Attacca quelli del Bds definendoli un “cancro”. Visita un insediamento nei territori palestinesi occupati brindando alla colonizzazione e annunciando che per gli Usa quel vino come la frutta o qualsiasi altro prodotto proveniente dagli insediamenti, verrà importato in America con l’etichetta “made in Israel”.
Anche se quei vigneti, quei frutteti sono su terre confiscate ai palestinesi, irrorati con acqua sottratta ai palestinesi. Ma non si ferma qui. Dopo la vineria di Pasgot, ecco la visita alle Alture del Golan, conquistate da Israele con la Guerra dei Sei giorni ma che, per le risoluzioni Onu e il diritto internazionale restano territorio siriano occupato. Per tutti, meno che per Benjamin Netanyahu e il suo amico e sodale americano, il presidente con la valigia in mano Donald Trump. Da quelle Alture il protagonista di questa performance che neanche un falco di Tel Aviv sarebbe stato così bravo nel mettere in scena, proclama solennemente che quelle Alture sono parte integrante dello Stato d’Israele. E visto che c’è, perché non lanciare una frecciata velenosa all’indirizzo dell’Unifil, la missione dei caschi blu delle Nazioni Unite, a guida italiana, nel Sud Libano da anni bersaglio di Netanyahu e della destra oltranzista israeliana.
Il “Segretario dei coloni”
E’ la performance di Mike Pompeo, il “Segretario dei coloni”. Le aspettative, o i timori, della vigilia dell’ultima missione da segretario di Stato di Pompeo in Israele, si sono rivelati un niente di fronte a ciò che il capo, per fortuna in scadenza, della diplomazia statunitense è riuscito a dire e a combinare. Una cosa è certa: se Trump e il suo fido scudiero Pompeo hanno un problema di rielezione, basta che prendano la cittadinanza israeliana e si candidino alla guida della destra, di cui il tycoon di Washington è da tempo l’eroe. D’altra parte, se a votare nelle elezioni presidenziali americane fossero stati i coloni israeliani, Trump avrebbe ottenuto un plebiscito.
Il “cancro” del boicottaggio.
Scena prima. Gli Usa considerano le organizzazioni di boicottaggio di Israele come “antisemite” e prenderanno “provvedimenti al più presto in merito”. Ad annunciarlo, con tono grave e solenne è il segretario di Stato Usa alla fine dell’incontro di ieri con il premier Benyamin Netanyahu a Gerusalemme.
Il prode Pompeo non si è limitato a riassumere le iniziative dell’amministrazione Trump a favore dell’alleato israeliano negli ultimi quattro anni, ma ne annuncia di nuove, a due mesi dall’insediamento dell’amministrazione Biden: ieri ha anticipato che gli Stati Uniti dichiareranno antisemita il movimento Bds (Boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni) – che ha definito “un cancro” – fermando il sostegno governativo agli enti che lo appoggiano, nonché a portare avanti una nuova regolamentazione per consentire di etichettare i prodotti degli insediamenti israeliani come “made in Israel”. Questo proprio mentre le Nazioni Unite, nel passare una serie di risoluzioni di condanna a Israele l’altro ieri, hanno ribadito che la comunità internazionale non riconosce la giurisdizione israeliana sulla Cisgiordania e su Gerusalemme Est.
Il frizzante segretario di Stato ha poi partecipato a un evento nella colonia israeliana di Psagot, in Cisgiordania. Pompeo è diventato così il primo diplomatico statunitense nella storia a mettere piede in una colonia israeliana, cioè gli insediamenti urbani costruiti sui territori che la stragrande maggioranza della comunità internazionale ritiene appartengano ai palestinesi.
Psagot, fra l’altro, non è una colonia qualsiasi: essendo molto lontana dal territorio israeliano e dalle altre colonie – è praticamente attaccata a Ramallah, la capitale dell’entità parastatale controllata dai palestinesi – avrebbe pochissime possibilità di rientrare in un eventuale accordo di pace fra israeliani e palestinesi.
Finora gli Stati Uniti non avevano mai permesso ai loro funzionari di visitare una colonia in Cisgiordania, temendo che la loro presenza potesse legittimare le richieste territoriali israeliane, giudicate invece illegittime dai più importanti paesi occidentali e dal mondo arabo. Pompeo, in particolare, ha visitato la Psagot Winery, un’azienda vinicola molto nota in Israele. I suoi proprietari rivendicano da tempo la possibilità di scrivere sulle etichette dei propri vini che il prodotto viene da Israele. Nel 2019 furono anche al centro di un caso finito alla Corte di Giustizia europea, che però gli diede torto e stabilì che l’origine dei prodotti alimentari realizzati nelle colonie dovesse essere indicata esplicitamente.
Per l’occasione è stato presentato nella Psagot Winery il rosso Pompeo. Che ieri gli è stato offerto in regalo dal proprietario delle cantine Psagot,. Fa notare Yaakov Berg che sul magnum sta anche scritto #madeinlegality, che questo per lui è il riconoscimento più importante. Per anni ha combattuto senza successo nelle corti europee e in quelle canadesi contro l’obbligo di identificare le sue annate come imbottigliate in un insediamento. L’organizzazione israeliana “Peace Now” ricorda che le vigne di Psagot sono state piantate su terre palestinesi “saccheggiate un ettaro alla volta” e definisce la visita di Pompeo “un ultimo patetico tentativo di minare le speranze di pace legittimando le colonie”.
Gli analisti prevedono che il presidente-eletto Joe Biden ristabilisca la tradizionale opposizione della diplomazia americana agli insediamenti, considerati dalla maggior parte delle nazioni “un ostacolo” alle trattative per la nascita di uno Stato palestinese. Così Berg – come Pompeo e il resto dei fedelissimi di Donald Trump – continua a sognare un secondo mandato per il leader alla Casa Bianca che più abbia concesso a un governo israeliano: “Le sue scelte hanno funzionato e hanno garantito un periodo di calma, pensiamo di poter convivere con i nostri vicini arabi. Non abbiano sottratto nulla, siamo tornati alla nostra patria dopo duemila anni e non abbiamo intenzione di andarcene”.
La seconda visita è sulle alture del Golan, accompagnato dall’omologo israeliano Gabi Ashkenazi. “Questa è una parte di Israele”, sentenzia Pompeo. “Non puoi stare qui e guardare cosa c’è oltre confine e negare la cosa centrale che il presidente Donald Trump ha riconosciuto…”. Lo scorso anno, l’amministrazione Trump ha riconosciuto la sovranità israeliana sull’area conquistata da Israele nella Guerra dei Sei Giorni nel 1967. Entrambe le visite sono state duramente condannate dall’Autorità Nazionale Palestinese e anche dalla Lega Araba come “contrarie al diritto internazionale”.
La sera di ieri, nella conferenza stampa congiunta con un compiaciuto Netanyahu, Pompeo aveva anche lanciato un messaggio tutt’altro che compiaciuto all’Unifil. Gli Usa, ha detto si “augurano che la missione Unifil in Libano possa svolgere il suo mandato, altrimenti si dovrà intraprendere una direzione diversa”. “Troppo a lungo – ha poi affermato – gli Hezbollah hanno beneficiato di una libertà di movimento quasi totale e con il sostegno dell’Iran hanno accumulato arsenali, sparato missili e scavato tunnel sotto il confine con Israele”. ” Ad agosto – ha ricordato – gli Usa hanno sostenuto il rinnovo dell’Unifil ma chiedono ora alcune condizioni importanti”.
Musica per le orecchie di “Bibi”. L’amico Mike ha sposato in toto le posizioni del Governo israeliano e del suo primo ministro in particolare che da anni accusa la missione Unifil, a guida italiana, di fare il gioco di Hezbollah, non provvedendo al disarmo della milizia sciita libanese. Nulla importa a chi è abituato a fare delle risoluzioni Onu che riguardano Israele carta straccia, che nella risoluzione votata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni che dà il via libera alla missione di peacekeeping, subito dopo la fine della guerra dell’estate del 2006 tra Israele ed Hezbollah, del disarmo di quelle milizie non c’è traccia.
E di questo ha contezza lo stesso Pompeo, visto che il via libera a quella missione è stato dato anche dagli Usa.
“Gli ultimi giorni di Pompeo”.
E’ il titolo dell’editoriale di Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv. “Per Benjamin Netanyahu – è scritto nell’editoriale – Pompeo ha annunciato che il Dipartimento di Stato considererà il movimento internazionale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni come antisemita e ha definito il movimento un ‘cancro’. Con ciò, il segretario di Stato ha abbracciato la falsa propaganda del governo israeliano, secondo cui chiunque sostenga un boicottaggio degli insediamenti o di Israele sull’occupazione è un antisemita. Questa posizione pericolosa costituisce un silenzio antidemocratico della libertà di parola. Non è necessario sostenere il Bds o ignorare i circoli antisemiti che possono avvalersi del movimento per riconoscere che chiedere il boicottaggio di un’occupazione illegale non riconosciuta dalla comunità internazionale è legittimo, non violento e certamente non necessariamente antisemita. Le sanzioni e i boicottaggi sono strumenti accettati a livello internazionale contro i regimi ingiusti, e finché l’occupazione israeliana persisterà e il popolo palestinese non sarà libero, ci saranno sempre più richieste di usare questi strumenti contro Israele e gli insediamenti.
Pompeo ha proseguito verso la Cantina Psagot, nella zona industriale di Sha’ar Binyamin, dove gli è stato presentato il vino a lui intitolato. Il vino è stato prodotto con uve coltivate su terreni di proprietà privata che sono stati rubati ai proprietari palestinesi, la maggior parte dei quali vive nella vicina città di El Bireh. Il fondatore e amministratore delegato dell’azienda, che ha ospitato Pompeo, vive in una tenuta che ha costruito per sé, anch’essa su un terreno privato rubato. Il segretario di Stato ha dato l’imprimatur del Dipartimento di Stato ai seguenti ‘peccati’: ha visitato gli insediamenti, ha bevuto dal calice avvelenato, ha sanzionato l’espropriazione e successivamente ha anche annunciato che il Dipartimento di Stato permetterà che i beni prodotti negli insediamenti siano marcati come israeliani quando saranno esportati negli Stati Uniti. Sembra che l’unica cosa che rimane ancora da fare a Pompeo durante la sua visita sia approvare l’annessione di Israele al Yesha Council. (l’organismo guida del movimento dei coloni, ndr).
Questi sono gli ultimi giorni di Pompeo. Com’è bello che sia così”.
Fine dell’editoriale. Lo facciamo nostro in ogni sua parola.
Argomenti: donald trump israele