Sul caso Zaky neanche Scarlett Johansson smuove (per ora) Al-Sisi
Top

Sul caso Zaky neanche Scarlett Johansson smuove (per ora) Al-Sisi

L’ennesima conferma che l’Italia non conta nulla, ma proprio nulla agli occhi di Abdel Fattah al-Sisi, il presidente dell'Egitto.

Manifestazioni per la liberazione di Patrick Zaky
Manifestazioni per la liberazione di Patrick Zaky
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Dicembre 2020 - 15.10


ATF

Mettiamola così. Una star del cinema può più di un Governo. Ma si può guardare la cosa anche da un’altra prospettiva: la star del cinema in questione non è così influente da convincere il presidente autocrate ad aprire le porte del carcere in cui è arbitrariamente detenuto da mesi e mesi uno studente che ha la cittadinanza onoraria di importanti città italiane. Insomma, l’ennesima conferma che l’Italia non conta nulla, ma proprio nulla agli occhi di Abdel Fattah al-Sisi.

L’attrice e il “faraone”

Scarlett Johansson non è solo una stella di Hollywood, ma è da sempre molto impegnata nel sociale e politicamente schierata. Questa volta ha deciso di registrare un appello su Youtube per chiedere la scarcerazione immediata di Patrick Zaky e di altri tre membri della Ong Eipr. Zaky è detenuto ormai da mesi in Egitto con l’accusa di diffusione di fake news sul web per destabilizzare il governo. La sorella dell’attivista, Marise Zaky ha espresso a Fanpage.it grande gratitudine alla stella del cinema per il video da lei registrato.

“Un’attrice di fama internazionale che mette la faccia in un video così forte mette il nostro dramma alla portata del grande pubblico – spiega Marise -. Grazie a Scarlett Johansson in questo momento e a tutti coloro che la seguiranno, la storia di mio fratello Patrick è ora anche davanti agli occhi di ragazzi giovani che magari non ne erano a conoscenza. Con pochi minuti di filmato ha sbattuto mio fratello e la sua condizione in prima pagina, contribuendo a tenere i riflettori accesi su di lui. In una situazione di pericolo come quella che io e la mia famiglia stiamo vivendo in Egitto, una luce accesa sul carcere nel quale è rinchiuso Patrick è vitale per garantire la sua sopravvivenza e soprattutto la sua liberazione al più presto”.

Marise spiega poi che sebbene il supporto della Johansson sia di valore prettamente morale, potrebbe segnare una via importante per le altre star di Hollywood e per coloro che vanno a vedere i suoi film al cinema. “La cosa più importante che abbia fatto in questo momento è stata informarsi su quanto sta accadendo e accendere la telecamera senza che nessuno le abbia chiesto di farlo – spiega ancora -. Online è raro che i giovanissimi chiedano di esprimersi riguardo alla prigionia di mio fratello. Certo, tutte le star oggi sono chiamate ad impegnarsi, è difficile però che un ragazzino chieda di sapere qualcosa in più di Patrick e il fatto che lei lo abbia messo in cima alla sua agenda è importante. Apprezzo molto il suo gesto, lo apprezza la mia famiglia e tutti coloro che da tempo lavorano alla liberazione di Patrick. Ogni giorno per noi potrebbe essere l’ultimo e l’unica cosa che ci permette di sperare è il riflettore puntato sulla prigione di mio fratello, per accertarsi che nessuno sfugga alle proprie responsabilità”.

I tre dirigenti dell’ong Eipr arrestati al Cairo sono stati scarcerati: lo scrive su Twitter la stessa organizzazione non-governativa per cui lavorava Patrick Zaki. “Gasser, Karimi e Basheer sono stati lasciati andare direttamente dalla prigione di Tora. Insolito. Ora sono o a casa o sulla via di casa”, scrive l’Iniziativa egiziana per i diritti personali (Eipr). Zaki resta invece in carcere. I tre erano stati arrestati il mese scorso con accuse di terrorismo. Gli arresti erano stati eseguiti dopo che i tre membri della Ong, compreso il direttore dell’Eipr Gasser Abdel-Razek, avevano ospitato diplomatici stranieri per discutere della situazione dei diritti umani in Egitto.  Le accuse a loro rivolte sono state di appartenenza a un gruppo terroristico e di diffusione di informazioni false. Non è chiaro se il rilascio implichi il ritiro delle accuse.

 L’ordine di scarcerazione precede una visita di alto profilo del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi prevista per la prossima settimana in Francia, dove incontrerà il presidente Emmanuel Macron. I gruppi per i diritti umani hanno chiesto a Macron, il cui governo è un importante fornitore di armi in Egitto, di fare pressioni su al-Sisi per liberare i tre e gli altri attivisti, tra cui Patrick Zaki.

 La detenzione dei tre ha scatenato la condanna internazionale, anche da parte delle Nazioni Unite e di diversi governi stranieri. Il consigliere per la politica estera del presidente eletto Usa Joe Biden, Antony Blinken, all’epoca aveva commentato che “incontrare diplomatici stranieri non è un crimine. Né lo è difendere pacificamente i diritti umani”.

 Il governo di al-Sisi, alleato degli Stati Uniti con profondi legami economici con i Paesi europei, ha intrapreso una tra le più pesanti repressioni del dissenso nella storia moderna della nazione mediorientale, prendendo di mira non solo gli oppositori politici islamisti ma anche gli attivisti per la sicurezza a favore della democrazia, i giornalisti e i critici che si esprimono online.

 I gruppi locali indipendenti per i diritti hanno in gran parte cessato di operare. L’Eipr, attivo da 18 anni, è il gruppo più importante dei pochi ancora attivi, che continua a lavorare per documentare le violazioni dei diritti civili, le condizioni carcerarie, la violenza settaria e la discriminazione contro le donne e le minoranze religiose.

“Grande gioia per un esito per fortuna rapido di questi tre arresti illegali – ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – Ci auguriamo che possano riprendere a svolgere il loro prezioso e insostituibile lavoro per i diritti umani in Egitto senza timori di ulteriori minacce o persecuzioni giudiziarie”. Ma alla grande gioia per questa notizia, spiega Noury, “si contrappone la grande amarezza per la mancata scarcerazione del ‘quarto’ di Eipr, Patrick Zaki, che continuiamo a chiedere sia rilasciato al più presto”. Zaki è detenuto nella prigione di Tora da febbraio.

Il racconto dell’avvocata

Per la prima volta, dopo quasi dieci mesi di carcere, l’avvocata di Patrick Zaki, Huda Nasrallah, ha potuto visitare il giovane attivista nella prigione del Cairo dove è detenuto dallo scorso febbraio.

Lo studente dell’università di Bologna ha detto di stare generalmente bene ma ha fatto sapere – per la prima volta – che ha sempre dormito per terra in cella, senza materasso. Ha chiesto quindi una pomata e possibilmente un fasciatore per la schiena per alleviare i dolori provocati dalla posizione scomoda.

“La visita è stata generalmente piacevole, sono stati contenti di poter parlare tra loro per un po’ – in presenza di un agente – e lui le ha raccontato un po’ della sua situazione”, si legge nella pagina Facebook ‘Patrick Libero’ curata da alcuni amici e attivisti. “Huda è rimasta sorpresa nel sapere che da quando è stato arrestato dorme per terra, cosa di cui non aveva mai parlato né si era mai lamentato prima, e l’unico motivo per cui lo ha fatto ora è che ha chiesto una pomata e una fasciatura di sostegno per la schiena, visto che soffre di mal di schiena”, si legge ancora nel resoconto del colloquio.

Secondo gli attivisti, “I genitori di Patrick sono preoccupati perché non si è mai lamentato di questi problemi di salute prima d’ora, ed è noto per non lamentarsi e sopportare il dolore fisico senza chiedere aiuto, il fatto che abbia chiaramente chiesto aiuto ci rende davvero preoccupati per le sue condizioni di salute che potrebbero solo peggiorare con il freddo”.

L’arresto di Patrick Zaki

Patrick Zaki è ormai detenuto da otto mesi. La sua custodia cautelare in carcere al Cairo era stata rinnovata per altri 45 giorni nel mese di novembre nonostante l’arresto prosegua senza effettive prove che concretizzino le accuse a lui rivolte. Il giovane attivista dovrebbe rispondere di propaganda terroristica contro lo Stato tramite la diffusione di fake news. Era stato fermato mentre tornava in Egitto per trascorrere qualche giorno con i genitori a Mansoura, la sua città natale. Avrebbe dovuto restare in carcere per 15 giorni, per permettere un approfondimento delle indagini e invece è ancora recluso a Tora, città a sud del Cairo. A causa della pandemia da Coronavirus, le visite sporadiche dei familiari sono diventate ancora più rare.

“Ribadiamo la richiesta, ancora una volta, al Governo italiano perché si dia seriamente da fare in vista anche del 7 gennaio, il Capodanno copto. Noi – sottolinea Noury – desideriamo che quel giorno Patrick sia libero per festeggiare il Capodanno con la sua famiglia e che poi i successivi giorni del 2021 li passi dove desidera, magari a Bologna dove lo aspettiamo e lo aspettano in tanti”.

Capito, ministro Di Maio?

Native

Articoli correlati