Un impegno importante. E ora la parola passa al Governo. L’aula del Senato ha approvato con 208 voti a favore, 33 astenuti (tra loro i senatori di Fdi) e nessun contrario l’ordine del giorno che impegna il governo “ad avviare tempestivamente mediante le competenti istituzioni le necessarie verifiche al fine di conferire a Patrick George Zaki la cittadinanza italiana ai sensi del comma 2 dell’articolo 9, della citata legge n.91 del 1992”. Inizialmente erano state presentate due mozioni, una del Pd e l’altra di M5S, che sono poi confluite in un ordine del giorno per consentire un’unica votazione.
Ma il governo da che parte sta?
Presente in Aula per esprimere il suo voto a favore anche Liliana Segre: la senatrice a vita aveva sospeso la partecipazione ai lavori parlamentari a causa dell’emergenza sanitaria (ha 90 anni) e aveva scelto di tornare a Roma solo in sostegno del governo Conte II a fine gennaio scorso.
“C’è qualcosa nella storia di Patrick Zaki che prende in modo particolare, ed è ricordare quando un innocente è in prigione”, ha detto questa mattina a Radio Popolare. “Questo l’ho provato anch’io e sarò sempre presente, almeno spiritualmente quando si parla di libertà”.
L’ordine del giorno non è vincolante, ma viene considerato dai promotori un atto di indirizzo per fare pressione sul governo egiziano. Presente in Aula durante la discussione, a nome dell’esecutivo italiano, c’era la viceministra Pd agli Esteri Marina Sereni. Che non ha nascosto le perplessità sullo strumento: “Il governo italiano segue con la massima attenzione il caso Zaki fin dalle prime ore dall’arresto e condivide pienamente la preoccupazione del Parlamento anche alla luce di un’ulteriore proroga della sua custodia cautelare”, ha detto. “L’azione di sensibilizzazione sulle autorità egiziane che abbiamo svolto e continuiamo a svolgere è continua, sollecitiamo le controparti egiziane in ogni occasione di confronto a rilasciare lo studente. Seguiamo anche l’evoluzione del processo. Su nostra richiesta il procedimento giudiziario è stato inserito nel programma di monitoraggio processuale dell’Unione europea pochissimi giorni dopo il suo arresto”. L’Italia, ha anche ricordato, “ha portato la questione del rispetto dei diritti umani nel Paese all’attenzione dell’Unione europea e del Consiglio per i diritti umani delle nazioni unite”. E secondo Sereni, è necessario valutare gli effetti dei prossimi interventi: “L’attribuzione della cittadinanza italiana a Patrick Zaki, si configurerebbe quale misura simbolica priva di effetti pratici a tutela dell’interessato“, ha detto. “Anche alla luce del Diritto e dei principi internazionali. L’Italia incontrerebbe notevoli difficoltà a fornire protezione consolare al giovane, essendo egli anche cittadino egiziano, poiché prevarrebbe la cittadinanza originaria”. Ancora più importante “è il rischio da valutare, di effetti negativi sull’obiettivo che più ci sta a cuore: il rilascio di Patrick. In questo senso la concessione della cittadinanza, potrebbe addirittura rivelarsi controproducente”, ha concluso Sereni sottolineando la necessità “di fare una riflessione” approfondita.
“L’Egitto resta un paese cruciale su dossier come la stabilizzazione della Libia, la lotta al terrorismo, la gestione dei flussi migratori ma sui valori non si arretra pur avendo ben chiare le relazioni bilaterali che comunque restano compromesse dalla drammatica vicenda Regeni e depotenziate fino alla risoluzione del caso”: in questo assunto, ribadito dalla vice ministra degli Esteri, c’è tutto l’equilibrismo diplomatico di un esecutivo che non sa scegliere tra la subalternità al presidente-carceriere di un “paese cruciale” e il dire finalmente “basta” alle continue provocazioni provenienti dal Cairo.
L’incoerenza deve finire
” L’approvazione della mozione che impegna il governo ad avviare l’iter per concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki è un atto importante, che dimostra come la vicenda dello studente egiziano dell’Università di Bologna che ha superato i 14 mesi di detenzione sia una priorità che il Parlamento italiano intende affrontare e continuare a seguire con attenzione”. Così dichiara in una nota Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, dopo il voto favorevole alla mozione discussa oggi in Senato. “Auspichiamo che la concessione della cittadinanza italiana, oltre che a ribadire che quella di Patrick Zaki è una vicenda di violazione dei diritti umani che riguarda anche il nostro paese, possa favorire la scarcerazione di Patrick”. “Non possiamo però non rilevare – rimarca Noury – l’incoerenza di un governo che pur dimostrandosi, con l’impegno assunto oggi, preoccupato per le sorti di Patrick Zaki, prosegue senza soluzione di continuità i propri rapporti con un governo repressivo com’è quello del presidente al-Sisi: è di pochi giorni fa infatti la consegna della seconda fregata militare allo stato egiziano”. Noury pertanto conclude: “Ribadiamo ancora una volta che nessuna motivazione politico-economica può far passare in secondo piano le orribili violazioni dei diritti umani in Egitto come quelle cui è sottoposto Patrick Zaki da oltre 14 mesi e che colpiscono tantissimi attivisti, avvocati, difensori dei diritti umani e giornalisti detenuti arbitrariamente solo in ragione delle loro opinioni”.
l Parlamento italiano dice sì alla cittadinanza a #PatrickZaki. Unanimità che dimostra l’impegno di tutta Italia. #NonMolliamo, twitta il segretario del Partito democratico, Enrico Letta.
“Con l’approvazione di una sacrosanta mozione a suo favore, allo studente egiziano Patrick Zaki verrà riconosciuta la cittadinanza italiana. Siamo onorati dalla presenza di Liliana Segre che a 90 anni dimostra che certe battaglie uniscono e fanno convergere”. Lo scrive in un tweet il senatore Nicola Morra.
L’odissea di Patrick
Ricorda Amnesty International: “Patrick George Zaki, attivista e ricercatore egiziano, si trova dall’8 febbraio 2020 in detenzione preventiva fino a data da destinarsi.
Il 25 agosto, per la prima volta da marzo, Patrick ha potuto avere un breve incontro con sua madre. In questi mesi la famiglia aveva ricevuto da Patrick solo due brevi lettere a fronte delle almeno 20 che lo studente aveva scritto e inviato.
Dopo estenuanti rinvii, le prime due udienze del processo si sono tenute solo a luglio. Nella seconda, risalente al 26 luglio, Patrick Zaki ha potuto vedere per la prima volta i suoi avvocati dal 7 marzo. In quell’occasione Patrick è apparso visibilmente dimagrito. Il 26 settembre, a seguito di una nuova udienza, il tribunale ha deciso un ulteriore rinvio.
Il 7 dicembre il giudice della terza sezione antiterrorismo del tribunale del Cairo ha annunciato il rinnovo per 45 giorni della custodia cautelare dello studente dell’università di Bologna, in carcere da febbraio in Egitto con l’accusa di propaganda sovversiva.
Patrick George Zaki rischia fino a 25 anni di carcere per dieci post di un account Facebook, che la sua difesa considera ‘falso’, ma che ha consentito alla magistratura egiziana di formulare pesanti accuse di “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”.
Nel suo paese avrebbe dovuto trascorrere solo una vacanza in compagnia dei suoi cari in una breve pausa accademica.
A causa della diffusione del Covid-19 anche in Egitto per Patrick, così come per altre decine di migliaia di detenuti egiziani, le preoccupazioni legate all’emergenza sanitaria sono fortissime.
Riteniamo che Patrick George Zaki sia un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media”.
Mattarella può concedere la cittadinanza a Patrick Zaki?
La mozione cita espressamente la legge n. 91 del 1992 che definisce i criteri per ottenere la cittadinanza italiana. All’articolo 9 comma 2 si legge che “la cittadinanza può essere concessa allo straniero”, quando “questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato”. In casi del genere a firmare il decreto è il presidente della Repubblica “sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri”. Il caso di Patrick Zaki è compatabile con la norma citata sopra? La materia è complessa, ma i firmatati della mozione propendono per il sì.
Nel testo si legge che “la drammatica condizione in cui versa Patrick Zaki e il regime di detenzione cui è sottoposto nel carcere di massima sicurezza di Tora, noto, come denunciato ripetutamente da diverse organizzazioni internazionali, per le condizioni inumane e i continui abusi ai danni dei reclusi, unitamente alle ripetute e precedentemente citate violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime egiziano ai danni dei dissidenti politici configurano come di tutta evidenza il ricorrere di un eccezionale interesse del nostro Paese a riconoscere tempestivamente la cittadinanza italiana al ricercatore egiziano”.
La visita della fidanzata e il biglietto di Zaki: “Resisto, grazie per il sostegno”
Nei giorni scorsi il ricercatore ha incontrato la sua fidanzata in carcere e le ha consegnato una copia del libro “Cento anni di solitudine”, con un biglietto all’interno scritto in italiano in cui diceva: “Resisto, grazie per il sostegno di tutti”. I dettagli dell’incontro sono stati resi noti dalla pagina Facebook del gruppo ‘Patrick libero’. Nel post in questione si legge che Zaki “sembrava stare bene in generale”, ma “era confuso” su ciò che è successo nell’ultima udienza in tribunale, “sapeva che la sua detenzione era stata rinnovata per altri 45 giorni, ma non era a conoscenza dello stato dell’appello presentato dai suoi avvocati per cambiare la corte che si occupa del suo caso. Ha anche detto che appena è entrato nell’aula dell’ultima sessione, il giudice stava dicendo agli avvocati di andarsene. La sua ragazza gli ha detto che l’appello era stato respinto e che il suo processo sarebbe continuato davanti allo stesso giudice”.
“Purtroppo – si legge ancora – quando la sua ragazza ha cercato di confortarlo dicendogli che si spera che tutto questo finisca presto, lui ha fatto una risata sarcastica e disperata, dicendo che sta cercando di adattarsi a stare in prigione, in un modo che indica che ha perso la speranza di essere presto libero e sta rimanendo forte per coloro che ama”. Patrick ha anche raccontato che mentre stava lasciando il carcere per recarsi in tribunale, ” il direttore della prigione lo ha fermato e gli ha detto che non gli permetterà di entrare di nuovo finché non si sarà tagliato i capelli, mentre rideva con gli altri agenti di polizia intorno a lui”. Secondo gli attivisti di Patrick Libero, “questo è stato a dir poco ingiusto, anche i piccoli dettagli sono controllati, il suo corpo e il suo aspetto sono soggetti alla loro opinione”. “Continuiamo ad aggrapparci alla speranza che sia presto libero e che domani ci porti notizie migliori”, concludono gli attivisti, chiedendo che Patrick sia “immediatamente rilasciato”.
Omicidio di Stato
Il voto del Senato coincide con nuovi, importanti sviluppi del caso Regeni. Ci sono infatti tre nuovi testimoni che hanno deciso di fornire ulteriori particolari sull’arresto, la tortura e l’omicidio del giovane ricercatore friulano. E il loro racconto, contenuto nei nuovi atti depositati dalla Procura di Roma in vista dell’udienza preliminare, fissata per il 29 aprile, a carico dei quattro membri della National Security, il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, in cui si dovrà vagliare la richiesta di processo, contraddice quello che già è stato definito un depistaggio dal Procuratore capo Michele Prestipino e dal pm Sergio Colaiocco, ma che le autorità egiziane continuano a vendere come la principale pista d’indagine: l’assassinio commesso da una banda di rapinatori che, qualche settimana dopo, sono stati tutti uccisi in un presunto scontro a fuoco con la polizia del Cairo.
I tre nuovi testi hanno dichiarato agli inquirenti che i servizi segreti egiziani erano a conoscenza della morte di Regeni almeno dal 2 febbraio, un giorno prima che il suo corpo venisse abbandonato lungo la strada che collega Il Cairo ad Alessandria e che per deviare l’attenzione da loro “inscenarono una rapina finita male”. Un piano che avrebbe dovuto trovare la sua definitiva attuazione quasi due mesi dopo, alla fine di marzo, quando la polizia comunicò l’uccisione in uno scontro a fuoco dei cinque membri della banda di rapinatori, con alcuni effetti personali del ricercatore di Fiumicello che sono poi stati ritrovati all’interno dell’abitazione di uno di loro.
Ma uno dei tre nuovi testimoni, che ha raccontato di essere diventato amico di Mohammed Abdallah, il capo del sindacato indipendente degli ambulanti del Cairo che ha venduto Regeni ai servizi egiziani, ha spiegato che il 2 febbraio del 2016 era insieme al sindacalista: “Ho notato che era palesemente spaventato – ha detto agli investigatori italiani – Lui mi ha spiegato che Giulio Regeni era morto e che quella mattina era nell’ufficio del commissariato di Dokki in compagnia di un ufficiale di polizia che lui chiamava Uhsam (Helmi, uno dei quattro agenti della National Security imputati, ndr) quando quest’ultimo aveva ricevuto la notizia della morte e che la soluzione per deviare l’attenzione da loro era quella di inscenare una rapina finita male”.
In vista dell’udienza del gup, i pm contestano ai quattro imputati i reati, a vario titolo, di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Nelle ultime settimane, si apprende, sono ben dieci le persone in Egitto che si sono fatte avanti con gli inquirenti affermando di avere notizie sul caso Regeni, ma di questi solo tre sono state ritenute attendibili. I “dati probatori apportano nuovi elementi conoscitivi su fatti già acquisiti”, si apprende da fonti giudiziarie. In base a quanto era emerso nell’atto di chiusura delle indagini, il 10 dicembre scorso, cinque testimoni avevano fornito spezzoni di “verità ” su quanto avvenuto al Cairo. Secondo i testi il torturatore di Giulio fu il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Fu lui, insieme a soggetti rimasti ignoti, a portare avanti per almeno nove giorni le sevizie avvenute in una villetta in uso ai servizi segreti, nella periferia della capitale egiziana.
E con il capo di questi torturatori di Stato, il governo italiano continua ancora a genuflettersi.
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