Israele al voto, la "rivoluzione rosa" di Merav Michaeli, ultima chiamata per i laburisti

Merav gioca la carta femminista. Per mantenere in vita il partito che fu di Ben Gurion, Golda Meir, Yitzhak Rabin, Shimon Peres, che ha fatto la storia d’Israele e che rischia di essere ridotto ai minimi termini

Merav Michaeli
Merav Michaeli
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Marzo 2021 - 15.40


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Israele, Merav gioca la carta femminista. Per mantenere in vita il partito che fu di David Ben Gurion, Golda Meir, Abba Eban, Yitzhak Rabin, Shimon Peres. Un partito che ha fatto la storia d’Israele e che rischia di essere ridotto ai minimi termini nelle elezioni del 23 marzo: il Partito laburista.

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A tentare la sorte è la neo leader del Labour, Merav Michaeli. A darne conto è Jonathan Lis su Haaretz: “La presidentessa del partito laburista Merav Michaeli – scrive Lis – ha postato due video per la Giornata internazionale della donna la scorsa settimana. ‘Tu mi interessi costantemente, anche se non voti per me’, dice nel primo, facendo un lungo elenco  di torti che ogni donna in Israele incontra nella sua vita quotidiana, tra cui il divario salariale di genere, la violenza del partner domestico o dell’ex e le studentesse delle scuole superiori a cui vengono misurati i pantaloncini al cancello. Nel secondo video promette di fomentare una rivoluzione dopo le elezioni generali del 23 marzo. Netanyahu, durante la pandemia di coronavirus, ‘ha riportato le donne in cucina’, dice Michaeli. ‘Il Partito laburista, nella sua strategia di uscita dalla crisi, realizzerà una rivoluzione dei colletti rosa investendo nelle donne che lavorano come badanti in Israele: le insegnanti, le infermiere, le assistenti sociali, le psicologhe nel servizio pubblico, tutte le donne che fanno il lavoro emotivo, investendo nella nostra società’.

Questa non è una campagna nuova. Michaeli si è identificata con queste lotte da quando è entrata per la prima volta alla Knesset nel 2013. Insieme alla promozione di una legislazione sostanziale e ai discorsi che hanno portato questi argomenti all’ordine del giorno della Knesset, è nota per usare sempre un linguaggio femminile in ebraico, una lingua altamente sessuata dove il default è maschile, e per indossare sempre il nero (‘Voglio che la gente prenda nota di quello che faccio, non che parli di quello che indosso’). Da quando ha vinto le primarie del partito a gennaio, c’è stata un’impennata sostanziale nelle donne che dicono che voteranno per il Labour. I sondaggi condotti dal partito suggeriscono che il 50-60% dei suoi voti proverrà da elettori donne. I dirigenti del partito hanno detto che questo numero è in movimento, avvicinandosi al 70 per cento negli ultimi sondaggi, aggiungendo che potrebbe anche diminuire. Questi sondaggi rivelano un altro fatto interessante: delle donne intervistate che hanno detto di avere intenzione di votare per il Partito laburista, il 39% si è autoidentificato come almeno un po’ religioso. (Il trenta per cento si è identificato come ‘tradizionale’, il resto come religioso o Haredi). Questo è abbastanza diverso dagli elettori tipici del partito. Secondo i dirigenti  del partito che hanno chiesto di rimanere anonimi, questo dimostra che le elettrici si preoccupano più di essere donne che delle comunità a cui appartengono. Così, per esempio, una donna che ha detto di aver sempre sostenuto il partito Haredi United Torah Judaism ha twittato la scorsa settimana che questa volta avrebbe scelto il femminismo di Michaeli. Il programma della campagna di Michaeli ha incluso molti incontri con i forum delle donne. La maggior parte di questi ha avuto luogo su Zoom, date le restrizioni pandemiche, e in trasmissioni dal vivo sulle pagine di noti blogger. Sabato ha partecipato a un forum di donne di persona al Kibbutz Hazorea. Dà anche molte interviste ai media Haredi, come il sito web Srugim e il Canale 20 della TV, che non si rivolgono esattamente al pubblico del Labour. Lei crede che in ogni settore ci siano persone che si identificano con le sue idee, dicono gli associati. Le ragioni di questo raduno di elettori femminili al Partito Laburista sono tre: L’elezione di Michaeli a presidente, la reputazione che si è creata negli anni e il vuoto nei partiti che non hanno donne in posizioni di leadership.

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La campagna di Michaeli è stata adattata al crescente interesse mostrato dalle donne di tutto lo spettro politico. Mentre nel contendere la leadership del partito ha enfatizzato le sue qualità di leader, la settimana scorsa ha rivelato il programma di punta del suo partito, che si concentra sul miglioramento della vita delle famiglie israeliane.

Il programma, ‘Una casa di uguaglianza’ include un anno di congedo parentale egualitario, il coordinamento delle vacanze scolastiche con gli orari di lavoro dei genitori e una riduzione della settimana lavorativa. Queste iniziative richiedono ingenti finanziamenti governativi, ma Michaeli ritiene che il denaro potrebbe provenire da stanziamenti per la promozione di programmi politici. Secondo una fonte della campagna elettorale del Partito laburista, ‘Il sentimento femminile funziona perché nel caso di Merav è genuino. Le cose che ha detto 20 anni fa su questi argomenti, ritenute all’epoca deliranti, sono ora viste come evidenti’.

Il Meretz, che ha portato la bandiera femminista per anni, è preoccupato di perdere elettori femminili a favore del Labour. Una fonte di Meretz ha detto a Haaretz che molte elettrici di Meretz stanno spostando il loro sostegno a Michaeli. I sondaggi del partito mostrano che mentre in passato, la maggior parte (60-65 per cento) degli elettori di Meretz erano donne, da quando Michaeli è diventato il capo del partito laburista, gli elettori di Meretz sono ora di sesso maschile. I dirigenti del partito laburista dicono che nelle ultime settimane hanno raccolto elettori femminili che in precedenza erano orientati verso Yesh Atid. Figure di Yesh Atid hanno respinto l’affermazione. Hanno mostrato i dati di Haaretz che indicano che da gennaio c’è stato un aumento dell’8,7% nel numero di donne che hanno detto che avrebbero votato per il partito di Yair Lapid. ‘La lista di Yesh Atid ha una maggioranza di donne negli slot che probabilmente entreranno nella Knesset, con tre donne nei primi cinque posti’, ha detto una fonte del partito. ‘Orna Barbivai (numero 2 della lista) è una donna innovativa, così come Karin Elharrar (numero 4) e Merav Cohen (numero 5). Con tutto il rispetto per Merav Michaeli, non c’è competizione’. Nel tempo che rimane prima del giorno delle elezioni, il Partito del Lavoro dice che manterrà i principi che hanno caratterizzato la sua campagna fino ad ora. I sondaggi che prevedevano il crollo totale del partito si sono ribaltati, dando al partito sei seggi alla Knesset, in media. I collaboratori di Michaeli non sono preoccupati che Lapid possa dirottare i voti, come ha fatto nelle precedenti elezioni. ‘Lapid  dice di essere il vero antagonista di Netanyahu ma su di lui pesano gli intrighi politici del passato”, annota ‘Possiamo solo trarne vantaggio e ottenere seggi alla Knesset dalla gente che dice che questa volta voterà col cuore’”. . .

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La parola a Mirav

Sono alcuni passaggi dell’intervista che la leader laburista ha concesso a chi scrive, pubblicata da ytali.it

In molti si chiedono: ma chi glielo fa fare a imbarcarsi in quella che viene raccontata come una “missione impossibile”: salvare il glorioso quanto terremotato Partito laburista dalla scomparsa parlamentare.

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So bene che è una impresa difficile, la più difficile da decenni a questa parte, forse da sempre. Perché stavolta in gioco è l’esistenza stessa del partito. Lei parla di coloro che si chiedono e mi chiedono “ma chi te lo ha fatto fare, come pensi di poter raddrizzare una barca ormai alla deriva…”. Ma ho incontrato anche tanti altri, donne e uomini, che mi hanno incoraggiato, che avvertono il peso di un momento cruciale non solo, mi permetto di dire, per la storia di un partito che ha fatto la storia, e non è un gioco di parole ma la verità, d’Israele. Ho scelto di battermi perché salvare il Labour è contribuire a salvare la democrazia nel mio Paese, perché la democrazia vive se esiste un confronto, anche duro ma leale, tra visioni, ideali, progetti alternativi. Senza questa dialettica, la democrazia risulta amputata, monca, e finisce per trasformarsi nella dittatura della maggioranza.

semplicemente finisce di esistere.

Tra gli analisti politici israeliani, anche quelli più lontani dalla destra, una delle critiche ricorrenti rivolte alla sinistra è stata quella di essere identificata come il “campo della Pace”, quando ormai da tempo la pace non è più al centro della politica israeliana. Accetta questa lettura critica o la ritiene ingenerosa?

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C’è molto di vero in questa lettura. Molto, ma non tutto. Molto, perché non vi è dubbio che in questi anni, e ancor più con la crisi pandemica, quella che è emersa in tutta la sua drammatica incidenza nella vita di milioni di israeliani, è una irrisolta “questione sociale”.  La crisi pandemica ha messo in ginocchio centinaia di aziende, portato decine di migliaia di famiglie sotto la soglia di povertà. E’ il grande tema delle disuguaglianze sociali, all’ordine del giorno a livello globale, e non solo in Israele. A questo malessere siamo chiamati a dare risposte concrete, praticabili. Oggi, non in un futuro che tanti israeliani è fatto solo di ombre e di una incertezza sempre più opprimente, insopportabile. La risposta che la destra israeliana ha dato non si discosta da quella di quell’universo sovranista di cui Trump, non a caso un modello per Netanyahu, è stato il faro, per fortuna spento il 3 novembre. Molti si dimenticano che in Israele si è votato l’anno scorso anche per rinnovare le amministrazioni locali delle più importanti città. Ebbene, in diverse di esse, come Tel Aviv e Haifa, solo per citarne alcune, a vincere sono stati candidati progressisti, uomini e donne che quel malessere sociale lo hanno affrontato e, per quanto possibile, portato a soluzione. Hanno frequentato le periferie, hanno ricostruito un rapporto con le fasce più deboli della società, quelle che un tempo erano un pezzo forte dell’elettorato laburista. Questo rapporto è andato sempre più scemando, divenendo quasi inesistente. Ma io non mi rassegno a questo. Vede, quello che mi impensierisce di più non è l’essere visti come quelli del “campo per la pace” e basta, ma di essere percepiti come quelli delle “èlite benestanti”, dei salotti buoni di Tel Aviv. Da qui bisogna ripartire, da un recupero di credibilità tra i ceti socialmente più indifesi, promuovendo anche una nuova classe dirigente. Sì lo so, ogni segretario appena eletto ripete questo mantra. Stavolta, però, non sarà così. E non perché io sia più coerente e tosta di quelli che mi hanno preceduto, ma perché o si rinnova o si muore. Lo dico con uno slogan che deve tradursi in politica: “Tra l’Israele delle sturt up, che costruisce il futuro, e l’Israele degli ultraortodossi, proiettai nel passato, la nostra scelta è chiara e netta. Quella di Netanyahu, no”. E lo si vede anche ai tempi del coronavirus. 

Questo è il “molto”. E quel “tutto” che non viene preso in considerazione dai critici di cui sopra?

Il “campo della pace”. Un perimetro troppo limitato, si è detto e scritto. Limitato, forse sì, ma non cancellato. Perché non si possono “cancellare” i milioni di palestinesi che vivono a poche decine di chilometri dalle nostre città. Quel popolo esiste, con le sue aspirazioni, le sue sofferenze e il suo carico di rabbia che cova sotto la cenere di una situazione che appare immobile. Appare. Perché in realtà la “questione palestinese” esiste, e non si risolve negandola o pensando che gli accordi di pace raggiunti con alcuni paesi arabi – gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Sudan – possano risolvere di per sé il problema palestinese.

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Salvare il “soldato” Meretz

Se il Labour non ride, il Meretz piange. Il rischio di scomparire dalla Knesset si fa sempre più concreto. Tanto da spingere Haaretz, il giornale progressista di Tel Aviv, ad un editoriale-appello. 

“La fluttuazione di Meretz intorno alla soglia elettorale non è unica in queste elezioni, ma secondo i sondaggi più recenti, sembra che la paura che il partito non riesca a superarla sia maggiore questa volta – scrive Haaretz -. 

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Questo perché la nuova lista del Labuor sembra offrire un’alternativa più eccitante ad alcuni degli elettori del Meretz, così come agli elettori che si concentrano sulla sostituzione del primo ministro Benjamin Netanyahu votando per i partiti di centro-destra. Poi ci sono quelli che preferiscono rafforzare la minoranza araba votando per la Joint List piuttosto che per Meretz. E Kahol Lavan sta ancora tenendo insieme i voti che potrebbero sommarsi a qualche seggio alla Knesset.

Di conseguenza, Meretz, che non riesce a infiammare abbastanza i suoi elettori veterani, rischia di essere spazzato via dalla Knesset.

Indipendentemente dal fatto che la sua campagna e i suoi membri siano entusiasmanti o meno, Meretz ha un importante ruolo storico nella struttura parlamentare di Israele, che è molto più grande della somma delle sue parti. Quando non c’è una reale possibilità per un governo di sinistra, c’è bisogno almeno di un’opposizione che rappresenti le posizioni della sinistra contro l’occupazione nei territori palestinesi, e che si occupi delle sue conseguenze. Queste sono posizioni che il leader di Yesh Atid Yair Lapid e la leader laburista Merav Michaeli sono incapaci di esprimere.

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Un buon esempio di ciò sono le risposte del sistema politico alle minacce di indagini sulle accuse di crimini di guerra alla Corte penale internazionale dell’Aia. Solo Meretz e la Joint List hanno affrontato il ruolo di Israele in questi eventi, a vari livelli, mentre tutti gli altri, incluso Michaeli, hanno ripetuto la risposta di Netanyahu: che la corte andrebbe oltre la sua giurisdizione in una tale indagine.

Meretz ha un ruolo importante nell’alzare una voce chiara e forte contro l’occupazione e gli insediamenti, proprio perché è ancora fondamentalmente un partito sionista. Anche senza le differenze personali tra Michaeli, il leader di Meretz Nitzan Horowitz e le opinioni dei membri del partito nel resto dei loro roster, c’è una differenza fondamentale nelle idee e nelle istituzioni che rappresentano e nella loro capacità di manovra nella sfera sempre più stretta del discorso pubblico. Se il Meretz non sarà alla Knesset, solo la Joint List rappresenterà il dibattito sull’occupazione e la protezione delle organizzazioni che la combattono. Ma sebbene vari partiti stiano ora corteggiando gli elettori della Joint List, il partito è sottoposto a una campagna di delegittimazione contro le sue posizioni sugli affari di governo. In questa situazione, senza Meretz, la voce della sinistra sionista alla Knesset sarà messa a tacere”.

Una voce da mantenere in vita. Anche con un voto. 

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