Rimane incinta e la società di pallavolo la caccia e le fa causa: "Non aveva detto di volere dei figli"
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Rimane incinta e la società di pallavolo la caccia e le fa causa: "Non aveva detto di volere dei figli"

L'Associazione Nazionale Atlete ha annunciato di aver intenzione di scrivere, riguardo questo caso, al Presidente del Consiglio Mario Draghi e al Presidente del Coni, Giovanni Malagò

Lara Lugli
Lara Lugli
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9 Marzo 2021 - 15.53


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Un vergognoso caso di sessismo nello sport che dimostra come, nel 2021, le professioniste sportive non abbiano alcuna tutela. Lara Lugli è stata infatti citata in giudizio dalla società di pallavolo B1 per la quale giocava nella stagione 2018-2019 per essere rimasta incinta: l’accusa è che, al momento dell’ingaggio, aveva sottaciuto l’intenzione di avere figli e di aver abusato della buona fede contrattuale. Il suo contratto prevedeva la risoluzione del rapporto per giusta causa “per comprovata gravidanza”.
L’Associazione Nazionale Atlete ha annunciato di aver intenzione di scrivere, riguardo questo caso, al Presidente del Consiglio Mario Draghi e al Presidente del Coni, Giovanni Malagò: “Questo caso è emblematico perché l’iniquità della condizione femminile nel lavoro sportivo è talmente interiorizzata che non solo la si ritiene disciplinabile, nero su bianco, in clausole di un contratto visibilmente nulle, ma addirittura coercibile in un giudizio, sottoponendola a un magistrato, che secondo la visione del datore di lavoro sportivo, dovrebbe condividere tale iniquità come fosse cosa ovvia. In questa spregiudicata iniziativa – evidenzia Assist – si annida il vero scandalo culturale del nostro Paese, che è giunto al punto da obnubilare la coscienza dei datori di lavoro sportivi, fino a dimenticare cosa siano i diritti fondamentali delle persone”.
“Questo caso – dichiara la presidente di Assist Luisa Garribba Rizzitelli – non solo non è unico e non riguarda certo solo il volley, ma evidenzia una pratica abituale quanto esecrabile e indegna, denunciata da 21 anni dalla nostra Associazione. In forza di questa consuetudine le atlete degli sport di squadra o individuali, non appena incinte, si vedono stracciare i loro contratti, rimanendo senza alcun diritto e alcuna tutela. Ciò anche quando non vi sia in presenza di una esplicita clausola anti maternità che, prima delle denunce di Assist, era la norma nelle scritture private tra atlete e club”. 
Tra le contestazioni che le vengono mosse ci sarebbe anche quella di un ingaggio troppo elevato e, nel contempo, il calo delle prestazioni della squadra nel momento della risoluzione del contratto avrebbe causato l’allontanamento degli sponsor. “Viene contestato l’ammontare del mio ingaggio troppo elevato – sottolinea Lugli -, ma poi dicono che dopo il mio stop la posizione in classifica è precipitata e gli sponsor non hanno più assolto i loro impegni. Dunque il mio valore contrattuale era forse giusto?”.
“Chi dice che una donna a 38 anni, o dopo una certa età stabilita da non so chi, non debba avere il desiderio o il progetto di avere un figlio? Non è che per non adempiere ai vincoli contrattuali stiano calpestando i Diritti delle donne, l’etica e la moralità?”. A suo modo di vedere, c’è il rischio che questo possa diventare un precedente molto grave. “Se una donna rimane incinta non può conferire un danno a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo. L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo”, conclude la pallavolista.

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