Chi denuncia le malefatte di Netanyahu bollato di 'antisemitismo'. Ma noi non ci stiamo
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Chi denuncia le malefatte di Netanyahu bollato di 'antisemitismo'. Ma noi non ci stiamo

Si tratta solo di un alibi per sfuggire al merito dei problemi. Citiamo i casi di una Premio Nobel per la pace, un relatore speciale dell'Onu, il più grande storico israeliano.

Israeliani arrestato un giovane palestinese
Israeliani arrestato un giovane palestinese
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Dicembre 2020 - 14.08


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Questa non passa. Non può passare. Perché in ballo c’è una questione cruciale, che va oltre la dimensione professionale. E’ la difesa del diritto-dovere di raccontare la realtà senza per questo essere accusati di cose spregevoli. Nel caso di specie “antisemiti”. Accusa che certi “leoni da tastiera” hanno affibbiato a chi scrive e a Globalist e al suo fondatore, Gianni Cipriani, per aver raccontato dei bambini palestinesi uccisi o imprigionati da Israele. Articolo che riporta un grande pezzo giornalistico di una delle grandi firme israeliane. Gideon Levy.

In buona compagnia, 1

Noi di Globalist non porgiamo l’altra guancia. Ma insistiamo nel difendere le nostre convinzioni, portando a supporto considerazioni di persone molto più autorevoli di chi scrive.

Una di queste è è Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace nel 1976. Nata a Belfast da famiglia cattolica, Maguire, decise di dedicarsi alla pace nel suo Paese dopo che i tre figli della sorella furono investiti e uccisi da un’auto di cui aveva perso il controllo un membro dell’esercito repubblicano irlandese, colpito poco prima a morte da un soldato inglese. A seguito di quella tragedia la sorella si tolse la vita e Mairead fondò con Betty William, con cui ha condiviso il Nobel, il movimento “Donne per la pace”. Maguire è anche presidente della Nobel Women’s Initiative, la fondazione che unisce le donne insignite di questo prestigioso riconoscimento.

“La pace, per essere davvero tale, deve coniugarsi con la giustizia. Senza giustizia non c’è pace – ha detto a Globalist Maguire in un colloquio del settembre scorso –  E non c’è pace quando un popolo è sotto occupazione, quando viene derubato della sua terra o segregato in villaggi-prigione. Quello palestinese è un popolo giovane, e intere generazioni sono nate e cresciuto sotto occupazione, passando da un conflitto all’altro, senza speranza, con la sola rabbia come compagna. E dove c’è rabbia, dove la quotidianità è sofferenza, è impossibile che cresca la speranza”. Per aver sostenuto queste idee Maguire è stata ritenuta da Israele “persona non gradita”. Definizione soft, per non dire nemica. “Ho imparato sulla mia pelle cosa significhi discriminazione e odio – dice la Nobel per la Pace -. Io mi sento amica d’Israele e un amico vero è quello che prova a convincerti che stai sbagliando, che proseguendo su una certa strada finirai male. È questo che provo a dire agli israeliani: riconoscere il diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente, al fianco del vostro Stato, porre fine all’embargo a Gaza e alle inumane punizioni collettive, è fare onore a voi stessi, alla vostra storia. È investire su un futuro di pace che non potrà mai essere realizzato con le armi. Lo ripeto: non si può spacciare l’oppressione come difesa. Questo è immorale. La colonizzazione non favorisce la pace, ma alimenta l’ingiustizia. Da tempo nei Territori vige un sistema di apartheid e denunciarlo non significa essere ‘nemica d’Israele’ e tanto meno antisemita”.

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In buona compagnia 2

Un esperto delle Nazioni Unite per i diritti umani ha invitato Israele a porre immediatamente fine al blocco di Gaza, aggiungendo che si tratta di una “punizione collettiva” contro il popolo palestinese. Michael Lynk, relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, ha definito il blocco che dura da 13 anni una “grave violazione contro i Palestinesi” in una dichiarazione pubblicata dall’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. 
“Quanto sia devastante la politica di punizione collettiva esercitata da Israele si può apprezzare appieno considerando il blocco imposto da 13 anni a Gaza, che ora soffre per un’economia completamente crollata, per le infrastrutture devastate e per un sistema di servizi sociali a malapena funzionante” ha detto Lynk. “Queste pratiche comportano gravi violazioni ai danni dei Palestinesi, tra cui il diritto alla vita, la libertà di movimento, la salute, un alloggio adeguato e un livello di vita dignitoso”, ha affermato Lynk. Israele ha imposto dal 2007 un blocco devastante su Gaza, lasciando circa l’80% dei Palestinesi della Striscia praticamente dipendenti dagli aiuti internazionali. Più di un milione di persone vivono con 3,50 dollari o meno al giorno. Il mare, una volta fonte vitale di reddito per i residenti di Gaza, è soggetto a restrizioni in continua evoluzione sui diritti di navigazione e di pesca.
Il sistema sanitario di Gaza è da tempo sull’orlo del collasso, soffre per carenza di farmaci e materiali sotto il blocco di Israele, mentre le strutture sanitarie sono stremate per le numerose campagne militari israeliane. Una situazione resa oggi ancor più drammatica dai primi decessi accertati per Covid-19. Il relatore speciale ha affermato che la strategia di Israele per controllare la popolazione palestinese e i suoi movimenti ha violato le regole fondamentali di ogni moderno sistema legale. Lynk ha invitato Israele a interrompere immediatamente tutte le azioni che equivalgono a “punizioni collettive contro il popolo palestinese, con milioni di innocenti danneggiati quotidianamente e con l’unico risultato di tensioni più profonde e un clima favorevole a ulteriori violenze”. La chiusura israeliana di Gaza è un “affronto alla giustizia e allo stato di diritto”, ha detto Lynk.
“Mentre la giustificazione di Israele per imporre il blocco a Gaza era quella di contenere Hamas e garantire la sicurezza di Israele, il risultato reale della chiusura è stata la distruzione dell’economia di Gaza, causando una sofferenza incalcolabile ai suoi due milioni di abitanti”, ha affermato il relatore. 
“La punizione collettiva è stata chiaramente vietata dal diritto internazionale umanitario ai sensi dell’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra. Non sono ammesse eccezioni.” Il rapporto di Lynk ha anche criticato la politica israeliana di demolizione punitiva delle case di famiglie palestinesi. “Dal 1967, Israele ha distrutto più di 2.000 case palestinesi, allo scopo di punire le famiglie residenti per atti che alcuni dei loro membri potrebbero aver commesso, ma certamente non tutti loro”, ha detto. “Questa pratica viola chiaramente l’articolo 53 della Quarta Convenzione di Ginevra”, ha aggiunto. 

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Per aver sostenuto e documentato tutto questo, il professor Lynk è stato tacciato di “antisemitismo”.

In buona compagnia, 3

Chi scrive ha avuto l’onore di intervistare più e più volte colui che è considerato il più grande storico israeliano, recentemente scomparso: Zeev Sternhell. Ecco cosa mi disse in una delle nostre ultime conversazioni: “Per quanto mi riguarda, ho sempre ritenuto che la pace con i palestinesi e la nascita di uno Stato di Palestina non siano una concessione fatta al ‘nemico’ né un tributo ad un astratto principio di giustizia. Per quanto mi riguarda, la nascita di uno Stato palestinese è un ‘regalo’ che Israele fa a se stesso, perché solo attraverso la fine dell’occupazione è possibile preservare le fondamenta democratiche dello Stato e la sua identità ebraica. Il riconoscimento di uno Stato democratico di Palestina va visto come condizione per porre fine al conflitto e negoziare i futuri confini fra i due Stati sulla base delle frontiere del 1967. Il riconoscimento di tale Stato è essenziale per l’esistenza di Israele. È l’unico modo per risolvere il conflitto attraverso il negoziato, per evitare l’esplodere di un altro ciclo di violenza e porre fine alla pericolosa condizione di isolamento di Israele nel mondo. La fine dell’occupazione è condizione fondamentale per la libertà dei due popoli, la piena realizzazione della stessa Dichiarazione di indipendenza di Israele e un futuro di coesistenza pacifica. D’altro canto, l’ipotesi di un unico Stato non solo porta all’eliminazione dello Stato ebraico ma apre la strada a conflitti sanguinosi per generazioni. Due Paesi, fianco a fianco, fondati su uguali diritti per entrambi i popoli, questa è la strada giusta e necessaria: ogni altra scelta condurrebbe al colonialismo istituzionalizzato. Non so se queste considerazioni possano definirsi di “sinistra”. A me pare che siano improntate ad un sano pragmatismo che non dovrebbe avere, in quanto tale, una coloritura politica”.

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Ed ancora: “Le colonie sono un cancro. E l’ala più estrema del movimento dei coloni è da tempo una minaccia per la democrazia e non solo per la pace. Se la nostra società è incapace di mettere insieme forza, potere politico e determinazione mentale necessari per spostare qualche colonia, ciò starà ad indicare che la storia di Israele è finita, che la storia del sionismo come noi lo intendiamo, come io la intendo, è finita. Resto fermamente convinto che il sionismo ha il diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. E il primo diritto è quello ad uno Stato indipendente, a fianco e non contro lo Stato d’Israele. L’alternativa, che purtroppo già è in atto, non è l’annessione dei Territori palestinesi, ma la realizzazione di un regime di apartheid, che se fosse portato a termine, con il silenzio complice della comunità internazionale, sancirebbe non solo la fine del sionismo ma la morte della democrazia in Israele e per Israele.

Guardando alle frange estremiste del movimento dei coloni, qual è l’atteggiamento da evitare nei loro confronti?, gli chiesi. Ecco cosa rispose: “L’indulgenza. L’indulgenza nei loro confronti ha portato ad una situazione degenerativa che non si ferma ai Territori. L’aggressività, la violenza, il concepire chi la pensa diversamente come un ‘traditore’: al di qua della Linea Verde è stato esportato un metodo di comportamento che quando viene compiuto contro palestinesi nei Territori viene tollerato, spesso neppure indagato e comunque non approfondito.

L’indulgenza. E poi cosa teme?, insistei.  La connivenza – affermò Sternhell-.  Quella che porta politici che hanno anche responsabilità di governo a flirtare con le ali estreme del movimento dei coloni”.

Per queste sue posizioni, il professor Sternhell subì un attentato da cui miracolosamente uscì illeso. E per queste posizioni, anch’egli è stato tacciato di “antisemitismo”. 

 

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