha messo in atto a Gerusalemme è una vera e propria pulizia etnica. Vogliono cacciare decine di famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah, un quartiere storico di Gerusalemme Est. Noi abbiamo resistito. Perché quello palestinese è un popolo che non si piega. 

Da Gaza, Hamas e la Jihad islamica hanno risposto sparando centinaia di razzi contro le città frontaliere d’Israele, provocando due morti e un ferito grave tra i civili. Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha richiamato 5mila riservisti. E’ una escalation inarrestabile?

E’ la trappola di Netanyahu. Provocare una reazione, per legittimare il pugno di ferro in nome del diritto di difesa. E’ una storia, una tragica storia, che si ripete da anni e anni. Sono quindici anni che due milioni di palestinesi, il 56% al di sotto dei 18 anni, vivono sotto assedio, isolati dal mondo. Decine di rapporti delle Agenzie delle Nazioni Unite e delle più importanti organizzazioni umanitarie internazionali danno conto della vita impossibile a Gaza. La luce è razionata, l’acqua scarseggia, così come i medicinali. La Corte penale internazionale ha aperto un procedimento contro le autorità politiche e militari israeliani per crimini di guerra. Sappiamo bene che non esiste una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese, per questo con il presidente Arafat avevamo scelto la via del negoziato e della pace dei coraggiosi. Chi in Israele aveva condiviso di fare assieme questo percorso di pace, è stato assassinato (Yitzhak Rabin,ndr). 

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Lei parla di una pace giusta. Ma chi dovrebbe realizzarla, visto che in Palestina il linguaggio più praticato è quello della forza. E quale sarebbe un compromesso equo, sostenibile per la dirigenza palestinese?

Non c’è niente da inventare. E’ già tutto scritto. Scritto nella Road map del Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Ue, Onu, Russia, ndr): due popoli, due Stati. E prim’ancora che la Road map, questo principio è stato sancito da due risoluzioni delle Nazioni Unite, la 242 e la 338, votate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu con il sì degli Stati Uniti. Uno Stato palestinese indipendente, pienamente sovrano sul suo territorio nazionale, con confini riconosciuti internazionalmente e con Gerusalemme Est come sua capitale. Uno Stato che viva a fianco dello Stato d’Israele. Questa è la pace dei coraggiosi, la pace nella giustizia. 

Parole che si perdono nel clamore sinistro delle armi.

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Netanyahu sa bene, perché governa ininterrottamente da oltre un decennio, che la forza non potrà mai sostituire la politica. Invadere Gaza sarebbe una sciagura per tutti. Lo ripeto: la comunità internazionale deve assumersi le sue responsabilità. Noi non ci arrenderemo mai.

In passato si era ventilata la possibilità di una forza internazionale d’interposizione sul modello di Unifil 2 nel sud Libano. Qual è in merito la posizione dell’Anp? 

Da tempo abbiamo chiesto alle Nazioni Unite e ai leader mondiali una protezione internazionale per la popolazione palestinese nei Territori occupati. Una forza che si facesse garante della sicurezza ai confini di Gaza e in Cisgiordania, e che fosse a garanzia sul campo del rispetto degli accordi raggiunti al tavolo negoziale. Siamo sempre di questo avviso. Ma chi si rifiuta è Israele.

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Potrà mai esserci uno Stato palestinese senza Gerusalemme Est come sua capitale? Siete disposti a questo sacrificio pur di ottenere l’autodeterminazione?

No, questo non avverrà mai. Neanche il dirigente palestinese più disposto al compromesso, potrebbe mai accettare un accordo che escluda Gerusalemme. Per quello che Al-Qus (Gerusalemme in arabo, ndr), rappresenta non solo per i Palestinesi ma per un miliardo di musulmani: il terzo luogo sacro dell’Islam. Gerusalemme deve essere una capitale condivisa, aperta. Come è Roma. Il presidente Abbas ne ha parlato con Papa Francesco nel loro ultimo incontro in Vaticano. Lo status di Gerusalemme e dei suoi luoghi santi non è solo un problema politico, un capitolo del conflitto israelo-palestinese. E’ una questione che riguarda l’intero mondo musulmano, quello cristiano e il mondo ebraico. Nessuno può pretendere il possesso assoluto di Gerusalemme. 

Intanto, si continua a combattere.

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A Gaza centinaia di migliaia di adolescenti non hanno conosciuto altro che guerra, violenza, distruzione. In Cisgiordania, migliaia di bambini palestinesi sononati con il Muro dell’apartheid. Noi vogliamo che abbiano un futuro che sia altro da quello che stanno vivendo. Per questo continueremo la nostra lotta.

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