Il ministero degli Esteri dell’Iran, tramite il suo portavoce Saeed Khatibzadeh, ha accusato Israele per l’attacco che ha definito di sabotaggio nell’impianto nucleare sotterraneo di Natanz e ha avvertito che si vendicherà. “I sionisti volevano vendicarsi contro il popolo iraniano per il loro successo nel cammino dell’allentamento delle sanzioni”, ha ribad il ministro iraniano degli Esteri Javad Zarif. “Ma noi non lo permetteremo e ci vendicheremo”. L’impianto sarà ricostruito, ha aggiunto Zarif, con macchinari più avanzati, e questo potrebbe mettere in pericolo i colloqui in corso a Vienna con le potenze mondiali per salvare l’accordo sul nucleare iraniano.
Il ministro ha sostenuto che il sabotaggio di Israele rafforzerà Teheran nei negoziati per il ritorno degli Usa all’accordo sul nucleare e la rimozione delle sanzioni. E ha riferito sugli sviluppi dei colloqui avviati a Vienna per il possibile ritorno degli Usa all’accordo sul nucleare, che riprenderanno mercoledì. “Se pensavano che l’incidente ci avrebbe messo in una condizione di svantaggio nei negoziati, dovevano invece capire che questo atto disperato avrebbe reso la nostra posizione ancora più forte”.
Già in precedenza fonti di intelligence Usa avevano parlato di un ruolo di Israele nel sabotaggio all’impianto iraniano di arricchimento dell’uranio, da tempo fulcro del programma nucleare di Teheran. A riferirlo era stato il New York Times, citando appunto fonti dell’intelligence americana.
Netanyahu alla guerra
Israele non ha rivendicato l’incidente ma la maggior parte dei media israeliani, in modo abbastanza uniforme, sostiene che sia stato causato da un cyberattacco. I dettagli su cosa sia accaduto domenica mattina nella struttura restano pochi. Inizialmente si era parlato di un blackout, ma poi ieri sera il capo del programma nucleare civile iraniano ha definito l’accaduto un atto di “terrorismo nucleare”. “La risposta per Natanz è vendicarsi di Israele. La tv di Stato non ha ancora mostrato nessuna immagine della struttura. Le dichiarazioni del portavoce del ministero degli Esteri sono la prima accusa ufficiale da parte dell’Iran contro Israele per i fatti di domenica. Se Israele fosse effettivamente responsabile – come scrive LaPresse/Ap – questo porterebbe a un aumento delle tensioni fra i due Paesi. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che domenica ha incontrato il segretario Usa alla Difesa Lloyd Austin, ha promesso di fare tutto ciò che è in suo potere per fermare l’accordo sul nucleare iraniano.
Intanto, le autorità iraniane hanno comunicato di aver identificato la persona che ha interrotto il flusso di energia nell’impianto nucleare di Natanz. Lo riferisce il sito web Nournews, citato dalla Reuters. “La persona è stata identificata… Sono state prese le misure necessarie per arrestare questa persona che ha causato l’interruzione dell’elettricità in uno dei padiglioni del sito di Natanz”, riporta il sito web, senza fornire dettagli sul colpevole.
Il precedente
Nel 2010 un potente virus informatico chiamato Stuxnet ha attaccato gli impianti nucleari iraniani nel tentativo di fermare il programma atomico del Paese. Stuxnet ha influenzato il funzionamento dei siti nucleari iraniani, infettando migliaia di computer e bloccando le centrifughe utilizzate per l’arricchimento dell’uranio. Anche in questo caso, Teheran ha accusato Israele e gli Stati Uniti.
L’ombra del Mossad
A dire di fonti legate a servizi segreti occidentali dalla non meglio specificata nazionalità – a quanto riportano gli israeliani dell’agenzia statale di informazione Kan – il guasto sarebbe stato causato da un attacco informatico del Mossad. Il New York Times appoggia questa ipotesi, facendo leva su fonti dei servizi segreti americani. Anche fonti militari israeliane – incarnate dalla figura di Aviv Kochavi – sembrano suggerire la validità di questa ipotesi.
E’ stato intanto convocato per domenica il Consiglio di difesa del governo israeliano, dopo una pausa di due mesi, per esaminare le crescenti tensioni con l’Iran. Dal Netanyahu è arrivata una sorta di dichiarazione di guerra che suona come una conferma. “La lotta contro l’Iran e le sue metastasi, contro le armi di Teheran, è un compito enorme. La situazione di oggi non è detto che ci sia anche domani”, ha detto sibillinamente ai capi della sicurezza in un brindisi in vista del Giorno dell’Indipendenza.
E ha aggiunto: “Noi siamo sicuramente una potenza regionale, ma in qualche maniera anche globale. Mi auguro per tutti noi che continuiate a tenere la spada di Davide nelle vostre mani”.
Dopo l’esplosione del luglio 2020, sempre a Natanz, e l’uccisione a novembre dello scienziato Mohsen Fakhrzadeh, di cui l’Iran ha attribuito la responsabilità a Israele, i fatti di questi giorni rialzano la tensione in uno scenario medio-orientale in cui la nuova amministrazione Usa tenta di riaffermare un ruolo di moderazione senza abdicare, anzi rafforzando, la storica alleanza con Israele.
Israele è consapevole che l’Iran considera le sue violazioni, compreso l’arricchimento dell’uranio a un livello del 20% e il funzionamento di centrifughe avanzate in un impianto sotterraneo, come ‘beni’ che costringeranno gli Stati Uniti a colloqui accelerati per un nuovo accordo. La fabbricazione dell’uranio metallico è un modo per acquisire know-how ed esperienza essenziali nel processo di fabbricazione delle armi nucleari. È considerata una tappa importante nella fabbricazione del nucleo di una bomba atomica, che viene poi adattato alla testata. L’Iran non si è impegnato a produrre il metallo dall’inizio degli anni ’90 e aveva promesso di non farlo fino al 2030. Germania, Francia e Gran Bretagna, i tre stati europei firmatari dell’accordo, hanno detto di essere profondamente preoccupati per lo sviluppo e che Teheran non ha alcun uso civile del metallo di uranio. La questione è emersa di recente anche nei colloqui tra alti funzionari dell’intelligence israeliana e colleghi in Occidente.
Visto da Tel Aviv
Di grande interesse è quanto scritto da Amos Harel, firma storica di Haaretz, considerato tra i più autorevoli analisti israeliani di questioni militari: “La battaglia segreta in corso tra Israele e Iran non è più così segreta. Domenica mattina, l’Iran ha riferito che un misterioso “incidente” nella rete di distribuzione elettrica dell’impianto nucleare di Natanz si è verificato durante la notte. Questo è lo stesso impianto iraniano che ha subito grandi danni da un’esplosione a luglio, e l’ultimo malfunzionamento ha apparentemente anche interrotto le operazioni dell’impianto. Sulla base dei rapporti dei media passati, si può dedurre che questo è stato causato da un cyberattacco israeliano.
Questo incidente arriva meno di una settimana dopo le notizie di un’esplosione su una nave di comando delle Guardie Rivoluzionarie iraniane nel Mar Rosso, un incidente anche questo attribuito a Israele. L’esplosione è solo l’ultimo di una serie di attacchi marittimi contro l’Iran, a cui Teheran ha scelto di rispondere con due attacchi a navi mercantili di proprietà israeliana in meno di due mesi. L’escalation, che non è più così graduale, avviene sullo sfondo di rinnovati colloqui nucleari tra l’Iran e le potenze mondiali. Il loro obiettivo è quello di far tornare gli Stati Uniti all’accordo nucleare del 2015 con l’Iran, che l’ex presidente americano Donald Trump ha abbandonato tre anni fa. Il nuovo segretario alla difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, è arrivato in Israele domenica per la sua prima visita di lavoro da quando è entrato in carica. Più tardi questo mese, il capo dell’Idf Aviv Kochavi e il capo del Mossad Yossi Cohen dovrebbero visitare Washington; i colloqui sul nucleare saranno in cima alla loro agenda. Il New York Times ha riferito che Israele aveva avvertito gli Stati Uniti prima dell’attacco alla nave iraniana nel Mar Rosso, a causa della presenza di una flotta americana nella regione. Se questo era davvero un cyberattacco israeliano, gli Stati Uniti hanno ricevuto un preavviso anche questa volta? La risposta a questa domanda direbbe molto sullo stato dei legami tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e la nuova amministrazione del presidente americano Joe Biden. In una cerimonia del Giorno della Memoria la scorsa settimana, Netanyahu ha parlato ancora una volta contro un ritorno degli Stati Uniti all’accordo nucleare. Ma se questo è stato un passo coordinato, o almeno qualcosa di cui gli Stati Uniti sono stati informati in anticipo, allora è una questione completamente diversa. L’esplosione a Natanz ha avuto luogo il giorno dopo la giornata nazionale iraniana della tecnologia nucleare. Il presidente Hassan Rohani ha usato l’occasione per segnalare ulteriori progressi nel programma nucleare del paese, che il regime insiste (nonostante tutte le prove del contrario) è destinato solo a scopi civili. In questo contesto, gli iraniani hanno celebrato il potenziamento delle loro capacità di arricchimento dell’uranio a Natanz per mezzo di nuove centrifughe IR-5, che secondo Rohani hanno decuplicato il ritmo di arricchimento. Questa è un’altra violazione dell’accordo nucleare, una delle tante che l’Iran sta accumulando per usarla come merce di scambio in attesa di proseguire i colloqui a Vienna. Eppure un certo grado di progresso è stato riportato riguardo a questi colloqui, in vista della loro prevista ripresa mercoledì.
In passato, hanno riferito i media statunitensi e mondiali, i cyberattacchi e persino le esplosioni perpetrate con diversi mezzi sono riusciti a ostacolare notevolmente le conquiste nucleari degli iraniani. Questo è stato il caso di Stuxnet una decina di anni fa, che secondo i rapporti era un’operazione congiunta israelo-statunitense. Dopo l’incidente di Natanz dell’anno scorso, ci sono stati rapporti che dicevano che aveva causato un altro significativo ritardo nel programma nucleare. Oltre ai messaggi a Biden, Rohani e alla guida spirituale suprema dell’Iran Ali Khamenei, Netanyahu potrebbe anche inviare un messaggio politico interno? Almeno sulla questione dell’Iran, non ci sono note o palesi differenze di opinione tra Netanyahu e il suo partner e rivale, il ministro della difesa Benny Gantz. Gantz sostiene pubblicamente la stessa linea dura di Netanyahu nei confronti degli iraniani. Domenica pomeriggio, i due terranno il loro primo incontro da mesi, che non sia via Zoom o back-to-back nella Knesset, in un brindisi in onore del Giorno dell’Indipendenza con i membri dei vertici dell’Idf.
Gli attacchi attribuiti a Israele avvengono in un momento politicamente delicato. Un’escalation di sicurezza potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso tra Naftali Bennett e Bezalel Smotrich. I due si rifiutano ancora, ognuno per le proprie ragioni, di entrare in un governo completamente di destra come proposto da Netanyahu – ignorando per il momento che sta cercando il sostegno del partito Lista Araba Unita, che rappresenta il Movimento Islamico. C’è un malsano mix di sicurezza e preoccupazioni politiche. Allo stesso tempo, non è certo quanto il primo ministro sia attento alle questioni urgenti della difesa, essendo così preoccupato per i numerosi sviluppi del suo processo. I mezzi di controllo e di bilanciamento delle attività dell’establishment della difesa sono comatosi. Il gabinetto di sicurezza non si riunisce quasi mai, e in effetti non è stato funzionale negli ultimi mesi. Il comitato degli affari esteri e della difesa della Knesset non si è ancora riunito da quando la nuova Knesset ha prestato giuramento la settimana scorsa. La stampa, per la maggior parte, è occupata a rincorrere aneddoti politici e teorie di cospirazione senza fondamento. Anche il comitato dei capi dei servizi di sicurezza, composto dai capi del Mossad, dello Shin Bet e dell’esercito, non è più quello di una volta. Le relazioni tra i tre non sono delle migliori, e la competizione inter-organizzativa è dilagante nonostante la loro fruttuosa cooperazione su alcuni fronti.
Anche la durata del mandato di questi tre leader ha un punto interrogativo che aleggia su di loro. Kochavi è ancora in attesa di sapere se il suo mandato sarà esteso per un quarto anno a partire da gennaio, come è consuetudine; durante il suo mandato come ministro della difesa, Avigdor Lieberman è stato molto più veloce a prolungare il mandato dell’ex capo dell’IDF Gadi Eisenkot in una fase precedente. Il mandato del capo del Mossad Cohen è stato esteso di sei mesi fino a giugno, e il suo vice, “D”, era già stato nominato come suo successore, ma poi il procuratore generale Avichai Mendelblit è intervenuto per annunciare che ci potrebbero essere problemi con un governo di transizione che approva tale nomina. Il capo dello Shin Bet Nadav Argaman, che avrebbe dovuto dimettersi il mese prossimo, ha accettato la richiesta di Netanyahu di estendere il suo mandato di altri quattro mesi. Ma l’estensione non avviene in circostanze normali. Netanyahu vuole nominare il capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale Meir Ben-Shabbat, un membro della sua cerchia ristretta, al posto. Questa scelta – conclude Harel – s ha incontrato la ferma opposizione di Gantz e le riserve da parte di altri membri dei servizi di sicurezza – rendendo difficili le condizioni per condurre una campagna così complessa”.
Asse Bibi-MbS
Gerusalemme e Riyadh non hanno mai nascosto di considerare l’Iran come la più grande minaccia nella regione, ancor più dello Stato islamico. Netanyahu e l’erede designato al trono saudita, il principe Mohammad bin-Salman, hanno come priorità assoluta contrastare l’affermarsi della mezzaluna sciita sulla direttrice Baghdad-Damasco-Beirut: già da tempo è in atto una collaborazione a livello di intelligence tra i due Paesi ed è indicativo il fatto che pochi mesi fa sia uscita la notizia, smentita blandamente da Riyadh, del permesso accordato dalle autorità saudite ad aerei con la stella di David per sorvolare lo spazio aereo saudita.